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AMEDEO DI SORA – “La barca dell’amore s’è spezzata…” ANNA MANNA CLEMENTI – “Il fascino dell’alba per un incontro storico memorabile:

Saggi

Rubrica a cura di Lucia Bonanni, Valtero Curzi, Francesca Luzzio, Francesco Martillotto e Lorenzo Spurio

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La barca dell’amore s’è spezzata… di AMEDEO DI SORA110

Bisognava farlo fuori. E lo hanno fatto fuori… Uccidere una persona con le sue stesse mani è la più terribile forma di omicidio, sacrilega e crudele.

(SERGEJ ĖJZENŠTEJN)

Nel suo recente e importante saggio, Il defunto odiava i pettegolezzi111, Serena Vitale, a partire dal titolo (che ripropone le parole della lettera d’addio di cui tra breve tratteremo), evidenzia con chiarezza gli obiettivi della sua ricerca-inchiesta: ricostruire gli eventi che precedono la morte violenta di Vladimir Majakovskij. Se il grande poeta rivoluzionario si è davvero suicidato il 14 aprile 1930 (incongruenze e aporie non mancano) con un colpo di pistola in pieno petto, perché lo ha fatto?

Partiamo dal comunicato ufficiale della «Pravda», pubblicato il 15 aprile 1930, a pag. 5: «Ieri, 14 aprile, alle ore 10.15 del mattino, il poeta Vladimir Majakovskij si è tolto la vita nel proprio studio. Come ha riferito al nostro inviato l’inquirente I. Syrcov, le indagini preliminari dimostrano che il suicidio è stato causato da motivi di natura privata che nulla hanno a che vedere con l’attività pubblica e letteraria del poeta. Prima del suicidio il poeta ha sofferto di una lunga e grave malattia, dalla quale non si era mai completamente ripreso»112 .

Il comunicato circoscrive le cause dell’atto autodistruttivo del poeta, rivoluzionario e comunista, in un ambito strettamente privato con l’aggravante di una lunga malattia dalla quale non si sarebbe mai “completamente ripreso”113. La sfera pubblica (l’impegno politico e culturale) viene categoricamente esclusa. Ma è opportuno riportare, pressoché integralmente, l’ultima lettera rinvenuta nello studio del poeta:

110 AMEDEO DI SORA (Frosinone, 1953), docente di Italiano e Latino nei licei. Autore, regista, attore e vocalista, è direttore artistico della Compagnia Teatro dell'Appeso da lui fondata a Frosinone nel 1980, con la quale ha partecipato a vari festival e rassegne teatrali di carattere nazionale e internazionale. Poeta, narratore e saggista, collabora con numerose riviste letterarie ed è redattore della rivista Il piede e l’orma. È autore di numerose pubblicazioni, tra cui Poezi Poesie(poesie tradotte in albanese da Gëzim Hajdari, 2001), I luoghi e l'anima (2003), Alle sorgenti del Socialismo (2007), Il Teatro dell’Appeso(2010), Dieciregisti in cerca d’autore(2014) e Tracce di mare(2015). 111 SERENA VITALE, Il defunto odiava i pettegolezzi, Adelphi, Milano, 2015. 112 Ivi,pp. 46-47. 113 Si alludeva, molto probabilmente, alla fandonia che Majakovskij fosse affetto da sifilide (la malattia del capitalismo!), diffusa da quello stesso Gor’kij che aveva versato lacrime di commozione sul panciotto del poeta dopo aver letto La nuvola in calzoni .

A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è: Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio. Le poesie non finite datele ai Brik, vi ci sapranno raccapezzare.

Come si dice,/l’incidente è chiuso./La barca dell’amore/s’è spezzata/contro il quotidiano./La vita e io/siamo pari./Inutile elencare/offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate, siate felici.

12/IV/’30 (…)114

VLADIMIR MAJAKOVSKIJ

Il poeta indica nella lettera, tra i componenti della sua famiglia, oltre alla mamma e alle sorelle, due donne: Lilja Brik e Veronika Polonskaja. La prima, a partire dal 1915, entrò a far parte della sua vita costituendo un profondo legame, non solo sentimentale, che durò fino alla fine. Quando i due cominciarono a frequentarsi e s’innamorarono, Lilja era già sposata con lo scrittore e critico letterario Osip Brik, amico e collaboratore del poeta. I tre diedero vita a una relazione non conformista, vivendo insieme sotto lo stesso tetto.115 Ma, oltre alla Brik, il poeta ebbe altre relazioni sentimentali.

«All’inizio di ottobre [del 1928] Majakovskij si recò a Parigi, dove rimase fino ai primi di dicembre. Oltre alle questioni puramente letterarie (e all’acquisto di una Renault!), lo scopo del viaggio era questa volta particolare. Il 20 ottobre Majakovskij lasciò Parigi e si recò a Nizza, dove soggiornava l’amica americana Elly Jones con la figlioletta. Questo era il primo incontro tra Majakovskij e Elly Jones dal 1925, il primo in genere con la bambina il cui padre era, evidentemente, lo stesso Majakovskij. Come è noto, il poeta non amava molto i bambini piccoli, e l’incontro di Nizza fu […] un fallimento: già il 25 aveva fatto ritorno a Parigi. La sera di quello stesso giorno Majakovskij fece conoscenza con Tat’jana Jakovleva, una giovane russa che nel 1925 si era trasferita a Parigi. Secondo Elsa Triolet [sorella di Lilja Brik], fu lei a presentarli, in ogni caso l’incontro non fu casuale. (…) Majakovskij e Tat’jana Jakovleva s’innamorarono subito l’una dell’altro. […] Ora, per la prima volta dal 1915, aveva incontrato una donna della sua stessa “statura”. Per cinque settimane s’incontrarono ogni giorno»116 .

Della bella ed elegante Tat’jana, Majakovskij s’innamorò con lo slancio appassionato e totale che spesso lo animava e che questi versi testimoniano pienamente: «L’amore / non è / nel bollire più sodo, / non è / nell’esser bruciati come carboni, / ma in ciò / che sorge dalle montagne dei petti / sopra le giungle dei capelli. / Amare / significa / correre in fondo / al cortile / e sino alla nottecorvina / con l’ascia lucente / tagliare la legna, / giocando / con la propria / forza. / Amare / è sciogliersi / dalle lenzuola / strappate dall’insonnia, /gelosi di Copernico, / lui, / e non il marito d’una Maria Ivànovna / considerando / proprio / rivale. / Per noi / l’amore / annunzia ronzando / che di nuovo / è stato messo in marcia / il motore / raffreddato del cuore»117. L’amore, per Majakovskij, è sempre immenso, straripante: l’amore

114 GIOVANNI BUTTAFAVA, Per conoscere Majakovskij, Mondadori, Milano, 1977, p. 367. 115 «Solo nel 1918 potei parlare a Osip con sicurezza del nostro amore. […] Tutti e tre decidemmo di non separarci mai e vivemmo le nostre esistenze da intimi amici», in MAJAKOVSKIJ-BRIK, L’amore è il cuore di tutte le cose – Lettere 1915-1930, Mondadori, Milano, 1985, p. 27. 116 B. JANGFELD, Introduzione a MAJAKOVSKIJ-BRIK, op. cit., pp. 47-48. 117 VLADIMIR MAJAKOVSKIJ, Lettera al compagno Kostròv da Parigi sulla sostanza dell’amore in GIOVANNI BUTTAFAVA, op. cit., pp. 163-164.

di tutti nel desiderio comune di sconfiggere la vita quotidiana in un futuro socializzato e l’amore a due come momento preliminare di realizzazione dell’amore collettivo.

Ai Brik si deve l’incontro, nel 1929, con Veronika Polonskaja (detta anche Nora), giovanissima attrice del Teatro d’Arte di Mosca, citata nella lettera d’addio, che allora aveva ventidue anni ed era già sposata. L’incontro fu organizzato proprio al fine di guarire il poeta dall’amour fou che ancora provava per Tat’jana fino al punto di pensare di prenderla in moglie (sarà invece la donna, di lì a poco, a sposarsi con il visconte Bertrand du Plessis). E Majakovskij s’innamora di Nora (Veronika) e si lega a lei sempre di più. In quel fatidico 1930, Vladimir è trentasettenne, avverte tragicamente lo sfiorire degli anni e ne prova orrore. Inoltre, si sente profondamente solo, soffre per le stroncature, le accuse, le umiliazioni che gli vengono rivolte da più parti. L’inverno russo è particolarmente inclemente, è spesso affetto da febbre e tosse, è tormentato da affezioni polmonari. Lili e Osip Brik sono partiti. Ha rotto con gli amici del LEF (Fronte di sinistra delle arti) e il 6 febbraio ha aderito alla RAPP (Associazione russa degli scrittori proletari) che, in quanto custode dell’ortodossia ideologica, non aveva lesinato critiche feroci e velenose nei suoi confronti considerandolo un «intellettuale declassato», estraneo alla rivoluzione proletaria in quanto protagonista dell’avanguardia cubo-futurista con la sua smagliante e provocatoria blusa gialla.

Il 1° febbraio era stata inaugurata una sua mostra intitolata “Venti anni di lavoro”, al cui allestimento si era dedicato con enorme dispendio di energie fisiche e nervose e che vide la partecipazione di tanti studenti e operai ma, ad eccezione di Viktor Šklovskij e di Osip Brik, fu disertata dagli scrittori e dai poeti nonché dalle autorità politiche, e la delusione (mista a risentimento) contribuì certamente a far maturare la decisione di entrare a far parte della RAPP. La rivoluzione, che Majakovskij concepì essenzialmente come strumento di palingenesi, possibilità di trasformare, con la società, la vita stessa (chimerico disegno delle avanguardie artistico-letterarie primonovecentesche), di realizzare le Comuni in cui risuonassero tante poesie e canzoni, aveva dato vita a un regime dai forti tratti burocratici e polizieschi e all’orizzonte si addensavano le plumbee nubi del realismo socialista.

La barca dell’amore, costretta a navigare tra mefitiche acque stagnanti e perigliosi gorghi di angosciosa solitudine, era destinata a infrangersi rovinosamente – come si legge nei versi rinvenuti nella lettera d’addio – contro la vita quotidiana (byt) che per il poeta rappresentava la mortale routine negatrice del futuro, in quanto affermava la staticità e la noia di un presente strettamente collegato, senza soluzione di continuità, con le anticaglie polverose e soffocanti del passato. La sua era una permanente rivolta contro l’ordine esistente, contro l’inerzia dello stato più che contro lo Stato. E allora, forse, quando Majakovskij si rese conto che non esisteva più alcuna possibilità di realizzare l’utopia del futuro attraverso l’amore, decise di mettere il punto di una pallottola alla sua fine; ma volle ancora, in un estremo tentativo, ricercare l’utopia del futuro, proiettandosi verso i territori inesplorati della morte. Come i grandi romantici, come un Werther rivoluzionario, volle tentare, attraverso la morte, di fondersi nel Cosmo, di ricongiungere il suo cosmico Io con la Totalità dell’Universo: «Guarda che silenzio regna sul mondo / la notte ha rivestito il cielo del suo tributo di stelle / in ore come queste ti alzi e parli / ai secoli alla storia e all’universo».