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TINA FERRERI TIBERIO – “Ettore e Andromaca: l’addio”

Ettore e Andromaca: l’addio di TINA FERRERI TIBERIO

Una storia d’amore impossibile è stata quella fra Ettore e Andromaca, raccontata nel VI libro dell’Iliade, poema epico che insieme all’Odissea, costituisce la prima vera forma letteraria del popolo greco, poemi attribuiti ad Omero.Gli eventi dell’Iliadee dell’Odissea trassero ispirazione da un preesistente ciclo di miti, che narravano le vicende di Troia; l’Iliadeprende il titolo da Ilio, l’altro nome della città di Troia ed è ricordato come «il poema della guerra», posteriore di circa tre secoli agli avvenimenti cantati: la guerra sembra essere una occupazione normale e naturale per gli uomini di quel tempo. L’Iliade già in epoca romana ebbe numerose traduzioni latine; fra le traduzioni in lingua italiana, oltre a quella parziale del Foscolo, dobbiamo ricordare quella in endecasillabi sciolti di Vincenzo Monti del 1825.

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Nella memoria arcaica del popolo greco e tramandata oralmente dagli aedi(cantori che giravano per le corti reali e per i villaggi durante le feste sacre) di generazione in generazione, era viva la storia o il mito? Della guerra degli Achei contro Troia, i troiani erano considerati barbari (stranieri). I Greci quando si apprestarono a confrontarsi con altri popoli barbari, cominciarono a rafforzare la propria storia, i propri costumi, la propria lingua, a definirsi un popolo civilizzato, a riconoscersi nella propria identità, trovando l’unità nella comune progenie, Elleno, da cui presero il nome di Elleni ed Ellade fu la loro Patria. Da Elleno discesero le quattro tribù della Grecia continentale: gli Achei, i Dori, gli Eoli e gli Ioni. Secondo Tucidide il nome Elleni risaliva ai tempi di Omero, infatti nell’Iliade Hellas ed Hellenes erano i nomi della tribù guidata da Achille.

Dal verso 392 al verso 502 del VI libro dell’Iliade, Omero racconta l’incontro struggente e il conseguente addio fra Ettore e Andromaca. Ettore è il figlio di Priamo ed Ecuba, i re di Troia e Andromaca è la principessa di Tebe Ipoplacia, figlia di Eetione. Durante i dieci anni della guerra Ettore vinse e uccise Protesilao, combattette contro Aiace e Diomede, appiccò il fuoco alla flotta greca e infine uccise Patroclo, l’amico di Achille, provocandone l’ira. Ettore dovrà partire per la guerra, gli Achei avanzano. Andromaca prega il suo sposo di non partire, di non lasciarla sola, Achille ha già ucciso suo padre e sette fratelli, ha annientato Tebe, popolata dai Cilici, ha reso schiava la madre, morta successivamente di morte naturale, colpita da un fulmine di Artémide. Quanto dolore traspare nelle parole, nella preghiera di Andromaca! Ettore è tutto per lei: è padre, è madre, è fratello, è sposo. Lo implora di non far sì che suo figlio diventi orfano e lei vedova e schiava. Ma Ettore è un guerriero e le risponde che non può macchiarsi di viltà davanti ai troiani, fuggendo dal dovere di difendere la Patria, in pericolo. Il coraggio di un uomo si deve anteporre agli affetti familiari.

Questa dolorosa e triste storia incarna pienamente i valori del mondo greco: il coraggio, l’onore, la virtù, la lealtà, l’aretésono preferibili alla morte con disonore. Omero in questo straordinario brano ci ha tramandato una delle più belle pagine della letteratura del mondo classico, riguardante gli amori impossibili, l’arte raggiunge altezze sublimi: Ettore è un eroe sconfitto ma è grande per il suo coraggio e la sua generosità; la scena alle porte Scee è carica di grande umanità, di pathose nello stesso tempo di grande tenerezza.

Il figlio Astianatte si spaventa nel vedere suo padre vestito con l’armatura, non lo riconosce con l’elmo e la corazza e piange, come farebbe ogni bambino; Ettore allora sorride e asseconda il figlio, si toglie l’elmo, lo appoggia per terra, prende in braccio suo figlio, che smette di piangere e singhiozzare, si lascia abbracciare dal padre e sollevare al cielo: Ettore chiede che la benevolenza degli Dei scenda sulla sua stirpe. Il primogenito di Priamo era ben

consapevole del suo destino, sapeva di andare incontro alla morte e di non avere altre alternative: vivere da vile e codardo o morire da eroe, sconfitto. Sceglie la seconda strada, sa che lascerà al loro destino il figlio Astianatte e la moglie Andromaca, ma il doveredi difendere la Patria e l’onore da tutelare sono più forti.

Non basta essere vigorosi e audaci e di bell’aspetto, occorre dimostrare la propria virtù (l’areté), che venga riconosciuta dai pari, che la fama (klèos)sia legata al nome e che dopo la morte resti il ricordo. Ettore dopo aver allontanato per dieci anni la caduta di Troia, sarà ucciso da Achille, il suo cadavere sarà legato a un carro e trascinato per tre volte attorno alle mura di Troia. Solo dodici giorni dopo il suo corpo sarà restituito al padre Priamo, il quale non potendo sopportare la vista del corpo del figlio massacrato e fatto scempio, si recherà nel campo; per ordine di Giove il vecchio re sarà accompagnato da Mercurio, messaggero degli dei, passerà inosservato attraverso il campo nemico fino alla tenda di Achille e otterrà il corpo del figlio, dopo averlo riscattato con l’oro e potrà così rendergli l’onore della sepoltura.

Ettore pertanto, è diventato il simbolo dell’amore per la patria e il simbolo dell’amore sfortunato. Andromaca, eroina umana e viva dell’epica greca, dopo la distruzione di Troia sarà fatta prigioniera da Neottolemo (Pirro), figlio di Achille; secondo la tragedia Andromaca di Euripide diventerà la sua concubina e da lui avrà un figlio, Molosso, futuro capostipite dei Molossi. Astianatte, secondo una versione, sarà ucciso da Neottolemo e gettato dalle mura di Troia, secondo la tragedia Andromaque di Racine, dopo diverse esitazioni Andromaca accetterà il matrimonio con Pirro solo per salvare il figlio Astianatte da sicura morte.

Sulla figura di Omero tutto è incerto su di lui, se sia veramente vissuto e se sia l’unico autore dei due grandi poemi epici, che sin dall’antichità gli vengono attribuiti; anche l’origine del suo nome, di etimologia non greca significherebbe “ostaggio”, per altri “cieco”. Persino la patria è incerta, diverse città si vantavano di avergli dato i natali: Chio, Smirne, Itaca, Atene ecc. Ci sono studi che affermano che originariamente non furono composti da un solo poeta, né tantomeno in un solo periodo. Secondo la testimonianza di Erodoto, Omero è collocato nel IX secolo a.C. ritenendolo più vecchio di lui di quattrocento anni; ma le date oscillano fra il XII ed il VI secolo a.C. Dobbiamo però dire, che per il mondo antico fino all’età ellenistica, Omero era realmente vissuto e aveva composto l’Iliade e l’Odissea, così come sono stati tramandati.

Per secoli gli aedi o i rapsodi itineranti hanno cantato e intrecciato fra loro le storie e i personaggi dei poemi fino a fondersi nei due poemi omerici tra l’VIII e il VII secolo a.C. Indubbiamente i poemi omerici dell’Iliadee dell’Odisseahanno un grande valore artistico, non solo per l’abilità narrativa, per la naturalezza con cui il divino si mescola all’umano, la realtà al fantastico, ma anche perché sono il primo tentativo dei greci di ricostruire la propria storia.