Euterpe n 25 novembre 2017 autori internazionali e la loro influenza nella letteratura italiana

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RIVISTA DI LETTERATURA “EUTERPE” APERIODICO TEMATICO DI LETTERATURA ONLINE

ISSN: 2280-8108 N° 25 – NOVEMBRE 2017

AUTORI INTERNAZIONALI E LA LORO INFLUENZA NELLA LETTERATURA ITALIANA

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Rivista di Letteratura Online “Euterpe” ISSN: 2280-8108 N°25 / Novembre 2017 -Aperiodico tematico di letteratura-

Fondato nell’ottobre del 2011 Contatti: Indirizzo fisico:

Associazione Euterpe - c/o Dott. Lorenzo Spurio – Via Toscana 3 - 60035 Jesi (AN) Sito internet: www.rivista-euterpe.blogspot.com Mail: rivistaeuterpe@gmail.com Pec: ass.culturale.euterpe@pec.it Tel: (+39) 327 5914963

Redazione:

Lorenzo Spurio, Emanuele Marcuccio, Cristina Lania, Luigi Pio Carmina, Martino Ciano, Francesco Martillotto, Antonio Melillo, Valentina Meloni.

Hanno collaborato a questo numero:

Corrado Aiello, Elisa Allo, Stefania Andreoni, Cinzia Baldazzi, Diego Bello, Donatella Bisutti, Franco Buffoni, Luigi Pio Carmina, Samanta Casali, Martino Ciano, Valtero Curzi, Mario De Rosa, Carmen De Stasio, Angela Fabbri, Maria Grazia Ferraris, Tina Ferreri Tiberio, Fiorella Fiorenzoni, Monia Fratoni, Simona Giorgi, Denise Grasselli, Angela Greco, Eufemia Griffo, Giuseppe Guidolin, Izabella Teresa Kostka, Raffaella La Ferla, Cristina Lania, Antonietta Losito, Dante Maffia, Antonio Mangiameli, Anna Manna, Emanuele Marcuccio, Francesco Martillotto, Alessandra McMillan, Antonio Melillo, Valentina Meloni, Gabriella Mongardi, Stefania Pellegrini, Maurizio Petruccioli, Matteo Piergigli, Luciana Raggi, Mariangela Ruggiu, Antonio Sacco, Luciana Salvucci, Vittorio Sartarelli, Antonio Spagnuolo, Lorenzo Spurio, Rita Stanzione, Chiara Taormina, Laura Vargiu, Michele Veschi, Michela Zanarella.

Corrispondenza:

I materiali vanno inviati in formato Word alla mail seguendo le “Norme redazionali” indicate sul sito internet: http://rivista-euterpe.blogspot.it/p/norme-redazionali.html È richiesto di allegare un proprio profilo bio-bibliografico di almeno dieci righe Times New Roman corpo 12 scritto in terza persona. L’invio di foto, di foto di dipinti e sculture è possibile ma va citato l’oggetto ripreso o ritratto e l’autore della foto. Sarà compito del collaboratore – e sua unica responsabilità – provvedere all’eventuale ottenimento di licenze e liberatorie all’uso di tali materiali.

Recensioni di libri:

La Redazione accoglie le richieste di recensioni di opere poetiche, narrative, saggistiche e d’altro tipo ma queste verranno prodotte solo nei casi in cui la Redazione o un redattore o più esprima parere favorevole. Per coloro che sono interessati si richiede l’invio di una copia cartacea alla sede della Associazione Culturale Euterpe. L’accettazione da parte della Redazione della stesura di una recensione sul proprio volume non corrisponde automaticamente alla pubblicazione della stessa nel numero direttamente successivo, ma avverrà con tempistiche idonee alla Redazione.

Prossimo numero:

Il prossimo numero della rivista avrà come titolo “Emigrazione: sradicamento e disadattamento”. I materiali dovranno pervenire alla mail rivistaeuterpe@gmail.com entro il 28/02/2018. È possibile seguire l’evento FB del prossimo numero a questo link: https://www.facebook.com/events/301378440360133/

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Aperiodico tematico di letteratura fondato nell’ottobre 2011

Tema del numero: “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura straniera”

ISSN: 2280-8108 N° 25/ Novembre 2017

Rivista di Letteratura Online “Euterpe”

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Indice EDITORIALE

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POESIA

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AFORISMI

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KOMOREBI (HAIKU)

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NARRATIVA

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A cura di Lorenzo Spurio

MICHELE VESCHI - “Babele non dimentica” TINA FERRERI TIBERIO – “Ode a Paul Valéry” ANTONIO SPAGNUOLO – “Tradurre” ALEXANDRA McMILLAN – “Qualcosa che brucia (Leggendo Bukowski)” VALENTINA MELONI – “in ricordo di te (a F.G. Lorca)” MICHELA ZANARELLA – “Dove l’aria è troppo densa (A Pual Verlaine)” CRISTINA LANIA – “Ieri… oggi” SIMONA GIORGI – “Samsa” ANNA GRECO – “Senza titolo” MARIO DE ROSA – “L’ultimo hotel” EUFEMIA GRIFFO - “Del perduto amore, a Jane Austen” STEFANIA PELLEGRINI – “A Mallarmé” EMANUELE MARCUCCIO – “Assassinio. Terzo omaggio a Garcia Lorca” EMANUELE MARCUCCIO – “Eternità” LUCIANA RAGGI – “A Emily Dickinson” ELISA ALLO – “Le parole del mare” RAFFAELLA LA FERLA – “Dalla radice dei denti” FIORELLA FIORENZONI – “Goethe” ANNA MANNA – “I segreti del bosco”

Aforismi di VALENTINA MELONI Aforismi di DONATELLA BISUTTI Aforismi di EMANUELE MARCUCCIO

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Rubrica a cura di Valentina Meloni con haiku di ANTONIO SACCO, MAURIZIO PETRUCCIOLI, ELISA ALLO, ANGELA FABBRI, EUFEMIA GRIFFO, DIEGO BELLO, MATTEO PIERGIGLI, MARIANGELA RUGGIU, CORRADO AIELLO, CHIARA TAORMINA, GIUSEPPE GUIDOLIN, RITA STANZIONE, ANTONIETTA LOSITO, STEFANIA ANDREONI, ANTONIO MANGIAMELI

MICHELE VESCHI – “Il mio amico George”

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VITTORIO SARTARELLI – “Quel viaggio in Calabria” ELISA ALLO – “A Kidnapping Story”

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ARTICOLI

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DANTE MAFFIA – “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura italiana” FRANCO BUFFONI – “Su Auden” MARIO DE ROSA – “La beat generation e il premio ‘Jack Kerouac’” SAMANTA CASALI – “Jane Austen e la sua influenza nella letteratura italiana contemporanea” TINA FERRERI TIBERIO – “Un approfondimento su Paul Valéry”

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CRITICA LETTERARIA

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RECENSIONI

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INTERVISTE

78

CONCORSI LETTERARI

91

GABRIELLA MONGARDI – “Perché leggere Kafka” 36 VALTERO CURZI – “Goethe e I Dolori del giovane Werther, ispiratore di una poetica in Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Affinità tra il Werther, l’Ortis e Consalvo 41 LUCIANA SALVUCCI – “Contributo dell’opera di Fernando Pessoa alla cultura italiana” 46 MONIA FRATONI – “Sulle tracce di Orfeo nella poesia di Arthur Rimbaud e Dino Campana” 50 EUFEMIA GRIFFO – “Sylvia Plath, la fragilità di una donna e l’istinto della morte” 53 DENISE GRASSELLI – “Chi era Fernando Pessoa, lo scrittore portoghese che ispirò Antonio Tabucchi” 56 CARMEN DE STASIO – “Marcel Proust: l’autonomia della memoria” 58 CINZIA BALDAZZI – “La poesia come ricostruzione del reale: Friedrich Hölderlin nell’Ermetismo di Mario Luzi” 64 MARIA GRAZIA FERRARIS – “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura italiana” 67

LAURA VARGIU – “Mrs Bridge di Evan S. Connell” LAURA VARGIU – “Le mie poesie più belle di Nizar Qabbani” MARTINO CIANO – “Joris-Karl Huysmans: A ritroso” GABRIELLA MONGARDI – “L’orizzonte di Patrick Modiano” Segnalazione del volume Ingólf Arnarson di Emanuele Marcuccio

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VALENTINA MELONI – “Qué es poesía?: Intervista al poeta Pedro Enríquez” 78 IZABELLA TERESA KOSTKA – “Intervista al Maestro Guido Oldani, padre del Realismo Terminale” 83 LORENZO SPURIO – “Dall’altro lato del mare: intervista a Irma Kurti” 86

II Premio Internazionale di Letteratura “Antonia Pozzi” – Per troppa vita che ho nel sangue (scadenza: 28-02-2018) 91 II Premio Nazionale “Novella Torregiani” – Letteratura e Arti Figurative (scadenza: 31-122017) 93 VI Premio Internazionale “Poesia ASAS” (scadenza: 10-12-2017) 97 II Premio Letterario “Città di Chieti” (scadenza: 28-02-2018) 100

LA ASSOCIAZIONE EUTERPE

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EDITORIALE

Con questo nuovo numero della rivista siamo felicemente arrivati al venticinquesimo e ci approssimiamo a chiudere il 2017 che è stato senz’altro impegnativo a livello di eventi, iniziative e concorsi portati avanti in seno alla Associazione Culturale Euterpe nata a Jesi nel marzo del 2016 e che ha inglobato al suo interno, tra le tante realtà culturali, anche questa della rivista nata già nell’ottobre del 2011. Vale a dire che il prossimo anno compirà i suoi primi sette anni che, nel mare magnum delle iniziative editoriali e culturali che nascono in rete negli ultimi tempi, mi sembra sia un traguardo già di per sé entusiasmante e apprezzabile. Ciò è stato permesso grazie a validi collaboratori che nel tempo hanno dedicato il loro tempo – a titolo meramente gratuito, ci tengo a sottolinearlo – la loro attenzione e professionalità per seguire un progetto nato effettivamente con pochissimi mezzi ma idee valide e sostenute con energia. Nel corso di questi anni la redazione ha, infatti, visto allargamenti, nuovi arrivi e ha seguito quindi una sua naturale gestazione di crescita e sviluppo sino ad arrivare ad oggi. Ringrazio non solo quelli che – forse impropriamente definisco “redattori” della rivista, essendo essa una pubblicazione aperiodica – che hanno permesso non solo con i propri interventi di dar linfa alla rivista ma di permetterne la sua espansione e diffusione. Siamo, infatti, particolarmente felici di aver allargato, nel giro di pochissimi anni, il nostro pubblico e le collaborazioni. Nel tempo – come è stato già osservato – hanno scritto su questa rivista (pubblicando inediti o proponendo contributi già pubblicati in cartaceo o altro) esponenti di spicco della cultura letteraria italiana e non solo di cui, per brevità, mi pregio citare la poetessa brasiliana Marcia Theophilo (vincitrice nel 2015 del Premio alla Carriera nel noto Premio “Città di Vercelli” per la poesia civile), il poeta, critico letterario e scrittore candidato al Premio Nobel per la Letteratura Dante Maffia (al quale recentemente, all’interno della VI edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, abbiamo attribuito il Premio alla Carriera e la targa di Socio Onorario), il prof. Giuseppe Langella (Università Cattolica di Milano), la poetessa fiorentina Mariella Bettarini, i poeti Corrado Calabrò, Antonio Spagnuolo, Nazario Pardini, Tomaso Kemeny, Franco Buffoni, i critici Giorgio Linguaglossa, Maurizio Soldini, Domenico Pisana e tanti altri ancora. Per un desiderio di esaustività su tutti gli autori che hanno collaborato con noi dalla nascita della rivista ad oggi consiglio di cliccare qui nella sezione dell’Archivio delle partecipazioni. Felici e onorati della loro collaborazione alla nostra rivista che si è sempre caratterizzata per una grande apertura di idee, sia per le tematiche di volta in volta proposte (si pensi ai numeri dedicati a “Quando l’arte diventa edonismo” ovvero il n° 17 e a “Sesso e seduzione nella letteratura” ovvero il n°18), sia per dar spazio anche a giovani scrittori, giornalisti in erba, studenti universitari con i loro articoli o estratti di tesi di laurea. Uno spazio culturale dinamico, multidisciplinare e giovane inteso più ad essere una sorta di laboratorio che di contenitore di voci disparate, di stili distanti, di interessi ampi per settori, tematiche, periodi storici investigati. Ciò ha dato modo di scoprire o rileggere anche intellettuali o autori in parte tralasciati, emarginati dalla cultura ufficiale delle major editoriali oppure di nicchia e, ancor più di paesi e letterature a noi diversi. Non mi è possibile, per ragioni di spazio citare alcuni di questi che hanno trovato accoglimento in rivista attraverso gli approfondimenti critici di quanti hanno deciso di dedicargli saggi, articoli o note di lettura, ma è sempre possibile riferirsi al link dell’Archivio. 5


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ISSN: 2280-8108 N° 25/ Novembre 2017

Rivista di Letteratura Online “Euterpe”

Una rivista che è cresciuta e continua a farlo, anche grazie agli elementi innovativi che di volta in volta si sono aggiunti. Vorrei riferirmi alla breve ma riuscita esperienza editoriale lanciata da Martino Ciano definita “Stile Euterpe” volta a dedicare un volume a un autore della nostra letteratura italiana rileggendolo e ponendolo all’attenzione secondo luci e forme comunicative diverse: poesie a lui dedicate, racconti che ne hanno richiamato l’ambientazione delle sue storie o, appunto, saggi di approfondimento dal taglio sia accademico che divulgativo. Esperienza che ha visto la pubblicazione nel 2015 del volume dedicato allo scrittore siciliano Leonardo Sciascia e nel 2016 del genio Aldo Palazzeschi. Quest’anno, per ragioni di carattere meramente gestionali di quello che sarebbe stato il terzo volume, dedicato a Elsa Morante e curato da Valentina Meloni, abbiamo dovuto accontentarci di pubblicare i pochi – ma validi – materiali che erano giunti su un precedente numero della rivista, ovvero il n°22 dedicato a “La storia come testimonianza”. Ed è infatti questo il discorso sul quale ci siamo sempre posti e che ci spinge ad andare avanti con questo magnifico e arricchente percorso attorno ai vari numeri, alle tematiche proposte dalla rivista. Un mondo di interscambio e analisi, di riscoperta e approfondimento, di studi comparati, speculazioni e di argomentazioni anche attorno a tematiche che spesso hanno un’incidenza sociale rilevante (ricordo i numeri 12,14,19 dedicati rispettivamente all’impegno ecologico: “La natura in pericolo!”, alle ingiustizie diffuse: “Diritti mancati di questa società” e alla scrittura di denuncia: “L’impegno civile: la letteratura impegnata”). Sono nate nel tempo anche nuove rubriche: “Démon du midi” a cura del poeta e critico letterario e d’arte Antonio Melillo dedicata al mondo dell’arte, della critica d’arte, delle rassegne di mostre, performance, inaugurata nel n°22. Più recentemente è nata anche la rubrica “Komorebi” – che esordisce in questo ultimo numero del 2017 – voluta e curata dalla poetessa haijin Valentina Meloni e che raccoglie, con una sua presentazione e commento testi di haiku, tanka e altri componimenti della tradizione orientale. Ed è questa la giusta occasione per comunicare che la redazione, a partire dal prossimo anno, si allarga ulteriormente con nuovi collaboratori certi che, con la loro serietà e professionalità, daranno un contributo determinante allo sviluppo del progetto. La nuova compagine della redazione, di cui si può leggere in maniera più approfondita in rete cliccando qui, vedrà organizzate le varie sezioni – ciascuna identificata da un titolo – che saranno gestite e curate da vari “redattori” secondo lo schema che segue: “Il respiro della parola” (POESIA): Michela Zanarella, Emanuele Marcuccio, Cristina Lania, Alessandra Prospero “La parola essenziale” (AFORISMI): Emanuele Marcuccio “Komorebi” (HAIKU): Valentina Meloni “Istantanee di vita” (NARRATIVA): Martino Ciano, Luigi Pio Carmina, Lorena Marcelli “Ermeneusi” (CRITICA LETTERARIA): Francesco Martillotto, Antonio Melillo, Lucia Bonanni, Francesca Luzzio “Démon du midi” (CRITICA D’ARTE): Antonio Melillo, Valtero Curzi “La biblioteca di Euterpe” (RECENSIONI): Alessandra Prospero, Laura Vargiu “Maieutiké” (INTERVISTE): Valentina Meloni

Come sempre, ringraziamo tutti coloro che dimostrano attenzione verso il nostro progetto prendendo parte ai vari numeri, augurandoci di poter contare ancora sui loro interventi rimanendo, altresì, aperti e disponibili alla lettura e alla considerazione di nuove proposte. Sul nostro sito internet, cliccando qui, è possibile prendere visione delle “Norme editoriali” richieste per la partecipazione ai prossimi numeri e alle modalità di invio dei testi. Lorenzo Spurio

Jesi, 17-11-2017 6


POESIA Ode a Paul Valéry TINA FERRERI TIBERIO2

Tema del numero: “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura straniera”

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In cent’anni di solitudine Prossimi alla nevrotica rovina Avremmo giudicato fazioso Il loro punto di vista. In mera solitudine. Colpiti da erranti mulini a vento Sbalzati in aria da mirabilie della nostra psiche Avremmo giudicato ridicolo Il loro punto di vista. In mera solitudine. Navigati da distese d’acqua ancora senza nome Incapaci di nominarci Avremmo giudicato incosciente Il loro punto di vista. In mera solitudine. Poi li abbiamo rilegati, ascoltati, guardati, visti riciclati e criticati. Dimenticando che camminavamo in territori sconfinati Approfittando della nuova comprensione Come di un caro abbraccio duraturo. Per mano.

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Babele non dimentica MICHELE VESCHI1

Ode a te Paul Valéry, Poeta metafisico. La mediterranea Cette vide i tuoi natali e Parigi ne consacrò lo spirito. Hai saputo esprimere nella musicalità dei temi <l’anima> delle cose e i moti della vita profonda. Tu sei il Poeta dell’autocoscienza. Ti sei rifugiato in te stesso e a te stesso hai rivolto lo sguardo, hai reso sublime il canto verso l’Io e l’Universo. Narcisse, il tuo tema prediletto, è un inaccessibile demone, perché l’essere, sempre, sfugge all’infinito. In una ebbrezza, quasi dionisiaca, hai saputo tradurre con toni vibranti, il tormento introspettivo, ma… entro il rigore apollineo della tua arte. Ed io, riverente mi inchino, rapita dall’ “ incanto” / “charme” dei tuoi immortali versi, carichi di fremiti e di illusorie visioni e con essi ripeto: “ le vent se lève…il fauttenter de vivre”.

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Michele Veschi (Senigallia, 1983), perito nautico all'Istituto Tecnico Nautico "A. Elia" di Ancona nel 2002. Autore di diverse antologie di narrativa e poesia (finalista premio A. Merini nel 2015). Nel 2016 è stato inserito nell'enciclopedia di Poesia contemporanea del premio Internazionale Mario Luzi.

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Tina Ferreri Tiberio (S Ferdinando di Puglia), docente in pensione. Laureata in Pedagogia, ha insegnato nella scuola dell’Infanzia, poi Storia e Filosofia in un Liceo Scientifico. Alcune sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti e attestazioni. Suoi componimenti poetici sono presenti in diverse antologie. Suoi saggi di carattere storico-filosofico sono presenti nella rivista semestrale “Il Vascello”, rassegna di cultura, Scuola, Società, dell’Istituto di Istruzione Superiore “Michele Dell’Aquila” di San Ferdinando di Puglia.


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Qualcosa che brucia (Leggendo Bukowski) ALEXANDRA MCMILLAN4

Sospesa nel fulgore della luce una scala riporta le illusioni del cielo , un cielo argento, che sospende il chiarore dell’alba nelle incoerenze di nuvole impazzite. Così le frasi per altre lingue si intrecciano nel tessuto della nostra storia per visoni nella breve parola. Il volo dei gabbiani riconduce al perdono di visioni imperfette, quando nel raggio lungo del colore si ripetono solitudini per confondere promesse. Il passo incerto nelle figure raccolte, il tempo dell’abbaglio, e si nasconde l’arco che piega le gemme sciolte, ed è un sospetto il nero delle pagine così folle all’attesa , nel gioco attento del richiamo. Contenere l’immenso respiro è la promessa del fulgore.

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Tradurre ANTONIO SPAGNUOLO3

Succede, poi, di farci l’abitudine a starsene un po’ in disparte, un passo indietro, non troppo dentro alle cose come a non avere più vento per andare. Io avevo aperto la finestra e pensavo che almeno un frammento di mondo devi pur lasciarlo entrare, presto o tardi Tutte queste strade, tutte queste stelle disperse in innumeri cieli distratti che lasciano volar via i pensieri e restituiscono aquiloni colorati in volo. Ma a che serve? A che serve questo amore infinito ed eterno, il riflesso tremulo del vento nelle foglie? si piega come una canna docile il mio cuore Potrei pregare per il sangue, la morte, l’aria riempita della danza dei rapaci, potrei gridare, oh, non passerebbe giorno ma a che serve? Preferisco non soffocare il riso, preferisco far voto al sole di ridere per sempre in ogni luogo di proteggere il mio piccolo spazio in cui vivo la mia vita e morirò, lo spero, la mia morte non la loro vita, non la loro morte non il loro odio, né il loro amore il mio amore, la mia rabbia, forse il tuo amore, certo. Scrivere, certo. Che lo so io se non c’è qualcosa che mi brucia dentro. Il tuo poeta, certo. La tua bocca, la tua mente, le tue viscere, certo, perché sono i miei e serve, oh, lo so che serve non agli altri, no, a nessun altro, a pochi, a qualcuno. Ma serve. La tua vita, la mia vita, la tua morte, la mia morte perché voglio morire nel tuo oceano, tremarti come una piccola foglia sulle labbra Questo mi serve.

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Antonio Spagnuolo (Napoli, 1931) ha collaborato e collabora con periodici e riviste letterarie tra cui «Altri termini», «Hebenon», «Capoverso», «Gradiva», «Il Cobold», «Incroci», «Issimo», «La clessidra», «La Mosca», «L'immaginazione», «L'involucro», «L'Ortica», «Lo stato delle cose», «Mito», «Offerta speciale», «Oltranza», «Poiesis», «Polimnia», «Porto Franco», «Silarus». Numerose le sillogi poetiche pubblicate tra le quali ricordiamo Ore del tempo perduto (1953), Rintocchi nel cielo (1954), Erba sul muro (1965), Affinità imperfette (1978), Candida (1985), Infibul/azione (1988), Io ti inseguirò (1999), Corruptions (2004), Fugacità del tempo (2007), Fratture da comporre (2009), Il senso della possibilità (2013), Da mozzare (2016). Curatore di varie antologie di poeti contemporanei e di studi sulla poesia d’oggi, tra cui

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L’evoluzione delle forme poetiche. La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio 1990-2012 (2012), curata assieme a Ninnj Di Stefano Busà. Numerosissimi i premi letterari vinti tra cui il Città di Terracina (1982), l’Adelphia (1985), il Mario Stefanile (1985), il Città di Venezia (1987), il Minturnae (1993).

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Alexandra McMillan (Genova, 1967) laureata in giurisprudenza, ha svolto per qualche anno la professione di avvocato. Da una quindicina d’anni è traduttrice. Si occupa prevalentemente di testi giuridici, con qualche incursione nel campo dell’arte. Scrive per necessità e per amore. Da quest’anno ha iniziato a partecipare a vari concorsi letterari e ha avuto la gioia di ricevere diversi premi e riconoscimenti sia per la poesia che per la prosa. Ha un blog, “Intempestivo Viandante” in cui parla prevalentemente di letteratura e cinema.


Dove l’aria è troppo densa (A Paul Verlaine) MICHELA ZANARELLA6

mi chiedo dove sei oggi che la calura ha sciolto l'incantesimo del tempo e il rimbombo degli spari continua a bucare le nuvole ferito è il cielo di pesca sui campi ha colato il cremisi d'arancia: sangre y recuerdos sulle nostre teste tremano e appassiscono gli allori

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Dove l’aria è troppo densa di dolcezza te ne stai nel timore grezzo di un’angoscia al suo bagliore. E dell’edera ti pesa fino alla stanchezza la sua forma come nera consuetudine ad un respiro affranto e solitario. Nel tempo di un silenzio è colore al precipizio quel destino che t’osserva diviso tra il rimorso e lo sconforto di un mondo che muta tra le macerie aspre della vita. Ambiguo quel canto che nutri di sfumature impure e d’immensità opache, dicevi dell'agrifoglio sono stanco

bisbigliando le labbra poetavano i tuoi versi come una preghiera

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in ricordo di te (a F. G. Lorca) VALENTINA MELONI5

ed è scesa la notte senza che una lacrima sfiorasse le tue ossa senza neppure un fiore sopra il corpo innocente della verità. mi chiedo dove sei stretto nelle mani il ricordo di non avere mai taciuto la tua verde aurora di averti sempre amato e conosciuto in un palpito in un germoglio la vita, la poesia sempre parlano di te

dalle foglie laccate, come un calvario necessario ai sensi indifesi nell’ingenua notte che fedele al buio nei tuoi sogni bizzarri e familiari si completa.

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Valentina Meloni (Roma, 1976), dal 2007 vive in Val di Chiana. Scrive poesie, racconti e aforismi. Per la poesia ha pubblicato Nei giardini di Suzhou (2015), Le regole del controdolore (2016), Alambic (2017), la raccolta di haiku bilingue Nanita (2017), Eva, raccolta poetico-fotografica sulla violenza di genere; per la letteratura d’infanzia le fiabe illustrate Storia di Goccia (2017), Nanuk e l’albero dei desideri, Nanuk e il ragno Alvaro. Altre poesie, racconti, articoli e saggi sono pubblicati in riviste di settore e raccolte antologiche. È redattrice per le rubriche di saggistica InSistenze e recensioni InDicazioni in «Diwali-rivista contaminata».

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Michela Zanarella (Cittadella, 1980), vive a Roma. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: Credo (2006), Risvegli (2008), Vita, infinito, paradisi (2009), Sensualità (2011), Meditazioni al femminile (2012), L’estetica dell’oltre (2013), Le identità del cielo (2013), Tragicamente rosso (2015), Le parole accanto (2017). In Romania è uscita in edizione bilingue la raccolta Imensele coincidenţe (2015). Autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano Magazine e Laici.it. È ambasciatrice per la cultura e rappresenta l’Italia in Libano per la Fondazione Naji Naaman. È alla direzione di Writers Capital International Foundation. Socio corrispondente dell’Accademia Cosentina.


si vestì il sogno quando mi trovai differente, eppur io. Reboante frastuono nella testa risvegliata, ventiquattrore di un aggiogato campionario di tutti i giorni uguale, zittì d'un tratto l'euforico inconscio, e la vitalità a lungo beffata liberò il pensiero. Tutto è nuovo, tutto è vero, tutto posso. Ma chiusa a chiave la stanza della vergogna, svanirono le parole e i miei slanci, afflitti e offesi da inorriditi occhi e fissa umanità, nella polvere ricaddero, di solitudine e spasmi. Recluso tra ributtante sozzura, inabissato nel castigo della mia colpa, la mano fraterna sprangò di buio il divenire, nell’unica luce, di una finestra muta.

Ieri... oggi CRISTINA LANIA7

Versi immortali ancora oggi attuali. Poeti, pittori, cantanti quanto hanno attinto da quei tempi passati. Scrigni preziosi dove sono sono state riposte note, parole, versi... si aprono i lucchetti ed ecco che nuovi poemi canzoni, pitture risaltano nel chiarore dei tempi nuovi mai oblio per chi ha tanto donato a volte non compreso deriso, allontanato eppure il suo nome è scritto a caratteri indelebili su quel firmamento eterno.

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“Essere o non essere” “O Capitano mio Capitano” “Ognuno è solo...”

Senza titolo9 ANGELA GRECO10

Samsa SIMONA GIORGI8

Dunque Il poeta è un fingitore. Da dove può venirgli l’autenticità? Ride qualcuno dello sventurato.

Dal sogno mutata fu la realtà o forse di reale Cristina Lania (Messina) ha sempre scritto fin da piccola e sia gli studi classici che universitari hanno fatto sì che la sua mente e immaginazione potessero spaziare oltre l'Infinito. Tutto ciò che aveva scritto negli anni passati si era perso per vicissitudini varie ed un immenso dolore l'ha riportata alla scrittura. Da poco tempo ha preso a leggere poesie in pubblico, a partecipare a concorsi di poesia, a fare parte di varie associazioni letterarie e accademiche della sua città e non solo. Numerosi i premi letterari e i riconoscimenti conseguiti. La sua prima silloge è intitolata Anima E Oceano; nel 2015 ha pubblicato Le ragazze dei fiori. È redattrice storica della rivista di letteratura “Euterpe”, dal 2013. 8 Simona Giorgi è alla sua prima esperienza poetica. Ha visto pubblicati alcuni articoli di tema ambientale sul sito internet “Sarzana che botta”, sul periodico “Ameglia Informa” e in “Libere Luci”. Si è laureata con lode all’Università di Pisa in Sciente Politiche Internazionali; ha seguito i seminari di Pensiero Sapienziale Greco e i seminari di Ricerca del Sé tenuti dal grecista e filologo Angelo Tonelli; ha partecipato al corso di formazione per Osservatori Elettorali presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

«Tutto può essere tema dell’autenticità» - dici voglio credere che oltre questo tempo dell’inganno e dell’apparenza tu abbia ragione.

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Non è tangibile ciò a cui mi riferisco, ma è la nudità della parola, quando spoglia tenta la salita e tu la chiami Poesia.

ANGELA GRECO, Anamòrfosi, Progetto Cultura, Roma 2017. 10 Angela Greco (Massafra – TA, 1976) per la prosa ha pubblicato Ritratto di ragazza allo specchio (2008); per la poesia A sensi congiunti (2012), Arabeschi incisi dal sole (2013), Personale Eden (2015), Attraversandomi (2015), Anamòrfosi (2017), Correnti contrarie (2017). È presente in diverse antologie e su diversi siti e blog nazionali. È ideatrice e curatrice del collettivo di poesia, arte e dintorni “Il sasso nello stagno di AnGre”. 9

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ISSN: 2280-8108 N° 25/ Novembre 2017

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L’ultimo hotel MARIO DE ROSA11

nell'incompleto amore dal perduto sentiero

L'ultimo hotel di Kerouac o Howl di Allen Ginsberg entrambi sconvolgenti come le trombe di Cassady niente di più o di meno dei marmi di John Keats. Ognuno ci dilania ci addita il vero mostro miseria di ogni giorno che ci insudicia l'aria in cambio d'un lembo d'ignorata speranza che Molock sodomizza.

Resta il rimpianto prigioniero di segni su ruvida carta e di storie narrate ancora senza fine

A Mallarmé STEFANIA PELLEGRINI13 O Stéphane sapiente tessitore di parole qual delirio aveva l'attimo su un abisso di vuoto e silenzio quando musico ti facevi di suadenti accordi ! O umile maestro nello spirito smanioso amatore di fiori di loto replicò l'attimo fuggevole. Replicò magicamente in sequele di balli dell'onda.

Del perduto amore, a Jane Austen12 EUFEMIA GRIFFO Corre l'inchiostro nelle notti insonni senza più sogni alla luce di luna dall'argenteo chiarore Nella memoria illusioni già infrante inquietudine

Mario De Rosa (Morano Calabro – CS, 1953) ha frequentato la Facoltà di Magistero a Roma, corso di Lingue e Letterature Straniere, scegliendo Tedesco come lingua principale. La sua grande passione per la poesia e per la letteratura mondiale riaffiora negli anni 2000. Nel 2006 inizia a partecipare a concorsi letterari vincendone parecchi in varie regioni d’Italia. Numerosi i riconoscimenti anche per la poesia in dialetto. Ha ideato, organizzato e condotto reading poetici e ha fondato il Premio Internazionale “Morano Calabro Città d’Arte” dedicato annualmente a esponenti di spicco del panorama letterario mondiale (Dino Campana, John Keats, Arthur Rimbaud, Jack Kerouac, Amelia Rosselli/Sylvia Plath). Giurato e presidente di giuria in diversi concorsi a livello nazionale. È inserito nel compendio di Letteratura Italiana della Helicon Edizioni e nel “Dizionario Critico” della Letteratura Italiana, curati dai professori del “Premio Casentino”. 12 Jane Austen amò per tutta la vita Tom Lefroy, ma un destino avverso impedì ai due di potere vivere il loro amore e Jane - suo malgrado - vi dovette rinunciare. In tutti i suoi libri è possibile scorgere le tracce della sua sofferenza che ella sublimò in meravigliosi romanzi, che tuttora sono considerati capolavori della letteratura mondiale. L’immagine è un disegno ispirato al film « Pride and prejudice», tratto da uno dei capolavori di Jane Austen. (N.d.A.)

E a Marradi orchestrò con preludi e stregati notturni il poeta visionario. Quel Dino dei demoni, della chimera, che dibatteva nei pelaghi della mente che svolse, riavvolse smanie di fuga verso l'ignoto. Penetrò imi recessi inseguì un altrove aldilà del tuono del mondo.

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Con potenti bagliori. 13

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Stefania Pellegrini (Waterford, Irlanda, 1951), originaria della Toscana, vive a Nus, in Valle d’Aosta. Ama scrivere, e in età matura si avvicina alla poesia. Dall'anno 2011 partecipa ai Concorsi Letterari conseguendo pregevoli premi e riconoscimenti. Ama la natura, fonte principale della sua ispirazione ed è appassionata di fotografia. Impegnata nel sociale, dal 2016 porta il suo contributo in una Associazione di Volontariato di Aosta. Sempre nello stesso anno entra a far parte dell'Associazione Culturale “Euterpe” Jesi. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Frammenti di specchio, Tempus Fugit, Tra le ali dei sogni, Isole. È presente in varie antologie di premi e in Risvegli – il pensiero e la coscienza, Voci dai Murazzi 2015, Storia contemporanea in versi.


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A Emily Dickinson LUCIANA RAGGI17 Tue sole ali sono le parole figlie di una tormentata malinconia.

Putrida vena, d’un orizzonte disseccato. I nardi esplorano il loro chiacchiericcio inconsueto, e nuvole di fango inondano coi loro piombi infuocati. Un’alba azzurra si stende solitaria su ambiguo crocevia, e un riverbero di verde luna si accende, su occhi di fumo.

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Assassinio. Terzo omaggio a García Lorca14 EMANUELE MARCUCCIO15

Hai amato non riamata, all’ombra hai visto il sole. Chiusa nella tua stanza spazi raccogli i frutti maturi, cuci echi domestici a parole, animi i dettagli.

Eternità16 EMANUELE MARCUCCIO Omaggio a Nazim Hikmet

Nella via stretta apri ampi orizzonti.

Oltre quel fumo, oltre quella porta, oltre il mare immenso, oltre l’orizzonte sconfinato, oltre le piogge di mezz’agosto c’è una luce che io voglio attraversare, c’è una soglia che io voglio varcare in questa pioggia del mio vegetare, in questo mare del mio non vivere.

Il tuo sguardo penetra la superficie, ne comprende i segreti. Nel silenzio ascolti, al buio vedi e accogli visioni del prevedibile quotidiano riveli l’inatteso, della semplicità la grandezza.

EMANUELE MARCUCCIO, Per una strada, Ravenna, SBC, 2009, p. 75. Poesia ispirata alla fucilazione del grande poeta F.G. Lorca presso Víznar (Granada), avvenuta il 19 agosto 1936. Terza di un ciclo di quattro che, scritte tra il 1997 e il 2000, ho dedicato al poeta spagnolo, con l’intento di rivisitarne lo stile. L’intero ciclo, nel marzo 2013 è stato tradotto in lingua spagnola dallo scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio. [N.d.A.] 15Emanuele Marcuccio (Palermo, 1974) è autore di un dramma epico in versi liberi, Ingólf Arnarson (2017), delle sillogi poetiche Per una strada (2009), Anima di Poesia (2014), Visione (2016) e della raccolta di aforismi Pensieri Minimi e Massime (2012). Ha curato prefazioni a sillogi poetiche e varie interviste ad autori esordienti ed emergenti. È stato ed è membro di giuria in concorsi letterari nazionali e internazionali. È presente in 14

Fermi l’attimo perfetto e alto arricchito lo offri nella viva metafora illuminante obliqua verità.

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L’evoluzione delle forme poetiche. La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio (1990-2012) (2013). È ideatore e curatore del progetto poetico, “Dipthycha” di dittici a due voci, del quale sono editi tre volumi antologici (2013; 2015; 2016) a scopo benefico. 16 EMANUELE MARCUCCIO, Anima di Poesia, Sesto Calende, TraccePerLaMeta, 2014, p. 17.

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Luciana Raggi (Sogliano al Rubicone), vive e insegna a Roma. Per la poesia ha pubblicato Sorsi di sole (2010), Oltremisura (2015) e il poemetto S’è seduta (2017). Ha curato la pubblicazione di At vlèm bèn, zirudèli in dialetto romagnolo di Decio Raggi. Sue poesie figurano in numerose antologie e sulle riviste “Le voci della luna”. Numerosi i riconoscimenti in vari premi letterari nazionali.


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Le parole del mare ELISA ALLO18

Dalla radice dei denti19 RAFFAELLA LA FERLA20

- Sai, mare? Oggi lui è partito. Nel mio cuore il gelo è sceso e sono venuta da te a cercar tepore. La tua cadenza rasserena i battiti impazziti. (sospiro)

Dalla radice dei denti, o pietra su pietra, su palato di fiumara, sassi - chi sei tu che mi suggerisci – su sabbia percossa tra le scapole - grida le tue sofferenze al Signore –. Dallo spacco del fianco calcareo - mio cuore, mia madre – schegge di rupe, lento planare - mio cuore delle trasformazioni -.

- Fanciulla, non potevi trovare cuna migliore per ristorare l’anima. Sai, io dall’alba dei tempi conosco i tormenti degli amanti. (risacca)

Raspano unghiate le dita in alto, flutti di siero dagli squarci, bioccoli dalla membrana azzurra; e vorrebbero ferirsi sul bordo, tastando gli interstizi, i polpastrelli, sul filo di luce di lobi su lobi. In esilio su un calcolo pietroso, su quale pianeta, buio, il vecchio re, in quale deriva nel grembo vuoto,

- Il fluire delle tue onde mi richiama alla mente la sua voce, delicata e possente al tempo stesso. E la sua pelle, e i suoi capelli, e la sua schiena. (piedi nell’acqua)

- Bagnati pure, fanciulla ferita. I tuoi piedi per me sono pinne di sirena e il tuo pianto risana l’acque insane. Che il mio umile canto si unisca al tuo. (flutti si frangono)

(Soffiate venti da scoppiare le gote, infuriate, soffiate) Troppo amore, nessun amore, - potergli toccare il mantello vento invisibile dovunque, in troppi luoghi in nessun luogo, - dirgli basta gridare, parla -.

- Oh, come davvero vorrei esser sirena! E la mia voce lo indurrebbe a tornare, e l’abbraccio dell’onda, d'intesa coi miei arti, fino a lui mi scorterebbe per incanto. (corpo s’immerge)

Goethe FIORELLA FIORENZONI21

- E allora vieni, fanciulla prode, farò da traino al tuo corpo ondoso. E se l’amante t’avrà scordato, dell’Uomo-Onda sarai spuma e sposa. (alta marea) Elisa Allo (Messina, 1974) attualmente vive in Svizzera. Dal 2006 gestisce il multiblog “Ama no gawa”. Ha pubblicato diversi racconti e poesie su riviste italiane, siti internet, e-book e sillogi. Alcune sue poesie sono state pubblicate su riviste, siti internet e raccolte. Numerosi i racconti pubblicati su antologie e riviste. Su “Raccontare.com” è presente un suo e-book di sue poesie, Stralci di Caos. Ha pubblicato anche la raccolta di haiku, tanka e senryū Sushi diVersi (2007) e l’e-book Piccoli intrecci crepuscolari, raccolta di racconti brevi dal carattere gotico-surreale. Figura tra gli autori delle quattro antologie di haiku della collana Henami: Inverno Haiku (2012), Autunno Haiku (2013), Primavera Haiku (2015), Estate Haiku (2016). Diversi haiku e senryū sono stati di recente pubblicati su blog e riviste italiane e internazionali tra le quali “Le Lumachine”, “The Mainichi”, “The Asahi Haikuist Network”, “Otata”, “Failed Haiku”, “Haikuniverse”, “Akitsu”,..

Scienziato della poesia l’essenza e la natura della tua genialità

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Ispirata da Re Lear di William Shakespeare (N.d.A.) Raffaella La Ferla (Catania, 1964) vive ad Augusta. Insegnante di Lingua Inglese nella Scuola di Secondo Grado, prima di insegnare ho svolto per qualche tempo l’attività di giornalista pubblicista. Dal 2015 collabora con le riviste “Euterpe”, “Niedern Gasse” e partecipa a concorsi letterari. 21 Fiorella Fiorenzoni (Cortona – AR) vive a Francoforte sul Meno. È docente di lingua e cultura italiana. Per la prosa ha pubblicato Maria e Leandro. Storia di una 19 20

coccinella, di un maggiolino di una nonna e di quattro fratelli (2011); per la poesia Sillogismi d’amore (2010), Aria Fuoco Terra Acqua (2014), L’insostenibile leggerezza dell’essere (2015), Squarci di tempo (2017). Racconti,

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filastrocche, poesie e articoli dell’autrice sono pubblicati sulle riviste “Kinder”, “Euterpe” e in varie antologie e agende poetiche.


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I segreti del bosco22 ANNA MANNA23 Sibila il futuro nelle foglie arrampicandosi negli scomposti balbettii di luce che spaccano il mistero delle cellule tra le marce foglie avanza un vermiciattolo e succhia il marciume del fango se ne ciba s’aggrappa all’esistenza nella natura povera che ancora fa fatica a sbocciare Nel fondale verde s’avvinghiano proposte di speranza sussurri e cautele s’avvicendano tenendosi per mano Nel sottobosco lussureggiante sboccia uno sfacciato godimento

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ritrovo nelle tue parole intrise di fisicità, specchio d’immagini sensibili e tangibili. Tu che sai la natura signora di tutto, colei che crea e annienta, tu che, come in un sogno, vedi amore e morte che si rincorrono nella notte tenebrosa. Tu, amante della natura, di quell’indissolubile unità di spirito e materia di cui siamo fatti, come l’argilla di Adamo, inseparabile dal soffio divino, tu che aneli ad agire, e unirti all’infinito sapere ritrovi nella terra dei limoni, l’ideale misura sentimental-intellettuale mentre l’eco del tuo nome investe l’Europa letteraria e tu già sei in caput mundi.

AA.VV.,Lingua di terra e di luna, a cura di Anna Maria Giancarli, Robin, Roma, 2017. 23 Anna Manna (Gaeta), vive a Roma. Poetessa e saggista, ha scritto vari libri di poesie, narrativa e saggi. Socia dell’Ass. Italiana del Libro, dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari e del Sindacato Libero Scrittori italiani. È nota la sua attività culturale nella capitale italiana dove ha fondato in Campidoglio e condotto per dieci anni il Premio “Fiore di roccia” dedicato alla donna. Alla problematica femminile ha dedicato l’antologia Poestesse per Pechino (1995) e Donne di luna e di scure — poesie nel web (2007), scritto con Daniela Fabrizi. Fondatrice e organizzatrice del noto premio “Le rosse pergamene” (premio di poesia d’amore e solidarietà). Su di lei hanno scritto i maggiori critici e intellettuali. 22

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AFORISMI

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Aforismi di VALENTINA MELONI La poesia è una terribile verità sulla bocca di una bambina. Quello che dimentichiamo costantemente è che le anime si parlano senza parlare. La poesia è un pungolo d’oro per menti audaci. Le assenze traspaiono anche dalla forma. L’immaginazione di quel che sarà è assenza e presenza allo stesso momento ma con la poesia della trascendenza, che allude a qualcosa di più elevato. Amo le parole minime, quelle che devi andare a cercare nei nascondigli, quelle che spuntano all'improvviso come un ciuffo di margherite sul prato. La poesia affonda nella terra quanto e più le radici di un albero, si va in profondità come vermi sotto la terra, ciechi solo per modo di dire, sensibili a ogni minima variazione di luce. Si riemerge, accecati dal buio, recando in palmo di mano, come un’offerta, quello che resta della visione. Ciò a cui siamo destinati ci viene incontro.

Aforismi di DONATELLA BISUTTI24 Non esiste l’abuso di potere: il Potere è già un abuso. Molti sono disposti a qualsiasi bassezza pur di salire in alto.

Donatella Bisutti (Milano, 1948), poetessa, narratrice, saggista, giornalista, ha pubblicato Inganno Ottico (1985) (Premio Montale per l’inedito), il romanzo Voglio avere gli occhi azzurri (1997), il poema ispirato all’Apocalisse Colui che viene (2005), le antologie poetiche The Game – Poems 1985-2005 (2007) e La vibración de las cosas (2002), il bestseller La Poesia salva la vita (1992) e i libri per ragazzi sulla poesia L’Albero delle Parole (1979), Le parole magiche (2008) e La poesia è un orecchio (2012). Numerosi i premi 24

vinti tra cui il “Lerici Pea”, “Camaiore” “Laudomia Bonanni”, “L’arte in versi” (alla carriera). Ha tradotto opere di Edmond Jabès e di Bernard Noël. Ha fondato nel 2008 la rivista Poesia e Spiritualità e nel 2015 la rivista on line e cartacea Poesia e Conoscenza.

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È sempre un buon affare trasformare i Valori in valuta. La colpa della vittima è di essere innocente

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Si può salvare la vita a qualcuno per mancanza di pietà. C’è chi si gode la vita, c’è chi si gode la morte.

Aforismi di EMANUELE MARCUCCIO Se si legge un classico, si va sul sicuro e si evitano delusioni. Perché un classico nasconde in sé tutto un mondo da scoprire, e quel mondo ci assomiglia.25 Il poeta è ribelle (rinnova la guerra, etimologicamente parlando) come il fuoco, niente è più ribelle del fuoco, ribelle ai canoni della prosa, ribelle anche ai segni d’interpunzione; le pause della poesia non sono le pause della prosa, la mancanza totale o parziale di segni d’interpunzione non fanno altro che dilatare il respiro di una poesia, le pause sono date dagli “a capo” e dal sentire del verso, dal suo significante.26 Agosto può raggiungerci in qualsiasi mese, quando il tedio soffocante della solitudine ci assale o, quando ci ritroviamo smarriti e senza meta.27 Scriviamo di una realtà come trasfigurata e, nel contempo, cerchiamo di porgere al lettore una speciale lente d’ingrandimento, che trasfiguri e ingrandisca allo stesso tempo.28

25 26 27 28

EMANUELE MARCUCCIO, Pensieri Minimi e Massime, Pozzuoli (NA), Photocity, 2012, n. 15, p. 9. Ivi, n. 59, p. 18. Ivi, n. 21, p. 10. Ivi, n. 81, p. 22.

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Komorebi Rubrica di Haiku

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A CURA DI VALENTINA MELONI

oltre alla sua statua, un'iscrizione del famoso haiku a cui Elisa fa riferimento:

Inauguriamo la prima colonna haikai di “Euterpe” con lo honkadori o variazione allusiva, una tecnica compositiva utilizzata nei waka che prevede la creazione di una nuova lirica facendo allusione a poemi antichi o comunque famosi che possano essere facilmente riconosciuti dai potenziali lettori. Ad esempio, chi non conosce il famosissimo haiku della rana di Matsuo Bashō (1644 – 1694) di cui solo in Italia si contano, dal dopoguerra a oggi, moltissime traduzioni? Di seguito, in corsivo, quella di Fosco Maraini da Ore Giapponesi del 1962:

Silenzio, la voce della cicala penetra la roccia. La mitica rana di Bashō ha finito con il rappresentare, per estensione, la figura del poeta e la ritroviamo più avanti nei versi del poeta e pittore Kobayashi Issa (1763 – 1828):

Piccola rana non ti arrendere Issa è qui per te

Antico stagno! La rana vi si tuffa Il suono dell’acqua.

Versi di cui il nostro moderno haijin Antonio Sacco fa ancora un ritratto polisemico irresistibile e scanzonato:

Antonio Sacco con il suo honkadori omaggia assieme a Bashō anche William Shakespeare:

Resiste ancora una giovane rana – la incoraggio: oh, Issa!

Tuffo di rana: la freschezza in un sogno di mezza estate

Antonio Sacco omaggia Issa traslando nei suoi honkadori soprattutto quella piccola ironia (e autoironia), detta okashii, che connota lo stile del maestro; inoltre riprende un’antica tradizione giapponese che vuole le lucciole simboleggino le anime dei morti.

Anche Maurizio Petruccioli si cimenta nel nostalgico ricordo della rana di Bashō: stagno gelato – il ricordo di una rana che salta

La prima lucciola, perché te ne vai? Sono Issa.

Elisa Allo, invece, con un haiku dell’ombra e un bellissimo honkadori, ricorda il poeta:

*** «Dov'è il Maestro?» La lucciola ritorna: qui ora c'è Antonio!

nella penombra le parole di Bashō – vibra la notte

Ancora Elisa Allo su un indimenticabile haiku di Issa, nella traduzione di A. Watts, in La via dello Zen:

antico tempio – l’eco della cicala riempie il silenzio

C'ero soltanto. C'ero. Intorno mi cadeva la neve.

Il tempio a cui si riferisce è quello di Yamadera, noto per la visita del poeta Bashō che compose lì uno dei suoi haiku più popolari, durante il suo viaggio alla fine del 1600. Nella zona bassa del tempio si trova,

morbida quiete si diffonde d’intorno … sognano gli orsi

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Nel capitolo 99 delle sue Note del guanciale (anno 1000) la poetessa Sei Shōnagon (dama di compagnia dell'imperatrice Teishi dal 993 al 1001) racconta di una gita fatta, insieme ad altre dame di compagnia, per ascoltare il canto del cuculo. Una serie di circostanze impediranno all’autrice di scrivere la poesia che tutti si aspettano da lei. Il capitolo si chiude con uno scambio di allegre battute. Angela Fabbri nel suo honkadori in forma di tanka rievoca, con grazia, uno dei classici della letteratura giapponese del periodo Heian. Anche qui una piccola ironia di fondo.

Il tetto s’è bruciato – ora posso vedere la luna versi ripresi poi nello spirito poetico (furyu) intriso di Sabi, dal poeta e monaco buddista Ryōkan Taigu (1758 – 1831):

La bella luna lasciata dal ladro alla finestra Un po’ di leggerezza okashii con la divertente parodia sul cibo di Antonietta Losito sul testo di Taneda Santōka (1882 –1940)

sotto la pioggia ho sentito il cuculo cantare a lungo

tutto ciò che mangio cetrioli melanzane melanzane cetrioli freschezza

è rimasto nell’aria sospeso anche il mio verso

tutto ciò che mangio carote patate patate carote allergia

Ispirato all’autunno e ai versi di Yosa Buson (1716 –1784) in cui il Sabi è protagonista:

sera autunnale c’è gioia anche nella solitudine

Antonietta ci regala anche un honkadori di Tan Taigi, poeta del periodo Edo:

Soffia il vento dell’est» dicono andando insieme padrone e servitore

ancora più solo dell’anno scorso – crepuscolo autunnale

luna di latte guardano andando insieme gregge e pastori

lo honkadori di Eufemia Griffo: foglie nel vento – sono rimasto solo anche stanotte

Ancora la luna e le ombre: ispirati all’opera di Marcel Proust Alla ricerca del tempo perduto gli honkadori di Rita Stanzione

Questo haiku pervaso di Sabi di Matteo Piergigli, in cui emerge il contrasto tra l’apertura catastrofica al primo ku (il terremoto) e la consapevolezza del non possesso, non si dichiara apertamente come honkadori: In un boato il mondo è crollato vedrò il sole

bianca cattleya – gemmata da riverberi la luna estinta raffio selvatico – all’ombra delle zagare cinge la seta

ma è ravvisabile, tra le righe, un’influenza che si può attribuire al poeta e samurai del periodo Edo, già allievo di Bashō, Mizuta Masahide (1657-1723) e al suo indimenticabile:

Una luna di altri tempi per lo haiku su Charles Baudelaire e un honkadori in cui domina lo shiori, ambientato a Praga e dedicato a Franz Kafka. Di Diego Bello:

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L’allodola del mio villaggio: non la vedo ma io so che canta

sogno a Honfleur – la luna che ti vide chino sul verso

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sul Ponte Carlo l'alba libera un'ombra – fugge una blatta

Sembrerebbe proprio un omaggio alla nostra colonna Komorebi (luce che filtra tra i rami degli alberi) questo di Corrado Aiello …

Eufemia Griffo si cimenta anche con un famoso haiku del toscano Mario Chini (1876 – 1959) tratto da Attimi, ponendo l’attenzione sul tempo circolare della natura e dello haiku in cui il poeta – per citare ancora Bashō – possa divenire amico delle quattro stagioni, in contrapposizione al tempo lineare e storico dell’umanità:

luce che filtra come da strobosfera – bosco d’estate *** Seguono altri haiku e due haibun: (da The art of the wind, Chiara Taormina)

in tre versetti tutto un poema e forse – tutta una vita

Tarda la sera Il vento tra le canne parla alla luna

racconta il tempo le vite degli uomini – albe e tramonti

*** (Giuseppe Guidolin)

Restiamo in Italia con i tre honkadori di Mariangela Ruggiu ricordando Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese.

È un ricamo la luce nella sera tenue sorriso

giorno di marzo – piacere e dolore il tuo fiato

*** (Stefania Andreoni)

*** verrà la morte – con gli occhi della notte mi dici amore

stelle sul lago – bisbiglia piano l'acqua toccando i sassi

*** perché sei Luna sei di terra e d'amore – io d'arsura

un libro giallo – la chiacchiera discreta delle cicale fa così caldo – luminosa anche l'ombra del pergolato

Quello di Lucia Bonanni, invece, è un omaggio implicito all’alauda (allodola) nelle Odi Barbare (Libro I) di Giosuè Carducci:

***

Algido albore Stretta in timide piume un’alauda trema

(Maurizio Petruccioli) eppure resta misto ai ciliegi in fiore – profumo di te

Allodola già cantata da Bashō e da Issa:

L’allodola canta per tutto il giorno, e il giorno non è lungo abbastanza

mille ragioni per essere superba – cala la luna

***

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Non sono le distanze a fare il viaggio. Oggi il sole sta dipingendo le nubi sparse; viola, rosso, arancio e tutte le sfumature che l'astro sa immaginare sono lì, uno studente immerso nel suo smartphone nemmeno se ne accorge. Una matrona non alza il capo, è troppo intenta a spazzare la sua porzione di marciapiedi, non può far brutta figura con i vicini. Davanti a me un carro vendemmia, pieno, sicuramente hanno raccolto le uve ieri. Sono passati solo dieci minuti e sono giunto al lavoro; questa sera, al mio rientro sarò una persona diversa.

l’ora è festa nella festa, il tripudio di suoni e colori dei fuochi di artificio, la gioia e l’entusiasmo dei saluti, i telefonini che squillano. Accanto a me una signora e un bimbo, forse il figlio, brindano e si scambiano gli auguri. primo dell’anno – una donna un bimbo un sorso un bacio (già pubblicato in Memorie di una Geisha, multiblog internazionale haiku il 13/11/2016). ************************************* (Indicati in corsivo i testi classici)

uve mature – già giunte a fine viaggio son pronte all'oblio **** Chiudiamo la rubrica e, idealmente, anche il 2017 con un haibun di Antonio Mangiameli: Il pomeriggio è bello, la temperatura mite, sembra che il sole in questo ultimo giorno dell’anno non voglia tramontare. Ci piace condividere l’attesa e i desideri del nuovo anno assieme ad altre persone così decidiamo di andare a Taormina per trascorrere in piazza questa notte di festa. Andiamo in macchina, da casa mia sono poche decine di chilometri. Il pomeriggio è limpido, guidare è un piacere, da un lato il mare, dall’altro l’Etna piena di neve e il sole che va verso il tramonto. Unica nota stonata la scarsa manutenzione della strada, la vegetazione non curata.

La curatrice Valentina Meloni (Roma, 1976), dal 2007 vive in Val di Chiana. Poetessa, haijin, scrittrice e aforista. Per la poesia ha pubblicato Nei giardini di Suzhou (2015), Le regole del controdolore (2016), Alambic (2017), la raccolta di haiku bilingue Nanita (2017), Eva, raccolta poetico-fotografica sulla violenza di genere; per la letteratura d’infanzia le fiabe illustrate Storia di Goccia (2017), Nanuk e l’albero dei desideri, Nanuk e il ragno Alvaro. Sue poesie, racconti, articoli e saggi sono pubblicati in riviste di settore e raccolte antologiche. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, cinese, giapponese e sono apparsi in blog, riviste e quotidiani internazionali. È redattrice per le rubriche di saggistica InSistenze e recensioni InDicazioni in «Diwali-rivista contaminata».

spartitraffico – sull'oleandro secco un passerotto Giunti in città realizziamo di avere scelto bene, ci sono tantissime persone, famiglie, giovani coppie, turisti, si percepisce gioia e spensieratezza. Gli addobbi natalizi sono bellissimi, c’è pure lo zampognaro che suona le novene. Il tempo passa che nemmeno ci accorgiamo, è quasi mezzanotte, la piazza è piena di persone con le bottiglie e i bicchieri pronti per il brindisi e gli auguri. Scoccata

Biografie autori Antonio Sacco (Agropoli – SA, 1984). Poeta, haijin, laureato in fisioterapia. Ha pubblicato i libri di poesia: Haiati – la mia vita (2013) e In ogni uomo un haiku (2015).Vive e compone versi nel cuore del Parco Nazionale del Cilento (Vallo della Lucania).

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Tema del numero: “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura straniera”

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Maurizio Petruccioli vive in provincia di Udine. Haijin, scrive haiku, senryu, tanka e haibun da circa cinque anni. Lavora come cantiniere e ha una ditta personale che produce trottole.

Matteo Piergigli (Chiaravalle – AN, 1973). Poeta, aforista, scrittore e haijin. Per la poesia ha pubblicato Ritagli (2015) e Ritagli 2 (2016). Altre sue opere sono pubblicate in antologie e riviste.

Elisa Allo (Messina, 1974), vive in Svizzera. Dal 2006 gestisce il multiblog “Ama no gawa”. È tra gli autori delle quattro antologie di haiku della collana Hanami: Inverno Haiku (2012), Autunno Haiku (2013), Primavera Haiku (2015), Estate Haiku (2016). Ha pubblicato Sushi diVersi (2007). Suoi haiku e senryū sono apparsi su blog e riviste di taglio internazionale.

Mariangela Ruggiu è nata nel 1958 in Sardagna dove vive e lavora. Insegnante di scienze naturali, poetessa e haijin. Ha pubblicato alcune brevi sillogi nelle antologie Scelte vincenti, Opere scelte e Sulla carta del tempo; è del 2016, invece, la sua prima monografia di poesia Il viaggio. Corrado Aiello (Piano di Sorrento - NA, 1984). Scrittore, poeta e haijin.

Angela Fabbri (Cesena, 1962). Ha pubblicato i libri di poesia Cipria (1988), L’Airone dell’oblio (1991), Giardini di sabbia (2016) e la raccolta di racconti La corona del cielo (2015). Suoi racconti e poesie sono usciti nelle riviste: “Forum/Quinta Generazione”, “Tratti”, “La Rosa”, “Graphie” e nelle antologie Voce donna (1995 e 1998).

Chiara Taormina (Palermo, 1973). Scrittrice, poetessa e haijin. Ha pubblicato la raccolta di haiku The art of the wind (2017) e Le rose del silenzio (2015); è presente in antologie di haiku. Dal 2013 pubblica narrativa per bambini; l’ultimo suo libro Ruggero e la macchina del tempo (2017) si apre con la prefazione del cileno Luis Sepúlveda.

Eufemia Griffo vive in provincia di Milano, dove è relatrice presso la Biblioteca Rembrandt12 a supporto di numerosi scrittori. Scrittrice, poeta, haijin, scrive haiku dal 2006. Ha pubblicato per la poesia L'eredità di Dracula. Liriche gotiche sull'amore oltre il tempo (2014); per la narrativa Il fiume scorre ancora (2016). Numerosi suoi lavori sono contenuti in antologie di prosa e poesia e in prestigiose riviste del mondo anglofono.

Giuseppe Guidolin (Vicenza, 1961) si occupa di informatica. Ha svolto studi di Astronomia presso l’Università di Padova. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Effetto farfalla (2000), Sizigie (2002), Farfalle nello stomaco (2010), Nutazioni (2014), Le intermittenze dei petali (2017). Sue liriche sono state tradotte in inglese, francese, rumeno e sono apparse in varie antologie e riviste

Antonietta Losito è nata e vive a Mottola (TA). Laureata in Filosofia che ha insegnato storia e psico-pedagogia in diversi istituti. Nel 2016 si è classificata terza al IV Premio Lett. Inter. “Matsuo Bashō” sez. Senryū.

Stefania Andreoni, 67 anni di Milano, haijin da tre anni. Antonio Mangiameli (Lentini – SR, 1955). Medico, appassionato di haibun, haiku e poesia breve.

Rita Stanzione è nata a Pagani (SA), vive a Roccapiemonte (SA). Poeta e haijin, sue poesie sono pubblicate in riviste e siti di letteratura nazionali e internazionali. Per la poesia ha pubblicato L’inchiostro è un fermento di macchie in cerca d’asilo, Spazio del sognare liquido, Versi ri-versi, Per non sentire freddo, È a chiazze la mia bella stagione, In cerca di noi, Canti di carta (2017), Di ogni sfumatura (2017), Grammi di ciglia e luminescenze- 60 Haiku (2017).

Per chi volesse seguire la poesia haiku classica e contemporanea si consiglia l'aperiodico Le Lumachine - foglio degli amici dello haiku diretto da Paolo Sommariva e Stefano D'Andrea da richiedere scrivendo a questo indirizzo: ste.dandy@tiscali.it Alcuni numeri sono consultabili a questo link: https://goo.gl/zG84rx

Diego Bello (Brindisi, 1960) risiede a Roma. Ha pubblicato la raccolta di poesie Necessita volare (1996). Ha ripreso a scrivere dopo quasi venti anni, pubblicando nel 2016, all’interno della collana Navigare la silloge n.5 e nella collana Colori la silloge n.29. Pubblica poesie e haiku in diversi siti letterari e in antologia.

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NARRATIVA

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Il mio amico George MICHELE VESCHI “Non capisco, proprio non capisco come quella giovane sia ancora ammessa in società.” “Te ne farai una ragione, Susell. Per quello che può contare, per me quella donna, Dio non ne voglia, è una strega. Potevano rimanerci in Italia, non basta un nome per farsi una reputazione. Eppure sua madre sembrava più assennata. Sposare un inglese, quella è stata la sua fortuna. Certe volte rimpiango il periodo dove a certa gente sapevano come chiudere la bocca. Dove finiremo mia cara…” “Mi chiedo la stessa cosa, mia cara. Ben detto. Vorrei quella ragazza fuori dalla società.” “Per di più una donna non sposata, per carità. Alla sua età, dico io.” “Smettila Kitty o avrò bisogno dei miei sali, per riavermi.” Le due signore Kitty Bensisle e Susell Coventary passeggiarono in lungo e in largo, senza accorgersi del passaggio della civiltà e del suo costante progresso, perdendolo nella melma dei loro sciocchi punti di vista. “Come puoi partire lasciando tua madre in condizioni… è un abbandono Elisabeth!” “Madre io non vi sto abbandonando. Come potete fare un affronto simile alla mia persona?” La figlia scappò prim’ancora che la madre potesse aggiungere qualcosa. Quel qualcosa era tutto inventato dalla vivida, tangibile fantasia della ragazza, considerando che si trovava dinanzi a uno specchio. Non si sarebbe mai rivolta con così poco riguardo a sua madre, nient’affatto. Era quello il motivo per cui prima occupava il suo tempo con cura certosina delle proprie reazioni. Nemmeno sarebbe mai scappata, considerando che aveva ereditato la caparbietà di sua madre. Il signor Benlittle, suo padre, aveva ben poca spina dorsale, ma era oltremodo certo che la madre non avrebbe mai lasciato crescere sua figlia a quel modo sprovveduto e infelice. Elisabeth si fece coraggio, avrebbe chiesto alla madre se avesse voluto cavalcare con lei il suo stesso sogno, anche se non sarebbe stato affatto facile. Elisabeth Benlittle sarebbe stata la prima maggiordomo donna riconosciuta. Voleva molto bene al suo, al loro George e l’uomo seppur piuttosto in là con gli anni, cedeva di buon cuore qualche piccolo segreto, alla sua prossima collega. Elisabeth desiderava spingersi oltre, un giorno avrebbe creato lei stessa altri maggiordomi, era il suo modo di voler creare della felicità nelle altre persone, visto che il loro George ne aveva instaurata in lei, sin dalla più tenera età. La ragazza si toccò la guancia destra, quella preferita da George perché aveva più lentiggini. Poi passò alla sinistra, pizzicandole allo stesso modo del loro maggiordomo. Doveva scendere e parlare con sua madre. Non era certo impresa semplice, visto che il padre, pur non troppo avveduto, se ne era andato a miglior vita quando Elisabeth era ancora piccola, si con un discreto patrimonio, ma senza una figura maschile di riferimento. Allora c’era George. C’era per la signora Benlittle, c’era per sua sorella maggiore, per l’altra sua sorella e per lei, la sua piccola Elisabeth dalle lentiggini così poco timide, dai capelli ramati e mossi, che desiderava seguire la figura professionale di quell’uomo così efficiente. “Sempre composto e con poche parole di rimando. Così voglio essere. Devono capire che possono fidarsi della mia autorevolezza, ma soprattutto che nessuno potrà mai mettermi una sola unghia di un loro lurido piede in testa. Non sono la serva di nessuno.” Disse Elisabeth, nel tentativo di caricarsi prima di scendere a chiarire la situazione con la madre. Ogni sua decisione era presa, ma nemmeno a quel modo poteva rivolgersi a sua madre. Si sentiva inquieta, un pochino spossata, ma qualche energia doveva pur esserci da qualche parte. “Tutte le parole che vorrò e dovrò risparmiare per risultare davvero autorevole agli occhi altrui, dovrò dirle adesso alla mia povera madre. Soffrirà molto, povera mamma, ma è lei con il suo ardore ad avermelo chiesto. Non sono qui per far crescere erba dietro i mie pettegolezzi, sono qui per altro.” Fece un piccolo

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respiro, un pochino rigido come si conviene a una signora che si rispetti, tentò di allargare un poco il colletto ben rigido e alto, poi, mentre le riusciva qualche timido passo verso le scale che l’avrebbero portata al confronto con sua madre, riprese: “Non sono qui per questo.” Si diede uno scrollone come non conviene affatto a una signora e si concesse un respiro profondo, un portentoso concentrato di tutta la determinazione di cui era capace Elisabeth Benlittle! Le scale scorsero agili, mentre lei cercava di ripensare il più possibile al discorso che si era preparata… ma poi si era preparata un vero discorso? Non ne aveva avuto il tempo, no, nemmeno questo, di tempo ne aveva avuto e anche parecchio, ma non riusciva nel principio. L’inizio di ogni idea è sempre il più complicato da mettere in pratica e sua madre aveva davvero una spina dorsale molto tenace. No, non sarebbe stato affatto facile, ma doveva tentare. Doveva riuscire a improvvisare un discorso che tante volte aveva cercato di iniziare, ma non era mai riuscita ad andare oltre quello spunto iniziale. Scese le scale pensando a una piccola filastrocca che le aveva insegnato, dopo sue innumerevole insistenze, il suo adorato George. Durante le ultime pesanti scale che la separavano dal fastoso salone, si guardò attorno. Sua madre non era in vista, dunque aveva ancora del tempo. La signora Benlittle poteva trovarsi solo in due posti: nel suo idolatrato giardino o in biblioteca, tra i suoi adorati libri. Il tempo! Le stava stretto non dedicarsi al proprio futuro e detestava anche solo dover pensare a che bisbetica viziata sarebbe stata tra le mura di qualche altrettanto fastoso palazzo con un marito a fianco di cui avrebbe conosciuto poco o nulla. Lei era Elisabeth Benlittle e non poteva, né voleva, sprecare ulteriore tempo. Strinse un pochino i pugni, poi un poco di più e infine si accorse di avere le nocche bianche, per quanto aveva stretto: “No, mia cara non sei davvero adatta per fare la signora con troppe arie e ancor più pettegolezzi da raccontare in vistosi giardini.”, pensò tra sé. Giardini, già. Dove avrebbe trovato sua madre? Pensò che in entrambi i casi l’avrebbe disturbata, per cui non c’erano troppi fronzoli da rispettare né tantomeno attendere. Si diresse verso la biblioteca, forse perché, un giorno maggiordomo donna, la prima, si sarebbe sentita a maggior agio dentro la proprietà di qualche ottima famiglia, che altrove. Era davvero quello che voleva? Se lo chiese nel poco tragitto che l’avrebbe accompagnata ancora per poco. In meno di un minuto sarebbe entrata in biblioteca e in due al massimo avrebbe tentato di parlare con sua madre. Abbassò la maniglia, in modo del tutto meccanico. Dopo averla rialzata e richiuso la porta dietro di sé, ascoltò un grande e pesante silenzio. Vivido e melmoso, non le piacque per nulla. Sentì le tempie come riscaldarsi, quando all’angolo opposto, pur nella penombra, vide la poltrona di sua madre che accoglieva la sua figura genitoriale di riferimento. “Non posso disturbarla.” Disse in un bisbiglio. Subito dopo si accorse che quel senso di silenzio si era fatto mellifluo, ma avanzò di qualche passo. Si sciolse nel tentativo di avvicinarsi alla madre, quando dal fianco destro – quello più lontano ed esposto al buio quasi completo - della poltrona vide alzare una figura che non le riuscì di riconoscere. Si sentiva pietrificata. Acuì lo sguardò il più possibile e si rasserenò di colpo: era George! Il loro maggiordomo, il suo maggiordomo di cui avrebbe, di lì a poco, seguito le orme. Affrettò il passo, con George avrebbe trovato il coraggio di parlare a sua madre, senza alcun tipo di dubbio. Allungò i passi, velocizzò l’anima spogliandola di ogni detrito che la preoccupava, si sentì quasi librare in aria e nel giro di pochi secondi era davanti alla madre. Morta? Era certa che sarebbe svenuta, ma c’era George, il suo imperturbabile George che la stava guardando con estremo garbo e agape affetto. Le scagliò gli occhi verdi incontro, lì gettò sulla madre, riguardò George e di nuovo la madre. Morta. Le si inginocchiò e raccolse tazzina e piattino del suo the preferito. Le tartine con il burro erano ancora integre. Pensò che nessuno li preparava come George, socchiuse gli occhi e si sentì sfiorare la guancia destra, quella con più lentiggini. La preferita di George. “Ce l’ho fatta mamma. Te lo dico da figlia, tutto qua.” Elisabeth Benlittle, oramai da diversi anni a capo dell’accademia di maggiordomi e prima maggiordomo donna con tanto di certificato, non disse altro. Era tornata nel suo giardino, nel giardino che era stato di sua madre, che sua madre aveva amato. Era sepolta lì da molti anni, ed Elisabeth se ne era andata poco dopo la disgrazia, lasciando ogni incombenza alle sorelle e al povero George. Il maggiordomo si era ritirato per limiti di età proprio in quei giorni e quella che adesso era a tutti gli effetti una sua illustre collega, aveva ben pensato di tornarlo a trovare. Non si erano più visti, ma quell’uomo non l’aveva di certo dimenticata, né lei poteva dimenticare il suo uomo di riferimento così autorevole.

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Seppe dalle sorelle che si era ritirato in una piccola, ma graziosa casetta, non troppo lontano da Pen Ridge, dove aveva svolto per un’intera esistenza professionale le sue mansioni in maniera impeccabile. Elisabeth decise di andarci a piedi. Aveva una gran voglia di ricordare quella filastrocca che George le aveva insegnato: come faceva? L’abilità, sia essa come the e burro,

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sempre in coppia. Lo stesso per maggiordomo e padrone: se manca abilità, il veleno arriverà.

Qualcosa non le tornava, ma non le importava: l’avrebbe chiesto a George. La porta era aperta. Non le sfiorò nemmeno l’idea di pensare che George avesse potuto avere una dimenticanza simile, sarebbe stata ben al di fuori dalla sua professionalità. Si impensierì un poco. “George non è più in servizio…” Disse a sé stessa in un battito d’ali e tornò a rasserenarsi. Quasi nello stesso istante, la sua guancia destra venne colta da quel fruscio che solo lui poteva darle.

“L’abilità sia essa come the e burro, sempre in coppia. Ogni inconveniente ella assorbirà. Null’altro, solo abilità.” Intonarono insieme dinanzi alle tombe di Kitty Bensisle e Susell Coventary.

Lei, Elisabeth “Lizzy” Benlittle, e il suo autorevole George Cavenson. Ora aveva anche un cognome, caro George. Causa della morte delle due donne fu chiarissima: avvelenate. “Hai imparato piuttosto bene, piccola mia.” Le disse con un sorriso appena accennato. Elisabeth “Lizzy” la prima maggiordomo donna sapeva benissimo che il suo George non avrebbe mai sprecato troppi vocaboli. George preferiva i fatti. Una voce in lei le disse qualcosa che sapeva già, che sentiva sin da piccola: “Il colpevole è sempre il maggiordomo…” lei aveva semplicemente raccolto dei buoni consigli, facendoli propri e traducendoli in una vittoria schiacciante. Si, non c’erano dubbi: George preferiva i fatti.

Quel Viaggio in Calabria VITTORIO SARTARELLI29 In quell’anno ci fu per me la possibilità, insperata, di un viaggio che non era stata neanche prevista. Mio padre, valente meccanico e pilota provetto, partecipava a quasi tutte le gare automobilistiche che si svolgevano in Sicilia, la più importante delle quali era, appunto, il Giro di Sicilia, inventato, in quell’epoca pionieristica dell’automobilismo sportivo, dal Commendatore Vincenzo Florio, mecenate palermitano dell’automobilismo. Eravamo agli inizi degli anni ’50, del secolo scorso e mio padre, con la sua macchina, una derivazione della Fiat 500, con un motore Siata di 750 c.c. sport prototipo, costruita da lui nella sua officina meccanica a Trapani, con le proprie imprese sportive si era guadagnato una notevole popolarità e una notorietà che, forse, aveva travalicato lo stretto di Messina e si era propagata nel Continente. In quell’officina io ero cresciuto, passavo delle ore a guardare quello che faceva mio padre, il suo lavoro preciso e metodico, mi piaceva osservare la sua perizia e l’estrema precisione nel ricomporre le parti meccaniche del motore. Era per me un godimento e seguivo, compiaciuto, come istruiva i suoi allievi, spiegando loro come e perché andavano fatte le cose molto importanti e, quando qualcuno di loro non stava attento o non osservava gli insegnamenti erano guai! Quando aveva costruito la sua macchina da corsa, per lui stesso ma, anche per tutti gli sportivi della città, si era trattato di un evento epocale. Di più era poi cresciuta la passione e la tifoseria sportiva quando, in alcune gare era riuscito e conseguire risultati eccellenti per una macchina costruita quasi interamente in modo artigianale.

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Vittorio Sartarelli (Trapani, 1937) ha compiuto studi umanistici, Liceo Classico e Università degli Studi di Palermo in Giurisprudenza. Per tre anni ha fatto il giornalista, poi impiegato di banca. Come scrittore ha esordito nel 2000; ha scritto vari racconti (tutti autobiografici) e pubblicato tredici libri di narrativa, due di saggistica e due di sport. Ha ricevuto numerosi premi letterari in vari concorsi nazionali. Nel 2012 gli è stata conferita la nomina di Accademico Benemerito della Università della Pace della Svizzera Italiana.

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I miei ricordi vanno a ritroso nel tempo, io sono ormai un uomo anziano e, tuttavia, le sensazioni di allora non si sono mai affievolite nella mia memoria. Mi sono rimasti impressi i colori e gli odori di quel luogo familiare: l’officina meccanica paterna, l’odore della benzina, degli oli, delle auto, le nuove avevano un odore particolare, diverso dalle vecchie, l’effluvio emanato dai motori smontati, era una miscellanea d’essenze che avevo imparato ad amare anche perché, in fondo, quegli odori li aveva sempre addosso mio padre, quando indossava la sua tuta da lavoro bleu che gli confezionava, con amore, mia madre. Si era agl’inizi degli anni ’50 e, inopinatamente, mio padre aveva ricevuto un ingaggio, con un premio in denaro, dall’Automobile Club di Catanzaro, per disputare il Giro della Calabria, gara automobilistica di velocità per le macchine Sport a carattere internazionale. Lusingato dall’offerta, ovviamente, non poteva rifiutare e rinunciare a quell’opportunità e accettò l’invito. Certo, egli sapeva che questo comportava notevoli difficoltà di carattere logistico e organizzativo, non aveva mai affrontato un trasferimento, da Trapani fuori dalla Sicilia, con la sua macchina da corsa, con tutta un’organizzazione che supportava tale trasferta. In breve, tuttavia, riuscì a trovare un amico camionista che gli prestò il suo camion, sul quale fu caricata la macchina da corsa, in quell’occasione, mio padre mi disse che avrei potuto seguirlo in quella nuova avventura sportiva. Considerata l’ammirazione che nutrivo per lui, oltre all’affetto, non stavo più nella pelle dalla contentezza, in verità, non fu quella l’unica volta che lo accompagnai, nelle gare disputate in Sicilia, tuttavia, quella volta la cosa mi aveva toccato in modo particolare, avevo appena compito quattordici anni. Ultimati i preparativi tecnici e logistici, mio padre, un suo giovane allievo e io stesso, preso posto nella cabina del Camion, partimmo alla volta di Catanzaro. Impiegammo quasi due giorni per giungere a destinazione, non c’erano ancora, allora, né l’autostrada siciliana della quale possiamo ora disporre, né l’Autostrada del Sole, esse non erano state ancora non solo costruite ma, neanche progettate; bisognava, quindi, per spostarsi con il mezzo meccanico, avvalersi delle strade di allora, non sempre in buone condizioni di percorribilità. A Catanzaro, saremmo stati ospiti di una famiglia di conterranei, trapiantati in Calabria per motivi di lavoro. Il capo famiglia era un Funzionario dell’Amministrazione Finanziaria che aveva conosciuto mio padre, in occasione di una sua venuta nella città d’origine. Era accaduto in quel frangente che gli si era guastata la macchina e mio padre, sempre molto sensibile alle difficoltà altrui, gliel’aveva riparata senza chiedere alcun compenso. Questo suo comportamento, per altro usuale, ovviamente fece nascere fra i due un’amicizia sincera, considerato poi che questo signore era un appassionato dello sport automobilistico, divenne un suo fan sfegatato. Avendo saputo, quindi, che il suo amico avrebbe preso parte al Giro della Calabria, aveva insistito con fermezza per avere il privilegio di ospitarlo a casa sua. Non capitava tutti i giorni che un concittadino disputasse una gara così importante e così lontana dalla sua città di residenza. Al nostro arrivo trovammo un’accoglienza così calorosa e affettuosa che sarebbe stato impossibile trovare di meglio. Di quella breve permanenza a Catanzaro, ospiti di quella gentilissima famiglia, serbo sempre un caro e vivo ricordo, sia per le attenzioni delle quali, tutti fummo oggetto e me in particolare, sia per i luoghi, tutti molto belli e suggestivi che ci fecero visitare. Una cosa, soprattutto non posso dimenticare: l’acqua potabile che sgorgava dai rubinetti e che si beveva, era così buona al gusto, fresca e leggerissima per cui se ne poteva bere dei litri senza accorgersene. In quel breve e spettacolare soggiorno di vacanza, tutto fu bellissimo, tranne la conclusione della gara alla quale partecipava mio padre, che si concluse molto presto in modo inatteso e amaro. Dopo avere iniziato bene la gara, infatti in salita, sulle prime asperità della Sila, la sua macchina rimase in panne. Gli ingranaggi del differenziale non avevano retto allo sforzo inferto loro dalla potenza del motore ruggente e si erano frantumati. Non potendo avvisare nessuno perché era rimasto fermo in un punto isolato del percorso, mio padre riuscì, da solo e con le proprie forze, a invertire il senso di marcia della macchina e a farla scendere, in folle, fino alla Stazione Ferroviaria della città. Caricato poi il mezzo su un vagone merci l’aveva spedito a destinazione, trovato in seguito un mezzo di fortuna, mi aveva raggiunto assieme ai suoi gentili ospiti che lo avevano atteso invano per molte ore, tutti in ansia, per la

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mancanza di notizie ricevute. Lo sport automobilistico è fatto anche di queste cose, il guasto meccanico è sempre in agguato e non è mai prevedibile quando e se avverrà. Mio padre, tuttavia, nel 1951, ebbe modo di rifarsi; disputò, infatti, con la stessa macchina, in Sicilia la XXXV Targa Florio sul mitico circuito delle Madonie, classificandosi al 1° posto della sua categoria, fino a 750 cc. e 6° assoluto della classifica generale. Anche questo fu allora considerato dai tecnici e dai tifosi, un risultato eccezionale perché apparve incredibile che una piccola macchina con un motore di appena 750 c.c. avesse potuto competere e affermarsi contro bolidi ben più potenti, con propulsori di 2000 e anche più c.c. A me che, anche in quell’occasione, avevo seguito mio padre e avevo potuto assistere a questa bellissima gara, dalle Tribune di Cerda situate sul Traguardo, sembra ancora di sentire oltre al potente rombo dei motori, l’inconfondibile odore della benzina Avio, mischiata all’olio di ricino che, ad ogni passaggio delle macchine rombanti in competizione tra loro, si sostituiva oscurandoli, agli aromi caratteristici della campagna siciliana. Come dimenticare quella che era stata, forse, la più grande affermazione sportiva della carriera di mio padre, costruttore e pilota ma, quanti sacrifici, quante rinunce, quanto lavoro e abnegazione c’erano dietro quei successi sportivi e quanta fermezza e fiducia nelle proprie capacità. Quante notti insonni di preparazione e di messa a punto del motore e poi, giorni e giorni di prove, di nuovi accorgimenti tecnici migliorativi per la macchina. Nella disputa delle gare automobilistiche, purtroppo c’erano anche le inevitabili defaillances, perché non si poteva sempre vincere o perché, a volte, cedeva un organo meccanico. Questi episodi, tuttavia, ricordati dopo tanti anni, con lo stesso fiero orgoglio delle cose che ci appartengono, quasi riesumate dallo scrigno della memoria, hanno il sapore forte e nostalgico delle mitiche imprese antiche, il fascino delle cose belle, preziose e uniche di una volta.

A Kidnapping Story ELISA ALLO Raggi caldi promanavano da un cielo intriso di primavera, quella mattina di fine ‘800 a Clarinbridge. La contea di Galway tornava a sorridere dopo il rigido inverno irlandese e, con essa, l’antica regione del Connaught. Dal secondo piano dell’abitazione, la signora McConnor contemplava il mare con i suoi contorni orlati dalla baia scura e frastagliata, sulle cui onde si bagnavano, come ninfee in attesa di schiudersi, le isolette rocciose che fin da bambina immaginava essere popolate da Ondine fatate e misteriose creature dell’acqua. La signora McConnor sospirò e si allontanò dalla finestra. Doveva tenere a bada la ciurma di scatenati che aveva per figli. Si stupì quando si rese conto che ognuno dei suoi sei figli era stato impegnato in breve in una qualche attività: i due ragazzi maggiori, Sean e Jack, erano con il precettore d’inglese; Sharon, la maggiore delle figlie stava imparando l’arte del ricamo grazie alle abili direttive della zia; i piccoli Archie, Ethel e Eleanor erano invece stati affidati all’anziana tata e giocavano nei pressi della veranda, concessione accordata grazie alla benevolenza del tempo. La tata sferruzzava all’ombra del pergolato, rassicurata dal riso spensierato dei bambini che si rincorrevano in giardino. Archie, un bimbetto roseo e biondo di cinque anni, cercava di afferrare la sorellina Ethel di appena un anno più piccola e bionda allo stesso modo, mentre la piccola Eleanor, che non aveva ancora compiuto due anni, seduta ai piedi della tata incitava gli altri con suoni articolati in modo originale e pressoché incomprensibili da orecchie comuni. La tata di tanto in tanto staccava gli occhi dai ferri per evitare che la situazione le sfuggisse di mano. “Archie, attento a non spingere tua sorella!”, era uno degli echi sporadici che giungeva ai bambini. Doveva avere un certo potere di premonizione, dal momento che poco dopo si udì l’urlo di Ethel e lo squittio eccitato di Eleanor: “Edel caùta! Edel caùta!” Un secondo dopo, la tata lasciava cadere il lavoro che aveva in grembo e si precipitava dalla bambina piangente; accanto a lei il fratellino stava cercando di consolarla, minimizzando l’accaduto, ma veniva respinto con decisione da una mano paffuta e accusatrice.

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La piccola Eleanor, nel suo vestito giallo a fiorellini, emise un grido preoccupato in direzione della sorella e un altro sotto forma di rimprovero che doveva essere rivolto al fratello, scosse la testolina tonda contornata da riccioli color del miele raccolti in due codini e si sollevò da terra. La sua meta era senza dubbio la scena dell’incidente, ma poi qualcosa dovette farle cambiare idea: due splendide farfalle le si avvicinarono. “Belle!”, esclamò la piccola già dimentica del suo precedente impegno, come del resto è tipico della quasi totalità degli esseri umani che hanno raggiunto la sua stessa quota di anni. Si concentrò, quindi, sulla novità. Allungò le manine nel tentativo di afferrarne una e –stupore!si accorse di avere di fronte due esseri davvero singolari: erano farfalle molto grandi, con due ali luccicanti e multicolori che sostenevano ciascuno un corpicino rosato da fanciulla. Lo sguardo sorpreso e curioso di Eleanor le gratificò e alla loro danza aerea si accompagnò una risatina lieve come un tintinnio, poi si librarono più in alto dirigendosi verso la casa. Eleanor le accompagnò con gli occhioni verdi spalancati, poi le gambette tornite decisero di seguire la stessa direzione. Saltellando verso l’alto nel tentativo di afferrarle, la bimba percorse il corridoio che conduceva alla sala da pranzo, sorda dei richiami della cuoca che l’aveva scorta dalla cucina. “Enite faffalle!”, gridava. Ma gli strani esserini alati continuavano a farsi beffe di lei con risatine tinnule, disegnando in volo ghirigori sempre diversi per disorientare la piccola. Non ottennero risultati. Eleanor non avrebbe desistito, ormai era chiaro. Arrivati alla sala da pranzo, le due strane farfalle rinunciarono alla fuga e le si avvicinarono; la fissarono con i loro piccoli e neri occhi a mandorla, mentre la bimba soddisfatta rivolgeva loro un enorme sorriso. “Siete angioletti o bimbe?”, chiese felice. Le due creature si guardarono dando l’impressione di non aver capito, poi all’unisono fecero segno di no con il piccolo capo. Una sorta di melodia echeggiò per la stanza: “Voi ci chiamate…fate”. Ma la melodia s’interruppe, scontrandosi con i toni striduli e sempre più vicini emessi dalla cuoca che chiamava la bambina dal corridoio. Gli esseri alati si staccarono da Eleanor e si precipitarono verso la serratura della credenza. Eleanor le rincorse per l’ennesima volta. “Non ci seguire! Resta lì!”, cantò ancora la voce. Ma cantò invano. Mentre la prima fata spariva per incanto dentro la serratura del mobile e la soglia della stanza veniva oscurata dalla sagoma della corpulenta cuoca, la piccola Eleanor si avvicinava alla seconda, le ghermiva le gambe minuscole e, con lei, veniva risucchiata in un vortice di luci e colori perdendosi nell’oscurità dell’angusta apertura di legno. “ELEANOR!”, urlò la cuoca. E, come se avesse esaurito tutto l’ossigeno a sua disposizione, la voce le si spense in gola; fu allora che il buio la inghiottì. Quando poco più tardi la cuoca di casa McConnor riprese i sensi, tutto quello che riuscì ad articolare fu un racconto sconnesso di fate e rapimenti, di cui del resto la verde Irlanda trabocca, senza essere in grado di proferire niente di più convincente circa la sparizione di Eleanor. Genitori, fratellini, tata e servi la cercarono in tutta la casa e dintorni per tutto il giorno e oltre, fecero appello alle forze dell’ordine locali, a parenti, amici e conoscenti, vissero per giorni, settimane, mesi, anni, nella speranza di avere sue notizie, ma nulla. Davvero la piccola Eleanor McConnor, due anni da compiere a giugno, ultimogenita del proprietario terriero Gerald McConnor, era sparita nel nulla e per anni a Clarinbridge e nella contea di Galway si parlò di lei e di come, una mattina di marzo del 1893, fosse stata rapita dalle fate.

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Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura italiana DANTE MAFFIA30 Argomento vasto e quasi impossibile da trattare in poche pagine se non per bagliori e indicazioni generiche che potranno dare appena l’idea degli scambi che avvengono silenziosamente e a volte inconsapevolmente tra le letterature di tutto il mondo. Argomento vasto e delicato anche perché bisognerebbe intanto distinguere le influenze sui poeti e quelle sui narratori e cercare di comprendere il motivo per cui attecchiscono le mode o s’incarnano motivi e modi avendo comunque una propria eredità, un proprio patrimonio di appartenenza, quello in cui si è cresciuti e ci si è educati. Per esempio, nonostante la forza contundente che i governi francesi hanno messo in atto per promuovere i loro poeti, in Italia sono riusciti a penetrare pochissimo, in maniera irrilevante, per il semplice motivo che l’Italia ha alle spalle un percorso ininterrotto (sottolineo ininterrotto!) di poesia che è certamente il più completo, complesso e straordinario esistente. Altra faccenda è stata quella della narrativa. Anche in questo campo l’Italia aveva il primato, si pensi soltanto al Novellino, al Decamerone, ad autori come Masuccio Salernitano o a un gigante come Giambattista Basile e si avrà immediata l’idea della forza e della importanza che questi hanno. Ma nell’Ottocento è accaduto un fatto increscioso, quando si preparava la svolta, la rottura col passato (ma, come dice Borges, rottura in letteratura vuol dire semplicemente svolta senza cancellazione del vecchio), e Alessandro Manzoni, invece che guardare a Basile (perfino i fratelli Grimm ci si sono abbeverati), a Masuccio o a Boccaccio ha scelto uno scrittore, che poi non è un grande, e cioè Walter Scott, diventando un punto di riferimento poco confacente alla mentalità e alla sensibilità italiana. Non servì in seguito la presa di posizione, non solo teorica, di Francesco De Sanctis, il grande storico, che si dedicò alla narrativa con due opere, La giovinezza e Il viaggio elettorale, esempi eccellenti di un linguaggio autoctono ma corroborato da freschezza e da accortezza espressiva invidiabili. Ignorato il narratore De Sanctis poi fu un continuo franare verso le accensioni che venivano da fuori, un dare retta a identità lontane e diversissime, rinunciando alla nostra, che si potevano appena sfiorare e che non ci rappresentavano. Da qui il rotolare verso le mode, tanto che perfino una corrente come quella verista dovette pagare lo scotto al naturalismo francese nonostante le personalità illustri di De Roberto, di Verga e di Capuana. La domanda è: “È giusto, è proficuo, dà risultati convincenti il guardare fuori dal recinto nel momento in cui si scrive un romanzo? Non è più efficace e profondo attingere alla propria radice, alle esperienze che si conoscono da sempre e di cui abbiamo conoscenza

Dante Maffia (Roseto Capo Spulico, 1946) vive a Roma. Per la poesia ha pubblicato Il leone non mangia l’erba (1974), Le favole impudiche (1977), Passeggiate romane (1979), L’eredità infranta (1981), Caro Baudelaire (1983), L’educazione permanente (1992), La castità del male (1993), Lo specchio della mente (1999), Possibili errori (2000), Canzoni d’amore, di passioni e di gelosia (2002), Ultimi versi d’amore (2004), Diario Andaluz (2005), Abitare la cecità (2011), Poesie torinesi (2011), Sbarco clandestino (2011). Per la prosa, tra le varie opere Il romanzo di Tommaso Campanella (1996) e il romanzo Mi faccio musulmano (2004). Per la saggistica si è 30

dedicato a vari ambiti della letteratura, tra cui alle opere del Tasso, Quasimodo e alla poesia italiana del nuovo millennio. Ha collaborato con importanti riviste letterarie tra cui «Il Belli», «Idea», «Poiesis», «Fermenti», «Poesia» e ha fondato le riviste «Il Policordo», «Poetica» e «Polimnia» e attualmente dirige quest’ultima assieme a Giorgio Linguaglossa e Luigi Reina. Nel 2004 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito la medaglia d’oro come Benemerito della Cultura.

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profonda? L’universalità non si ottiene anche creando emblemi come Macondo?”, coltivando perfino il proprio orticello personale come Proust? È vero che gli scrittori russi e quelli francesi alla fine dell’Ottocento hanno invaso e imposto la loro presenza, ma se avessimo opposto la fermezza delle nostre radici non avremmo ottenuto maggiori risultati, più nostri, riconoscibili e autentici? Ciò non significa che bisognava chiudersi alle esperienze estere, alzare i muri contro ciò che soffiava da ogni parte del mondo, ma una cosa è confrontarsi e un’altra è restare succubi e imitare, uccidendo il seme del proprio essere. Ovviamente i critici militanti, e non solo, vanno a nozze quando ci sono gli stravolgimenti e fanno presto a inventarsi delle formule per stigmatizzare e designare gli avvenimenti. Si sono perfino inventati la formula di “stile da traduzione” che non significa proprio niente, se non dare l’idea di portarsi addosso alla propria scrittura il clima e la maniera degli autori tradotti. Cioè un fatto direi scolastico, una indicazione che io trovo offensiva. Quando però le influenze non sono alla superficie, ma coinvolgono l’imponderabile, allora la faccenda è diversa. Per esempio, seguendo alcune interviste di Vargas Llosa, di Marquez, di Kawabata e di almeno altri venti o trenta grandi narratori di varie lingue mi ha meravigliato il fatto che abbiano riconosciuto come loro maestro un narratore indigesto come Faulkner. Che cosa c’è in Faulkner che ha determinato la sua presenza fino a influenzare personalità di spicco e vari Premi Nobel? Evidentemente la tecnica, il modo di porgere le vicende, la scansione e lo sviluppo… insomma un qualcosa che non si può configurare in una dichiarazione, ma che naviga dentro le fibre occulte delle pagine e “impone” il dettato. Nello specifico, se vogliamo fare un discorso serio sulle influenze degli autori internazionali nella letteratura italiana dobbiamo indicare alcuni nomi o forse alcuni libri, perché magari, col passare del tempo, chi era stato una presenza determinante ha poi perduto forza. Mi viene in mente Moravia che nasce da una costola di Zola e di Maupassant e poi diventa dostoievskiano; mi viene in mente Cassola che, affascinato da La casa delle belle addormentate di Kawabata, scrive Monte Mario; mi vie ne in mente Bacchelli che cerca di andare oltre le suggestioni di Tolstoj; mi viene in mente Pavese che sfida Checov e gli americani più in voga; Landolfi che guarda a Gogol, ma soprattutto mi vengono in mente i tantissimi che affondano nell’alone di Kafka spesso non sapendo come uscirne. Credo che Kafka sia stato l’imperatore occulto della scrittura di moltissimi narratori italiani degli ultimi decenni, alcuni dei quali tuttavia sapendosi affrancare dal suo magistero e riuscendo a creare opere autentiche. L’elenco sarebbe lungo, anche perché quelli che scrivono hanno tutti avuto un autore che li ha accesi e spesso tramortiti per poi resuscitare nel proprio orticello. Ma ciò non deve creare scandalo o preoccupazione, ognuno viene da una voce solida a cui si è ispirato o rifatto, o con cui si è confrontato. Spesso, tuttavia, capita che il maestro, che sta sullo sfondo e che sembra avere dettato perfino il periodare e le scansioni ideali, non si conosce. Non si è mai conosciuto. Affinità? O arrivi da altre sponde e che trovano adesione perché sentite come proprie accensioni? Anche la scrittura è un mistero insondabile, parlo della scrittura che è fatta con sangue e con sudore, e se qualcuno rassomiglia a un altro non è un problema, l’importante che quando ci si appaia si diventi gemelli e non imitatori succubi, ripetitori assurdi e quindi inutili.

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Su Auden FRANCO BUFFONI31 Nel 1970 W.H. Auden era ancora vivo (sarebbe morto tre anni dopo a Vienna, solo in una stanza d’albergo, reduce dal trionfo della sua ultima pubblica lettura) e impegnatissimo a incrociare l’attrazione per l’affascinante giovane Brodskji, espulso dall’Urss, con la passione dominante per le messe in canto della chiesa di Roma e la grand opera. Fu allora che mi avvicinai alla sua poesia e non me ne sono più separato. Penso in particolare a The Age of Anxiety, la pièce uscita nel 1947, che ho tradotto e di cui ho curato la riduzione teatrale. Quant è il più interessante dei tre personaggi maschili dell’Età dell’ansia; ed è quello che oggi mi assomiglia di più: un pensionato sessantenne che trascorre le giornate alla biblioteca nazionale leggendo libri di mitologia classica, e - a differenza degli altri characters: il quarantenne ufficiale medico Malin (“maligno”, palese proiezione di Auden stesso sulla scena), il ventenne marinaio canadese Emble (da “emblema”) e la trentenne profuga ebrea Rosetta (dalla celebre stele egizia) - ha ormai raggiunto la pace dei sensi: condizione essenziale per poter ascoltare e osservare con pietà e distacco le trame sentimentali degli altri tre personaggi. Si incontrano da perfetti sconosciuti in un bar di New York nell’inverno del 1944. Solo la radio - che interrompe i programmi musicali con un bollettino di guerra - li induce a fare conoscenza, dapprima per commentare le notizie, quindi per intraprendere un duplice e fantastico viaggio nel tempo e nello spazio: dalle origini dell’homo sapiens sulla terra all’età moderna; e attraverso le sette età dell’uomo, già cantate da Shakespeare in As You Like It, dall’infanzia alla vecchiaia. Intanto - sotto lo sguardo serafico di Quant - si intrecciano i desideri dei due uomini giovani in licenza breve e di Rosetta, ben truccata e pettinata, che a New York si è rifatta una vita lavorando sodo in un ufficio import-export, e che non riesce a trovare l’uomo giusto: solo proposte one night standing le capitano, come quella dello splendido marinaio che ora la invita a ballare. Ma Emble non aveva abbassato lo sguardo nemmeno quando Malin lo osservava nello specchio del bar, anzi… al punto da far pensare all’ufficiale:

Girlishly glad that my glance is not chaste He wants me to want what he would refuse Sgualdrinamente felice che il mio sguardo non sia casto, quello vuole che io desideri ciò che poi mi rifiuterebbe. Quant intanto scuote il capo lasciando cadere a terra la cenere dal suo sigaro. Alla chiusura del bar, i quattro si ritrovano in strada; Rosetta li invita nel proprio appartamento per concludere la serata, in cuor suo sperando che solo Emble accetti. Invece salgono tutti, e sono altri sguardi, musiche, pensieri, drink fino a quando Quant invita esplicitamente Malin a lasciar soli gli altri due. Rosetta accompagna Malin e Quant all’ascensore, ma prima fa cenno a Emble di aspettarla in camera da letto. Risale, si rinfresca, lo raggiunge e lo trova sonoramente addormentato. L’umiliazione e la rabbia esplodono nel canto del dolore ebraico: Sh’ma’ Yisra’el.

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Franco Buffoni (Gallarate, 1948), poeta, traduttore e docente universitario, vive a Roma. Ha pubblicato le opere poetiche I tre desideri (1984), Quaranta a quindici (1987), Adidas. Poesie scelte (1993), Il profilo del rosa (1999), Theios (2001), Del maestro in bottega (2002), Lager (2004), Guerra (2005), Noi e loro (2008), Roma (2009), Poesie 1975-2012 (2012), Jucci (2014). Per la narrativa Più luce, padre (2006), Reperto 74 e altri racconti (2008), Zamel (2009) e Il servo Byron (2012). Copiosa la produzione saggistica per la quale citiamo La traduzione del testo poetico (2004), Traduttologia (2005), Mid Atlantic: teatro e poesia nel Novecento angloamericano (2007).

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Sulla strada intanto Malin promette a Quant di tornare presto a trovarlo; Quant gli volta le spalle borbottando tra sé qualcosa di incomprensibile. Per capire di chi e di che cosa stiamo parlando vi invito a osservare alcune foto di Auden, in particolare quella scattata da Cecil Beaton nel 1930 a uno splendido Winstan ventitreenne, con modernissimo (per i tempi) doppio profilo: Auden narciso si attrae e avvicina le labbra di Winstan alle proprie. Era l’epoca della Berlino di Weimer con il sodale ex amante Christopher Isherwood, e Auden frequentava le palestre di pugilato (guardategli in altre foto le unghie smangiate, le lunghe mani ossute), invitando i peggiori ragazzacci tedeschi a fare la lotta nudi con lui sull’erba dei parchi la notte. Una dimensione - questa di Auden lottatore nudo sull’erba - alla quale solo la poesia è riuscita a rendere giustizia. Si vedano ad esempio dalla prima strofa di Atlantis i versi

… you Must therefore be ready to Behave absurdly enough To pass for one of the Boys, At least appearing to love Hard liquor, horseplay and noise. Devi quindi essere pronto a comportarti in modo assurdo, per passare per uno di loro, fingendo che ti piaccia far casino, e gli scherzi pesanti, i liquori…”. Frase nella quale in nuce è contenuta la parte più genuina della poetica di Whitman e preconizzata quella di Pasolini a Roma negli anni Cinquanta. Si considerino anche questi versi dal Coro di For the Time Being:

Mary may be pure, But, Joseph, are you sure? How is one to tell? Suppose, for instance… Well… Maria sarà anche vergine, ma, Giuseppe, ne sei sicuro? Come si fa a dirlo, pensa, per esempio… ehm… Tutto questo per dire che da cinquant’anni convivo felicemente con WH Auden e la sua poetica. Al punto che, nel mio prossimo libro in uscita da Garzanti in gennaio 2018, ci sarà questa poesia a lui dedicata.

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Auden e Isherwood Devo forse chiedere perdono Per avere posseduto Inquiete adolescenze dai gomiti ossuti? La mascella giovane di Hemingway e Ungaretti Gli zigomi di Tennessee e Capote E in quella foto del trentanove Auden e Isherwood in partenza per la Cina, La sigaretta tra le dita di Winstan Il suo cappotto il bavero la sciarpa L’accoglienza al fotografo sorriso E sopra a tutto – mentre egli Desidera il fatto Sensibilmente – Christopher arretra un istante S’imbarca più piano Non crede la storia divenga E risolve col fuoco del mento L’imbarazzo agente.

La beat generation e il premio “Jack Kerouac”32 MARIO DE ROSA Non avrei mai pensato di tornare a scrivere in un giorno in cui viene assegnato il Nobel per la letteratura a uno degli idoli della mia giovinezza: Bob Dylan. Sono contrariato perché, nonostante una vita d’impegno e di musica a favore delle battaglie più giuste e rivoluzionarie e per un cambiamento epocale della società, Bob è per me una rockstar di livello mondiale, non certo un letterato vero e proprio, nonostante le sue memorabili ballate. Quest’anno ho voluto proporre, per il premio da me ideato e diretto [a Morano Calabro], un approfondito excursus su Jack Kerouac, l’autore che i giovani degli USA, e quelli di tutto il mondo, hanno scelto come emblema della beat generation.

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Questo articolo è stato pubblicato sul blog-zine “Asterisco – Il piacere di pensare” in data 14-10-2016. https://www.asteriscoduepuntozero.it/on/blogzine/canto-d-acque-di-mario-de-rosa/559-la-beat-generation-e-ilpremio-jack-kerouac.html

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Quest’autore deve la sua fama al noto romanzo On the road (Sulla strada) e ad altri racconti che sulla falsariga di questo romanzo descrivono il sogno americano, che poi diventerà il sogno dei giovani di tutto il mondo. Al fianco di Kerouac, affrontano il medesimo tema un manipolo di scrittori d’avanguardia, come Allen Ginsberg (foto a sinistra), William Burroughs, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, Neal Cassady, Gary Snyder e Lucien Carr. Ho fortemente voluto proporre Kerouac, autore d’indole romantica, soprattutto per la sua vena poetica. Lo stesso Ginsberg, in una famosa conferenza, affermò che in Kerouac ogni espressione era poesia e che non è possibile tracciare in lui una linea di demarcazione fra prosa e poesia. Anche il grande “Robert Zimmerman”, alias Bob Dylan, ha affermato che la sua vita ha subìto una trasformazione profonda nel leggere la raccolta poetica di Kerouac. Il suo verso libero coglie le sfumature più intime dei paesaggi stellati dell’Ovest, del canto malinconico dei neri davanti alle loro fattorie e la desolazione dei paesaggi cittadini delle varie città attraversate. Nei suoi versi troviamo un po’ del grande Whitman, la bellezza potente di Eliot e di Pound. Forse per uno strano destino, oggi, la musica si riprende quello che il grande “TI JEAN” (Kerouac), le aveva carpito ispirandosi al Bebop, a Charlie Parker, Miles Davis, Dizzy Gillespie, ma soprattutto a Slim Gallard e al suo blues- jazz dai disperati assoli. Da fine primavera, fino a Settembre, assieme ai miei collaboratori – con speciale menzione per Giusi De Rosa – abbiamo voluto ripercorrere con il nostro amato protagonista le polverose strade che dall’East Coast portavano all’oceano e alle città di Los Angeles e di Frisco (San Francisco). In tanti scritti memorabili di Kerouac abbiamo trovato un’anima desiderosa di una ragione di vita, un ragazzo insicuro in cerca di sicurezze e di un po’ di felicità e successo; quel successo che in qualche modo lo distruggerà facendogli perdere la sua essenza interiore a causa delle droghe che troncarono la sua vita a soli quarantasette anni. In molti hanno aderito al premio internazionale “Jack Kerouac-Morano Calabro Città D’Arte”. Poeti dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Siria, dagli USA, dalla Georgia e da ogni regione italiana hanno aderito con entusiasmo inviando versi di pregevolissima fattura. A sostegno del premio hanno donato alcune delle loro pregevolissime opere artisti locali come Franco Zaccaro e Francesco Ortale (Castrovillari), Kim Rek (Madrid) e una ricca schiera di altri amici della poesia. La mia più grande soddisfazione è stata vedere partecipare attivamente parecchi alunni delle scuole primarie e secondarie, sia locali che di altre regioni. Personalmente non scorderò facilmente le parole di ringraziamento spese da diversi partecipanti. Tutta gente che con piacere si è accompagnata a Kerouac e alle sue parole, cogliendo l’opportunità di affrontare con le armi pacifiche della bellezza questi tempi così duri e densi di sofferenza. Sollievo dalle guerre, dalle più svariate vicissitudini, dalle angustie della salute. Forse anche in questo consiste la missione della poesia.

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Jane Austen e la sua influenza nella letteratura italiana contemporanea SAMANTA CASALI33 Nel mondo della letteratura moltissimi autori hanno influenzato gli scrittori delle epoche successive. Ci sono molteplici modi per influenzare la scrittura di un autore e io vorrei porre l’attenzione su una tipologia particolare ovvero il retelling. Questo fenomeno è da considerarsi una vera e propria forma di influenza poiché se così non fosse molte opere non sarebbero mai nate. In questo articolo presento l’esempio di Jane Austen, un’autrice letta e stimata a tal punto che le sue opere sono state oggetto di numerosi derivati tra i quali prequel, sequel, spin-off e appunto retelling. Queste forme di scrittura non si sono limitate al mondo anglosassone, ma hanno raggiunto diverse nazioni tra cui l’Italia. Molte autrici italiane si sono dedicate alle stesure di testi che mostrano un chiaro legame con le opere della scrittrice inglese. I retelling di cui ho scelto di parlare nascono dalle penne di Cinzia Giorgio e Stefania Bertola. Le storie narrate in queste riscritture sono ambientate nell’Italia dei giorni nostri. I romanzi di Jane Austen fanno da modello per le varie vicende che vengono raccontate in chiave moderna. Cinzia Giorgio ha proposto ben quattro opere che prendono ispirazione da altrettanti romanzi dell’autrice inglese. È bene precisare che i romanzi canonici della Austen sono sei e al momento sono stati scritti Prime catastrofiche impressioni (da Orgoglio e pregiudizio), Cosa farebbe Jane? (da Ragione e sentimento), L’amore è una formula matematica (da Emma) e Il bello della diretta (da Persuasione). Forse in futuro vedremo anche i retelling delle due opere rimanenti ovvero L’abbazia di Northanger e Mansfield Park. Tutti questi testi sono la prova evidente di come un’autrice morta ben duecento anni fa abbia ancora oggi una forte influenza sulla nostra letteratura nazionale. Il retelling scritto da Stefania Bertola presenta degli aspetti interessanti per quanto riguarda la scelta sia del titolo sia dei nomi delle protagoniste. L’autrice ha deciso di intitolare il suo romanzo Ragione e sentimento esattamente come il titolo dell’opera della Austen nella sua traduzione italiana. Inoltre ha attribuito alle tre sorelle dei nomi che sono l’equivalente italiano di quelli del romanzo austeniano: troviamo Eleonora, Marianna e Margherita al posto di Elinor, Marianne e Margaret. Queste caratteristiche rappresentano la volontà da parte dell’autrice di proporre ai lettori un libro che mostri un preciso riferimento all’opera di Jane Austen. Stefania Bertola non si è limitata a una semplice riscrittura, ma a una ben definita identificazione con l’omonimo romanzo ottocentesco. Gli esempi riportati mettono in evidenza come la letteratura contemporanea italiana risenta profondamente dell’influenza di una scrittrice del calibro di Jane Austen. L’autrice anglosassone ha condizionato fortemente l’immaginario collettivo presentando personaggi e situazioni che ancora oggi sono al centro di numerosi lavori letterari e ciò dimostra come questa scrittrice sia un modello seguito e amato che ha lasciato il segno anche nella nostra letteratura italiana.

Samuela Casali (Tolentino, 1992). Nel 2016 ha partecipato come relatrice alla conferenza “La signora di Wildfell Hall di Anne Brontë. Un classico riscoperto della minore delle tre sorelle Brontë” nell’ambito del progetto 33

“Incontri nella brughiera” promosso dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Nello stesso anno ha pubblicato il racconto “Mistero a Villa Cordelia” all’interno dell’antologia Racconti in libertà - Centro.

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Un approfondimento su Paul Valéry TINA FERRERI TIBERIO Paul Valéry nacque a Cette nel 1871, morì a Parigi nel 1945. Figlio di un funzionario delle dogane e di Fanny Grassi, genovese, frequentò la Facoltà di Diritto a Montpellier; conobbe A. Gide, del quale divenne l’amico prezioso della sua giovinezza e Mallarmè, del quale frequentò i famosi “martedì” letterari. Fu proprio Mallarmè a incoraggiarlo a pubblicare sulla rivista La Conque i suoi primi versi (“Narciso parla”, “Orfeo”, “La filatrice”). La rivista La Conque di Pierre Louys pubblicava opere di artisti parnassiani e simbolisti, come Mallarmé, Moréas, Verlaine e Gide. In una notte tempestosa, durante il soggiorno a Genova, nella casa materna, Valéry ebbe una profonda crisi intellettuale. Il bisogno di certezze scientifiche assolute lo indusse ad allontanarsi per più di vent’anni dalla poesia, sostituendola con la speculazione matematica e filosofica. In questi anni compose L’Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci (1895) e La serata con Monsieur Teste (1896). Poco dopo “il metodo logico” di Valéry venne esteso alla politica nell’opera Una conquista metodica (1897), nella quale analizzò i meccanismi economici della Germania contemporanea. L’anno 1917, con La giovane parca, vide il suo ritorno alla poesia e l’inizio della sua fama letteraria. A questo volume seguirono poi L’album di versi antichi (1920) che raccolse le composizioni della giovinezza e Charme (1922), in cui è incluso il suo componimento più noto, “Il cimitero marino”. Alla prosa ritornò con alcuni dialoghi, su modello di quelli platonici: Eupalino o Dell’architettura (1923) e L’anima e la danza (1923). Alcuni anni dopo apparvero volumi che, riunendo vari scritti in prosa, davano l’idea di una personalità eclettica e della vastità dei suoi interessi. Scrisse per il teatro due balletti melodrammatici: Anfione (1931) e Semiramide (1933) e un libretto per musica, La Cantata di Narciso (1938). Tema centrale della sua opera può essere considerato l’Io, visto da angolature varie.

Valéry attinse alla scienza e alla filosofia per la sua ispirazione. Rigido osservatore del ritmo classico, considerava l’opera poetica il prodotto di un calcolo e di un controllo mentale, esercitati sull’insieme dei dati dell’esperienza e sulle possibilità combinatorie del linguaggio. Mentre le opere in prosa per l’originalità speculativa, non hanno mai risentito di flessioni nel giudizio della critica, la poesia, dopo le prime entusiastiche accoglienze, subì una parziale eclisse dovuta all’affermarsi di nuove poetiche, primo fra tutti il surrealismo. Solo il lavoro della critica formalistica ha portato in tempi recenti a rivalutare anche questa parte della sua opera. La poesia di Valéry è poesia simbolista. Si propone di affascinarci con l’armonia musicale, di trasportarci in un mondo superiore creato dal travail di un certo moi del poeta.

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CRITICA LETTERARIA

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Perché leggere Kafka GABRIELLA MONGARDI34 Il nome di Franz Kafka - al secolo uno scrittore ebreo-tedesco nato a Praga nel 1883 e morto di tisi nel 1924 - è comunemente associato a visioni opprimenti di un uomo prigioniero di colpe innominate e innominabili, di paradossi angosciosi e insolubili, di prospettive inquietanti: infatti le più famose opere di Kafka - il romanzo Il processo, i racconti La metamorfosi, Il verdetto, Nella colonia penale - narrano di colpe incomprensibili e inspiegabili, di punizioni, di terribili esecuzioni; tanto che l’aggettivo ‘kafkiano’ (kafkaesk in tedesco, kafkaïen in francese, kafkaesque in inglese) viene usato oggi ad indicare una situazione assurda, allucinante, quanto mai angosciosa. Perché leggere Kafka, allora? Perché leggere opere che a prima vista risultano deprimenti, troppo cerebrali, macchinose, come se lo scrittore volesse rendersi ‘antipatico’, volesse sconcertare il lettore, vietargli una libera e immediata fruizione del testo, uno spontaneo piacere della lettura, suscitando in lui quasi un senso di colpa? È proprio così: Kafka sa concepire solo un testo che sfida il lettore a comprenderlo su un piano diverso da quello della semplice lettura, ponendogli domande perentorie alle quali non può esimersi dal rispondere; domande che costantemente conducono il lettore al di là dell'immagine, in direzione di un significato che nell'immagine pare essere solo alluso o cifrato. Di qui il carattere ermetico, chiuso, opaco delle sue pagine - di un'opacità che mette a disagio il lettore, che lo fa sentire in colpa, costringendolo a domandarsi perché si senta colpevole di non capire un testo che pure lo affascina con la perfezione delle sue caratteristiche formali, innanzitutto la geometria cristallina della sua lingua. Basterebbe la spia linguistica dell’aggettivo denominale a sancire l’importanza fondamentale dello scrittore praghese nel mondo moderno: Kafka non è uno scrittore come un altro, è diventato un concetto, un simbolo, un mito… Abbiamo bisogno di Kafka per dar voce a qualcosa sepolto in noi, che preme per affiorare alla luce – qualcosa appunto di ‘kafkiano’, di indicibile, addirittura di mostruoso, che solo attraverso la parola di un artista si può evocare e quindi in qualche modo controllare, esorcizzare, ammansire. Per questo «è perso chi non avrà incontrato Kafka» – come affermava Guido Ceronetti, per questo leggere Kafka è sicuramente benefico o addirittura salvifico. Ma non è il caso di partire dai testi più ‘tristemente’ famosi; c’è un altro Kafka, quello breve degli schizzi e delle parabole, o quello degli altri due romanzi, America e Il castello: un Kafka meno ostico, più accogliente – sempre inquietante, certo, ma di un’inquietudine diversa, oserei dire ‘terapeutica’, benefica; se lo si avvicina in questo modo, per questa via, si potranno anche leggere successivamente gli altri testi ‘canonici’: sicuramente si reagirà in modo diverso di fronte ad essi, ci risulteranno più... tollerabili. Kafka non era uno scrittore di professione: laureatosi in legge, di giorno lavorava come impiegato presso un ufficio di assicurazioni, e scriveva solitamente di notte, in modo compulsivo, senza potersi staccare dalla scrivania: scrivere era per lui qualcosa di imprescindibile, un’esigenza vitale, e nello stesso tempo era l’ammissione della sua incapacità, della sua inadeguatezza a vivere; era la sua condanna alla separatezza e alla lontananza, ad essere senza patria (Heimatlosigkeit), senza radici (Wurzellosigkeit), senza via di scampo (Ausweglosigkeit). Ma 34

Gabriella Mongardi (Mondovì, 1953), laureata in Filologia Classica a Torino, ha insegnato per quasi quarant’anni italiano e latino al Liceo “Vasco-Beccaria-Govone” di Mondovì. Ha pubblicato i libri di poesia La tela di Penelope e Montagne nostre, e tradotto dall’inglese le poesie incluse nel saggio L’incanto nella poesia di Emily Dickinson di Giuliana Bagnasco. Di imminente uscita un altro suo libro di poesie, Nella stanza segreta. Dal 2012 pubblica le sue poesie in rete, nel blog “Stilleben”; dal 2013 scrive di letteratura e altro su “Margutte, non-rivista online di letteratura e altro”, di cui è redattrice. Tiene conferenze presso la locale Università della Terza Età e partecipa come relatrice ai convegni dell’Associazione Italiana di Cultura Classica, sezione di Cuneo, di cui è segretaria. Un’altra sua passione è la musica barocca: è Presidente dell’Associazione “Amici dell’Academia Montis Regalis“, orchestra barocca di fama internazionale che ha sede a Mondovì, e scrive regolarmente le recensioni dei concerti.

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scrivere è anche l’unica giustificazione della sua “monotona, folle, vuota vita da scapolo”, è la tana nella quale si sente sicuro e protetto, anche se poi il nemico è sempre sulle sue tracce (cfr. il racconto La tana). Perciò in una lettera all’amico Max Brod del giugno 1921 Kafka parla di 4 impossibilità: «l’impossibilità di non scrivere, l’impossibilità di scrivere in tedesco, l’impossibilità di scrivere diversamente, l’impossibilità di scrivere: infatti la disperazione non era una cosa che si potesse calmare scrivendo, era una nemica della vita e dello scrivere, lo scrivere era soltanto una misura provvisoria, come quella di chi scrive il proprio testamento prima d’impiccarsi... una misura provvisoria che può benissimo durare una vita intera». Questo è tipicamente kafkiano: il dibattersi nell’aporia di alternative logicamente inconciliabili, contraddittorie, che in astratto si escludono reciprocamente, e che pure si rivelano coesistenti, o addirittura coincidenti, sul piano psicologico. Di qui la lacerazione interiore, il disorientamento fino alla paralisi decisionale, l’impossibilità di agire, che emergono da tutti - o quasi - i testi kafkiani. Eppure, nonostante tutto, Kafka scrive, scrive per bisogno interiore ma senza attendersi una salvezza dall’arte, profondamente consapevole dei limiti del linguaggio e dell’impossibilità di un’autentica comunicazione umana, perseguendo un testo che, se non poteva sperare di contenere la verità, doveva almeno rappresentare una continua proiezione verso di essa, al di là dell'immagine; scrive assegnando alla scrittura il compito di ritrovare (o ricreare?) la Verità, perché l’arte, come la scienza, è una metodologia rispetto a ciò che è ‘altro’, inaccessibile perché irriducibile alle categorie della conoscenza e della lingua dell’uomo, e può riferirsi ad esso solo in forma allusiva, solo per via indiretta, per accenni. Eppure se una speranza per Kafka esiste essa si dà nella parola e non nel silenzio, nella scrittura e non nella rinuncia a scrivere. In un appunto dei Diari, 18-10-1921, egli afferma infatti: «Si può benissimo pensare che la magnificenza della vita sia pronta ed afferrabile, in tutta la sua pienezza, intorno ad ognuno e sempre, ma velata, persa nel profondo, invisibile, lontanissima. Se la si chiama con la parola giusta, con il giusto nome, viene. Questa è l’essenza della magia, che non crea, ma chiama». Se questa osservazione può forse esprimere una speranza, quel che è subito chiaro è che essa contiene una distinzione, che condiziona la natura e gli strumenti della narrativa kafkiana: la distinzione tra parola-che-crea e parola-che-chiama, ossia la parola che è atto creativo, che risolve ed esaurisce in sé la realtà ed è quindi la verità, e la parola che è atto evocativo e come tale provoca la realtà. Senza dubbio la parola di Kafka ‘chiama’, evoca: la sua arte è ‘una forma della preghiera’ e ha quindi tutta l’ambivalenza e la problematicità dell’invocazione magica e religiosa, è evocazione ma anche provocazione, suscita le ultime istanze di una realtà insignificabile, ma nell’istante stesso in cui cerca di possederle e imprigionarle nella parola compie un atto sacrilego. È di qui che alla scrittura di Kafka deriva un atteggiamento ambivalente e profondamente tragico. Da una parte essa è del tutto passiva e come paralizzata e affascinata dall’assurdo, cui essa si adegua con una immediatezza felice e dimentica - la stesso atteggiamento con cui Georg Bendemann, il protagonista del Verdetto, accetta ed esegue senza reazioni la terribile sentenza paterna, la condanna al suicidio; dall’altra però l’arte di Kafka si eccita in un’esasperazione logica e verbale senza pari, che tenta di respingere e al tempo stesso di dominare, in una frase perfetta e indistruttibile, quella realtà che il poeta ha evocato. Pensiamo a due testi celeberrimi, il racconto La metamorfosi e il romanzo Il processo, che presentano due tipiche situazioni kafkiane. Entrambe le storie, scritte a breve distanza l’una dall’altra, hanno in comune il carattere dell’incubo e rappresentano l’irruzione improvvisa dell’assurdo in un ordinato mondo piccolo-borghese. Ma, mentre la storia di Gregor Samsa trasformato in scarafaggio è narrata con una precisione, un

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distacco e una freddezza chirurgici, il Processo è come attraversato da una febbrile concitazione interpretativa che aumenta sempre più di tono e di foga, in una sorta di furia logica diretta contro una realtà che si rifiuta di entrare nel regno umano, troppo umano, della parola. La narrativa di Kafka si sviluppa così con un duplice respiro, un duplice ritmo: quello passivo e irrazionale della visione e quello attivo e razionale dell’interpretazione. Da una parte, cioè, abbiamo il racconto, a volte brevissimo, un semplice schizzo, quasi una folgorazione immediata e indifferenziata, che rappresenta in modo emblematico la condizione dell’uomo; dall’altra il romanzo, che nasce come sforzo di superamento e di interpretazione della visione. Così, se il protagonista del racconto è sempre la vittima passiva dell’assurdo e dell’inganno universale (Gregor Samsa, il medico di campagna, il cacciatore Gracco, protagonisti dei racconti omonimi), l’eroe del romanzo è sempre un eroe ribelle, la storia della sua ricerca è sempre la “descrizione di una lotta”. E proprio questa lotta è la misura della grandezza e dell’originalità di Kafka. Ciò che lo accomuna alla letteratura europea primonovecentesca - ad esempio agli espressionisti o ai surrealisti - è la sua fantasia visionaria, allucinata, la sua disperata fede nel linguaggio del sogno, il suo irrazionalismo. Ma ciò che da loro lo distingue è la sua caparbia volontà di interpretare l’incubo, di razionalizzare l’assurdo, di rendere nuovamente umano un mondo che sembra aver perduto completamente la memoria dell’uomo. Il mio itinerario kafkiano comincerà da due racconti brevi, o parabole, che presentano in forma purissima, estremamente distillata, i due motivi di fondo di tutta la narrativa kafkiana: la ricerca, l’indagine razionale (La trottola) e l’attesa (Il messaggio dell’imperatore) - e testimoniano la potenza fantastica dello scrittore, capace di tradurre questi temi in immagini e situazioni narrative una più felice dell’altra, creando racconti animati da un ritmo di danza, ‘leggeri’ anche quando dicono un’angoscia schiacciante, insostenibile. Tre sono i protagonisti del brevissimo racconto La trottola (1920), in cui un filosofo osserva dei bimbi che giocano con una trottola: da una parte abbiamo il filosofo, simbolo dell’uomo teso alla spiegazione razionale della realtà, dell’uomo che ha bisogno di conoscere il perché delle cose, di definire, con la scienza, le leggi fisico-matematiche che regolano l’universo. Al centro - come indica il titolo - la trottola, oggetto delle sue osservazioni e del suo studio, che può simboleggiare la Terra che gira, o piuttosto la vita che è gioco e movimento. Dall’altra parte abbiamo i bambini, che non si fanno domande perché giocando partecipano già, inconsciamente, del segreto e della verità. L’apologo dimostra che la conoscenza a cui tende il filosofo è assolutamente impossibile: la trottola che è viva e veramente significante nel gioco dei bambini, in mano al filosofo diventa un “insulso pezzo di legno”. Solo il gioco dei bimbi riesce a cogliere il ritmo dell’universo, o meglio è questo ritmo, è questa verità, ma la dimostrazione viene fornita per via indiretta, attraverso le immagini, la struttura e il ritmo del testo narrativo. Scrive Kafka nei suoi quaderni: «Non esiste un avere, ma solo un essere»: chi è nella verità, ossia chi accetta la vita nella sua elementarità, chi è la verità - come i bambini - non possiede la verità, non ne è consapevole: esiste una frattura incolmabile fra la conoscenza e la fruizione della verità, e questa frattura determina appunto l’assurdità angosciosa della condizione dell’uomo. Ma non per questo l’uomo deve rinunciare cercare e ad attendere, stante che è l’attesa la vera dimensione della nostra esistenza. È quanto ribadisce, nello stesso anno, Il messaggio dell’imperatore.

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Il racconto narra di un imperatore che, in punto di morte, davanti a tutti, affida ad un messaggero un messaggio per un suo suddito. Il messaggero parte, ma troppa gente lo ostacola: il suo cammino è lentissimo, impossibile; la distanza tra il messaggero in cammino e il destinatario in attesa è incolmabile. Eppure, questa volta, il negativo, lo scacco non trionfa. Nell’ultima riga del racconto il suddito, destinatario del messaggio imperiale, è seduto presso la finestra, in attesa, e ‘si sogna’ il messaggio, al calar della sera: ed è la forza della sua attesa, del suo sogno, a garantire la realtà del messaggio. Il verbo tedesco ertraümen, infatti, non significa soltanto “sognare”, bensì realizzare nel sogno il fine del sogno stesso. E dà la misura di un’ansia, di una volontà, di una feconda disposizione di attesa che si protende a cogliere nel sogno il bagliore di una verità altrimenti irraggiungibile: in questo modo Kafka si apre ad una forma di speranza. Perché è vero che nel Messaggio dell’imperatore Kafka esclude che il messaggero imperiale possa raggiungere l’uomo che attende quest’ambasciata: eppure la leggenda, se toglie all’uomo la speranza che il messaggero possa mai raggiungerlo, gli dà la certezza che il messaggio gli è stato effettivamente inviato, che è presente, reale, e solo nascosto, offuscato dalle tenebre di un mondo che è caos e inganno. Per ricevere questo messaggio, l’uomo deve smettere di ‘cercare’, deve stare alla finestra, in attesa, deve ‘vegliare’. Nella leggenda Kafka raggiunge il piano purissimo del mito: si è chinato di fronte al mistero e ha rinunciato ad interpretarlo razionalmente per darne un’immagine mitica che per la sua stessa natura stabilisce la distanza invalicabile tra l’uomo e l’Altro, ma insieme è l’unica forma possibile di conoscenza, di contatto. In questo modo ci affacciamo sul Castello, giungiamo a quella che a giudizio dei critici è «l’opera più conclusa ed essenziale dello scrittore praghese»; «il punto d'arrivo di tutta l’arte kafkiana». La trama è estremamente lineare, direi povera: il romanzo si apre con l’arrivo di un agrimensore, K., in un villaggio situato ai piedi di un castello e narra i suoi vari - e vani - tentativi di entrare in contatto con le autorità, i funzionari del castello, che a suo dire l’hanno mandato a chiamare. L’azione cede il posto ai lunghi dialoghi fra i personaggi; gli avvenimenti si dispiegano con un ritmo lento ed avvolgente, in un’atmosfera fiabesca, di fissità onirica. Aprendo il libro ci si sente come accolti in un’altra dimensione, e leggerlo vuol dire muoversi in punta di piedi per non far rumore, per non turbare con un gesto troppo frettoloso l’intatto silenzio di quel mondo, l’immobilità senza tempo del piccolo villaggio, la forte valenza simbolica del paesaggio innevato e delle figure. Affiora sempre più insistentemente l’immagine di una alterità che è assenza, eterna lontananza, silenzio, fioco bagliore o, come nel caso del conte West-west, il signore del castello, un nome-cifra che si perde nel corso della narrazione, un’entità senza volto nascosta nei recessi del castello, circonfusa da una perenne opacità, dal grigio

silenzio di un inverno senza fine. Il motivo portante del romanzo si delinea già nell’incipit: Era tarda sera quando K. arrivò... Tutto si carica di valenze simboliche: la neve che annulla i contorni, la nebbia, il buio, il ponte sospeso sull’abisso, il vuoto... il disorientamento è totale. L’assunto del romanzo sembra essere di nuovo come nei racconti e romanzi precedenti - l’assurdità di un destino da anticamere e sale d’aspetto, che riduce l’esistenza dell’uomo ad una sterile attesa alle soglie, ai margini della Verità. All’inizio si direbbe che l’agrimensore sia stato ingannato, perché nessuno sa nulla del suo incarico, però non si può escludere che la chiamata di K. al villaggio sia una delle improvvise decisioni dell’autorità, incomprensibili agli abitanti del villaggio e tuttavia indispensabili per l’equilibrio del Tutto. In realtà quello di K. è un destino liberamente scelto. Il suo arrivo al villaggio coincide già con l’assunzione,

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e questa è una sfida che K. ha lanciato al castello e che il castello accetta, rimettendo a lui stesso il compito di dimostrare la propria assunzione e indicandogli due vie (cioè due sfere, due modi di vita): «essere operaio della comunità, unito al castello da relazioni onorifiche, ma solo apparenti, oppure serbare soltanto l’apparenza di un operaio e in realtà lasciar regolare il suo lavoro dalle istruzioni che Barnaba - un messaggero, un intermediario - gli avrebbe recato di tanto in tanto» (cap. II). La prima via, che si offre all’agrimensore attraverso l’unione con Frieda, cameriera alla mescita dell’Albergo dei Signori, rappresenta la sfera della domesticità, della vitalità inconscia ed elementare, dell’adesione istintiva alla vita: è la dimensione di Frieda, dei due aiutanti Arturo e Geremia, degli abitanti del villaggio che vivono nella Verità, sono la Verità, ma non hanno la verità - secondo la distinzione che abbiamo già visto per La trottola. L’altra via, quella del messaggero Barnaba che porta a K. lettere private di un funzionario, Klamm, è la via del contatto personale con la burocrazia del castello, il tentativo di gettare un’occhiata ‘al di là’, dall’altra parte, grazie alla parola umana, alla poesia - di cui Barnaba è l’amara, commossa allegoria. Amara perché Barnaba quindi la via della poesia, della ricerca - non costituisce, come K. inizialmente sperava, una via di ascesa al castello, un avvicinamento all’Altro. La poesia, come il messaggero Barnaba, trasmette soltanto cenni vuoti e deludenti che «non servono a nulla e recano al mondo soltanto smarrimento»; la poesia non offre approdo alcuno, proprio in quanto dimensione dell’assoluta, indeterminata possibilità, e lo smarrimento è implicito nel carattere metafisico dell’attesa. La via dell’arte chiama ad un destino di insostenibile assenza, di lontananza, di ‘extraterritorialità’: l’agrimensore, per cercare di sorprendere Klamm e di raggiungere il castello per chiarire direttamente, senza la mediazione del villaggio, il significato della propria nomina, si allontana sia dalla comunità, che da Frieda, che da Barnaba e si ritrova, nel cortile gelato dell’Albergo dei Signori (il luogo proibito), assolutamente solo, lontano e impotente di fronte alla meta da raggiungere. Tutta la ricerca di K. sembra essere diretta ad ottenere dalle autorità il permesso di vivere al villaggio: in realtà il suo conclamato desiderio di giustizia, di riconoscimento, è a ben guardare un mezzo per soddisfare il diabolico narcisismo della sua volontà di sapere. La sua vera intenzione non è di radicarsi nel villaggio, ma di arrivare - con l’aiuto di tutti e persino con il consenso delle autorità - fino alla Verità suprema per esserne il solo padrone. Ma l’uniformità, la monotonia della narrazione dà risalto all’equilibrio inalterabile dell’universo, ad un ordine del mondo in cui la tensione dell’eroe all’incontro con un evento risolutivo è costantemente vanificata; l’impossibilità d’incontro con le istanze superiori, che si ritirano sempre più in là, emerge nel Castello come carattere stesso dell’universo. Però, nel terzultimo capitolo, la staticità e l’equilibrio delle pagine precedenti sembrano sul punto di spezzarsi improvvisamente: chiamato nel cuore della notte per un’udienza, K. penetra per errore nella camera di un funzionario, il segretario Bürgel, che si abbandonerà a insolite confidenze con lui - K. entra cioè in contatto con l’autorità, sembra raggiungere la sua meta: ma sfinito dalla stanchezza, non ascolta le rivelazioni di Bürgel e si addormenta. In quest’episodio le infinite barriere che separano l’agrimensore dal castello, che imprigionano la luce della verità nella rigida logica del quotidiano, sembrano crollare improvvisamente. Esiste quindi una possibilità - «una possibilità molto rara, o per dir meglio una possibilità che non si presenta quasi mai» - di risolvere l’attesa di K., di conciliare la sua tensione alla vita e alla conoscenza, all’essere e all’avere la verità. La verità, sembra essere il messaggio di Kafka, non può resistere all’improvvisa domanda lanciata nella notte, così come la magnificenza della vita non può negarsi alla parola poetica che la chiama col giusto nome. Ma nell’atto di far rilucere l’estrema ed inattesa potenzialità dell’universo, l’episodio di Bürgel ne conferma anche lo sconfortante equilibrio: il limite fisico, soggettivo, che in sé non smentisce l’essenza aperta del mondo, trascolora in ‘qualcos’altro’, nel simbolo della perenne vanità degli sforzi umani, in quanto tali. Quali i possibili significati del Castello? Thomas Mann a proposito di Kafka ha parlato di “allegorismo vuoto”, ma è proprio il vuoto del testo che ha bisogno del lettore per essere riempito… Così, se ne può dare una lettura ‘semiotica’: il Castello non è (ancora) un “segno”, è un “significante” che aspetta dal lettore il “significato” che lo completi, l’altra faccia della medaglia.

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Come insegna Steiner, l’arte esiste perché esiste ‘l’altro’; ogni opera è un atto di comunicazione, un tentativo di incontro. Proprio di questo ci parla il Castello. Il desiderio dell’agrimensore di un contatto personale con l’autorità si può interpretare come trascrizione del desiderio di un contatto autentico di un uomo con un altro uomo. Il compito dello scrittore è quindi di abbattere il sistema delle mediazioni, i diaframmi, le barriere che ci separano dall’altro, di imporre in una parola al castello la legge dell’agrimensore. La letteratura si presenta allora come la vera comunicazione, la vera Legge, la vera Vita: nutre l’utopia di restituire alla società dell’uomo la purezza della parola assoluta. Detto in altri termini, il suo compito in ultima analisi è quello di evidenziare, grazie a questa parola, la carica simbolica del quotidiano, senza però esplicitarne il significato ultimo, senza dissolvere l’enigmaticità che circonda l’esistenza: ma aiutandoci a non essene schiacciati. BIBLIOGRAFIA G. BAIONI, Kafka. Romanzo e parabola, Milano 1962 M. BROD, Kafka, trad. it. Milano 1978 G. BAIONI, Kafka. Schizzi, parabole, aforismi, Milano 1983 P. CITATI, Kafka, Milano 1987 G. STEINER, Vere presenze, trad. it. Milano 1992 R. CALASSO, K., Milano 2002 G. STEINER, Dopo Babele. Aspetti del linguaggio e della traduzione, trad. it. Milano 2004 R. STACH, Questo è Kafka?, trad. it. Milano 2016

Goethe e i I dolori del giovane Werther, ispiratore di una poetica in Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Affinità tra il Werther, l’Ortis e Consalvo. VALTERO CURZI35 Johann Wolfgang Goethe con il I dolori del giovane Werther viene solitamente reputato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo e quel suo libricino fu il successo più grande, più esteso, più sensazionale nell’Europa della seconda metà del Settecento, in pieno illuminismo. Ed è stato proprio Goethe, assieme al poeta e filosofo tedesco Friedrich Schiller, a porre le basi del movimento dello “Sturm und Drang”, anticipatore del Romanticismo e per certi versi, in alcuni aspetti continuatore dell’Illuminismo, almeno nella sua parte che si rifà al sentimento sulle opere di Jean Jacques Rousseau. Fu infatti quest’ultimo a portare la parte sentimentale dell’illuminismo verso il pre-Romanticismo prima e successivamente nel Romanticismo. Lo “Sturm und Drang”, dunque, è il movimento culturale e letterario tedesco che con il suo programma di un’integrale rivalutazione dell’irrazionale nella vita e nell’arte, in opposizione all’intellettualismo illuministico, rappresenta l’ultima fase di quel pensiero che si stava definendo poi nel Romanticismo. Nella tradizione letteraria tedesca lo “Sturm und Drang”, letteralmente “Tempesta e impeto” riprende dal pietismo, dalla riabilitazione del sentimento e della fantasia nell’estetica inglese e svizzera, dall’opera rinnovatrice di G.E. Lessing, dalla lirica di F.G. Klopstock, e si annuncia, fin dalle sue origini (negli scritti teorici di J.G. Hamann, J.G. Herder, Klopstock),

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Valtero Curzi (Senigallia, 1957) libero professionista, filosofo, scrittore, poeta e critico d’arte Dopo il conseguimento del Diploma all’Istituto Tecnico per Geometri, ha intrapreso studi filosofici all’Università di Urbino, interrompendoli, però, per dedicarsi all’attività nell’impresa paterna, nel campo edile e immobiliare. Ha conseguito successivamente la Laurea in Filosofia seguendo poi come critico dell’arte contemporanea molte mostre d’arte e di Libri d’Artista. Si interessa d’arte per il legame che la unisce alla filosofia, nell’analisi interpretativa sul concetto nelle forme espressive, soprattutto a quelle d’arte concettuale. Per la poesia ha pubblicato raccolte di versi: Universo di Emozioni e Il tempo del vivere è mutevole; per la narrativa un romanzo epistolare: Sotto il cielo turchino di Bayan Olgii e Detti memorabili, pensieri e riflessioni dell’Omino delle foglie sulla Via del Tao.

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come un ritorno alle fonti della tradizione spirituale tedesca, in polemica con il predominio della cultura francese in Germania. Il mito della natura, nel nuovo clima spirituale, si determina da una parte come sentimento della divinità della natura, come naturante, creatrice inesauribile, senza freno né regola; dall’altra come concetto dell’inevitabilità degli istinti e delle passioni quali necessarie manifestazioni della natura. Motivo dominante dello “Sturm und Drag” fu appunto il diritto dell’uomo a dare soddisfazione alle sue intime aspirazioni. Vagheggia così individualità potenti che rompono i vincoli delle leggi e delle convenzioni, le figure dell’uomo di natura, del titano, del superuomo. Fu Johann Wolfgang Goethe l'originario inventore del concetto di Weltliteratur (letteratura mondiale), derivato dalla sua approfondita conoscenza e ammirazione per molti capisaldi di diverse realtà culturali nazionali (inglese, francese, italiana, greca, persiana e araba). Ebbe grande influenza anche sul pensiero filosofico del tempo, in particolare sulla speculazione di Hegel, Schelling, e successivamente Nietzsche. La sua attività fu rivolta alla poetica, al dramma, alla letteratura, alla teologia, alla filosofia, all'Umanismo e alle scienze, ma fu prolifico anche nella pittura, nella musica e nelle altre arti. In Italia, a cavallo tra il Settecento illuminista, in parte, e il primo Ottocento romantico esercitò una grande influenza sui due più grandi esponenti della letteratura: Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Il primo per effetto del similare romanzo epistolare de Le ultime lettere di Jacopo Ortis, in cui l’influenza è talmente palese che si è parlato anche di imitazione. È innegabile la vicinanza fra le opere, l’Ortis foscoliano e il Werther di Goethe, per constatare poi anche diversità nei due personaggi. Anche se il caso di Leopardi è meno clamoroso, il problema si pone negli stessi termini; in Leopardi troviamo riferimenti nello Zibaldone per aver letto l’opera del Goethe e anche negli Appunti e ricordi dell’adolescenza, scritti nella primavera del 1819 e in cui si è voluto riconoscere un progetto per un’autobiografia sulle orme del Werther goethiano. L’influenza del romanzo epistolare di Goethe su Ugo Foscolo, come detto, è innegabile e palese, perché l’Ortis foscoliano, pur con le debite differenze, è sulla linea della figura wertheriana. In Leopardi la similarità passa nel personaggio di Consalvo e della lirica omonima. Probabilmente il motivo di queste adesione e similarità dei protagonisti è rintracciabile in alcuni fra i principali leitmotiv stürmeriani, nonché romantici, che dimorano nelle pagine del romanzo e s’infiammano nella vita interiore del protagonista: l’amore impraticabile, la morte salvatrice, il forte rapporto fra uomo e natura, la passionalità opposta alla razionalità, lo scontro fra realtà e immaginazione, l’artista schiavizzato dalla società austera. Proseguendo in modo puramente formale la voga letteraria settecentesca del romanzo epistolare, Goethe predilige questa forma narrativa per costruire la sua storia e questa scelta, e in particolare il tono straziante con cui essa viene applicata, infonde nel lettore un senso di compartecipazione emotiva alle vicende intime ed esteriori del grande personaggio di Werther. L’assenza delle risposte dell’amico, al quale Werther scrive, ispira al lettore l’idea del diario, conferendo così alla cronaca un tono spirituale. Pubblicato, in principio anonimo, in un clima d’ardori intellettuali e fervori storici, il Werther è amato dagli Stürmer e condannato dal clero, dai razionalisti e dai benpensanti in quanto stravolgimento della morale e celebrazione del delirio amoroso contro quella ragione regolatrice. Aderente analisi degli impeti del cuore, l’opera è un esemplare forse unico d’introspezione, una sorta d’esame di coscienza favorito dagli intimi monologhi che solo la collaudata e immediata struttura del romanzo epistolare possiede. O meglio ancora, un melodramma dei sentimenti unito alla frenesia di ribellione verso le istituzioni che soffocano e che reprimono gli animi degli artisti. Werther è un fragile eroe d’illusioni. Egli percepisce il dolore

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del suo cuore sensibile e sognatore in contrasto col mondo reale nel quale vive. Allo stesso tempo è un personaggio passivo: il suo carattere idealista non riesce a migliorare la sua condizione di apatia nonostante l’impulso sia, relativamente, saldo (“Non c’è nulla di più tremendo di un’ignoranza attiva”). L’unica reazione forte davanti alla realtà, intollerabile per la sua emotività, è anche la sua ultima azione: il suicidio. Werther è devoto alla natura e percepisce una pace stupefacente nell’essere a contatto con essa. Verrà sepolto nel verde dei prati dal quale, in vita, era particolarmente affascinato. Si rivolge alla natura con la veemenza tipicamente romantica, mentre medita sulla morte (“Rattristati dunque, o natura: il tuo figlio, il tuo amico, il tuo amante si avvia verso la sua fine”) scagliando su di essa la sua situazione psicologica. In Werther imperversa un atteggiamento soggettivistico che lo conduce ad affermare la sua concezione della realtà in termini assoluti. Talmente inetto da non riuscire a mettere in pratica i suoi pensieri d’amore platonico, egli si consuma a rilento in una condizione rischiosamente oscillante fra la felicità e la prostrazione. È terrificato da tutto ciò che è compiuto e la sua incapacità di sostenere la vita diventa vocazione autodistruttiva. Si uccide con la consapevolezza che Lotte non sarà mai del tutto sua, nonostante ella abbia ricambiato il suo bacio così come il suo amore. Werther sceglie la morte come unica via d’uscita nonché il gesto più grande e in questo diviene un eroe romantico. L’Ortis foscoliano non è da meno in quella perversa spirale di amore e odio alla vita e alla morte, verso la società e il mondo intero. La figura del Goethe era così diversa da quella del Foscolo che non poteva non riflettersi nei loro personaggi, l’Ortis distaccato dal modello tedesco. Ma le differenze rimangono alla superficie del problema come ha scritto il De Sanctis nei sui Saggi critici: «Jacopo e Werther sono due individualità nella loro somiglianza superficiale». A un’ulteriore indagine ci si accorge che la struttura dell’io dell’inconscio di Ortis è molto simile a quella dell’Io inconscio del Werther. E tutto ciò è facilmente spiegabile dal fatto che se il Foscolo è stato fortemente impressionato dal Werther non è solo per ragioni squisitamente letterarie, ma anche perché rimase, come molti altri a quell’epoca, impigliato dalle maglie della identificazione con il protagonista del giovanile romanzo goethiano. Fin dalle prime stesure dei due romanzi, Werther e Ortis fanno la stesse cose e le fanno nello stesso modo, esattamente come gli altri protagonisti, Carlotta e Teresa, Guglielmo e Lorenzo, assolvono rispettivamente le stesse funzioni. La medesima cosa si può dire, con le necessarie mediazioni in versi, per il Consalvo di Leopardi. Tutti i personaggi, il Werther, l’Ortis e il Consalvo, tre personaggi e tre opere, nascono dalla profondità di un medesimo bisogno psichico, sostanzialmente identico, sia pur con le dovute e necessarie e inevitabili differenziazioni sia in Goethe sia in Foscolo sia in Leopardi. Il destino del Werther facilità la possibilità di identificazione del lettore con il personaggio. Ma se questo spiega la forte presenza wertheriana nei Canti leopardiani (l’influenza sul Foscolo come detto è evidente e palese come sottolineato), non può essere sufficiente per lasciarsi andare a troppe facili paralleli sentimentali e psicologici tra Werther e Leopardi. Anche se, come sostiene il Zumbini (Studi leopardiani, Firenze, Barberà, 1902), vi siano tracce evidenti negli Idilli di influenze wertheriane per ciò che riguarda la tematica della natura. Ma l’influsso wertheriano sul Leopardi si estende dall’Infinito fino alla Ginestra. Il Consalvo quindi può comunque essere considerato un momento intermedio e diverso. Possiamo altresì dire che negli Idilli è presente il Werther della natura, nelle Ricordanze il Werther della memoria, in Consalvo il Werther del

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dramma d’amore, e nella Ginestra il Werther del pessimismo cosmico e materialistico. Il Consalvo però è l’unica traccia superstite artisticamente compiuta dei famosi abbozzi per un romanzo autobiografico, che sono ricordiamolo: «Ricordi d’infanzia e d’adolescenza», «Alla vita di Silvio Sarno», «Alla vita del Poggio» e «Storia di un’anima», tutti rientranti in progetto di «Abbozzi per un progetto autobiografico» che il Francesco Flora nella sua monumentale Tutte le opere ha posto sotto il titolo di Memorie e disegni letterari. Consalvo è la terza poesia del Leopardi, che il poeta scrisse nell’autunno del 1832. La poesia nata dalla pressione e dalla passione che la Fanny Targioni Tozzetti, conosciuta a Firenze, suscita in lui. Era il momento di maggiore fuoco per il Leopardi, che frequentava spesso la casa della signora nella speranza di chiederle un bacio, anche se non aveva mai il coraggio di dichiararle il suo amore. Il Leopardi, scrisse questa poesia, sublimando in questo modo la sua spinta libidica interiore. Consalvo è il Leopardi stesso che si auto-descrive, che esprime i suoi sentimenti, i suoi laceranti, ma legittimi, desideri affettivi e sensuali, che lo spingevano a soffrire in silenzio e a sublimare la sua straziante passione. Consalvo è la poesia di maggior pressione e di maggiore intensità amorosa di tutto il ciclo di Aspasia; ed egli era ben conscio che quella occasione era l'ultima nella quale egli poteva essere amato e amare una donna, come si deduce anche dalle due lettere che scrisse alla Fanny Targioni Tozzetti, anche sei poi fece di tutto per svicolarsi da questo “abbraccio amoroso” del Leopardi. Consalvo è l'apice di un rapporto vivo di vitalità amorosa e, come è stato detto dal Carducci, è una poesia melodrammatica e romantica, ma è anche, la poesia più gaia, più viva e vivace di tutto il ciclo di Aspasia. Consalvo è la poesia dove il Leopardi esprime il suo abissale bisogno d'essere amato, tanto che per un bacio sarebbe andato perfino all'inferno; una poesia nella quale il Leopardi mostra tutta la sua meravigliosa forza interiore, perché esprime soprattutto amore ed energie e fa emergere la forza di vivere del poeta, al contrario di tante altre poesie che sono disperatamente dolorose, piene di sconforto esistenziale e soffocate dal suo dolore perenne. Il Leopardi, benché si trovasse in una situazione perdente tra lui, Antonio Ranieri e la Targioni Tozzetti, tentò con tutte le sue forze di inserirsi in un gioco amoroso più forte di lui e quando capii che ogni speranza d'amore era finita allora si rassegnò ad una vita piatta e vuota priva di amore. Fu allora che scrisse la quarta e la più disperata poesia del ciclo di Aspasia "A se Stesso", dove esprime tutto il suo dolore, tutta la sua delusione verso lo spiraglio amoroso che lui aveva creduto si fosse aperto e dove esterna tutto il suo disprezzo verso il mondo. Leopardi, come detto legge il Werther nel 1819, l’anno della crisi, nel ’20 esprime pensieri panteistici, nel luglio di quell’anno stende infatti la sua «teoria del piacere» che è alla base del suo pensiero filosofico ma anche della poetica se al fine il filosofo non può non esser anche poeta e viceversa, come egli stesso ci ricorda, e il 1821 è l’anno dell’approdo al mondo materialista. Il Werther di Goethe sui due poeti italiani, Foscolo e Leopardi, non ha avuto una medesima influenza e impatto emozionale perché nel primo è stato

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immediato e diretto mentre nel secondo, il Leopardi, non è avvenuto sulla scia di una influenza solo letteraria ma nello stile stesso del personaggio. Per il Zumbini il Consalvo leopardiano non sarebbe se non il Leopardi stesso, il quale attraverso questi si rappresenta o vuol rappresentarsi in modo diverso e più congeniale al suo stato d’animo reale: «i Canti sono spesso il canzoniere di Werther». Su questo conviene anche il Marpillero «Ora si può aggiungere che il Leopardi nell’ordine delle sue poesia si presenta come Werther e Ortis». Il Werther ha immesso nella poesia e teoretica del Foscolo e del Leopardi due temi fondamentali del pensiero del primo Romanticismo, senza usare il termine un po’ ambiguo di pre-Romanticismo: il sentimento dell’amore e la morte, il suicidio. Due temi legati indissolubili in quella dimensione, legati assieme al punto che il secondo è inevitabile al presentarsi del primo. E dice bene la Lotte wertheriana quando accusa il Werther di amarla solamente perché non può averla, ossia provare il sentimento proprio nella impossibilità di percorrerlo. Così l’Ortis foscoliano ma non dissimile è a questo punto il Leopardi stesso che nelle sue liriche la figura femminile è sempre in procinto o della morte, o del distacco d’amore, vedi Silvia, Nerina, Aspasia, Elvira, sempre irraggiungibili o nella ricordanza o nella morte stessa che le togli alla vita e da poter amare direttamente. Infatti è materia romantica che mai perderà d’interesse, la relazione fra amore e morte; è l’emblema di Werther, come lo è per l’Ortis e al fine per Leopardi stesso. All’inizio del romanzo l’amore è indipendente dalla morte e le due entità non si scontrano, piuttosto esse si mischiano ai già variegati elementi che forniscono al lettore l'iniziale comprensione dell’anima e della vita di Werther. Tuttavia, un vago senso funereo appartiene a Werther specie per ciò che concerne la sua passionalità che esprime attraverso il lessico smanioso. Ciò che colpisce nell’amore di Werther è l’assoluta liricità delle sue affermazioni. È un poeta che sospira e, da innamorato, osserva e trasfigura la realtà intorno a sé e, tipico di Werther, argomenta continuamente sulla natura. L’opera di Goethe lascia tutto questo nei nostri due massimi esponenti della letteratura italiana, i quali però pur raccogliendo il messaggio goethiano ne sviluppano i contesti anche su altri lidi e problematiche, Foscolo nell’impegno politico e Leopardi nella stretta connessione filosofica. Muore per amore, il massimo amore, l’amore esemplare e sublime tanto caro ai romantici fino ai decadenti di fine Ottocento, in quella sorta di continuazione fra Romanticismo e Decadentismo. I due temi, passione e critica sociale, simboleggiano la stessa tendenza a sostenere i “diritti del cuore”, quell’interiorità necessaria alla conservazione psicofisica dell’individuo: trasgredire quest’integrità equivale a determinare la “malattia mortale” che porta al suicidio. Tale movimento d’animo, rompendo ogni rapporto con le tradizioni letterarie, della prima metà del Settecento, affermando la necessità di un ritorno alla natura nelle relazioni umane, e, sostenendo la più assoluta libertà nel campo dell’arte, si orientò verso un’esaltazione della vita vissuta nella sua immediatezza e in tutta la sua spontaneità, fatta, appunto, di impeto e assalto. La natura umana, secondo i nostri personaggi non è astratta e fredda razionalità: ma, al contrario, è istinto, sentimento, passione. L’uomo realizza pienamente se stesso dando liberamente sfogo alla passionalità, che violenta si agita dentro di lui; è esaltazione della torbida passionalità, che violenta erompe dall’animo umano, trascina l’uomo all’azione impetuosa e lo conduce a negare l’esistenza di fronte a sé di qualsiasi limite di carattere etico, giuridico e religioso. Le norme del vivere civile acquistano così il carattere di norme convenzionali alle quali si adatta l’uomo comune nella sua meschina mediocrità e, affidandosi alla sua travolgente passionalità, si pone al di sopra di queste e le annulla. Nel suo irrazionalismo lo “Sturm und Drang”, poi Primo Romanticismo, in cui ricadono i personaggi delle tre opere analizzate, rappresenta storicamente un atteggiamento di istintiva reazione all’intellettualismo della filosofia illuminista. All’esaltazione illimitata e violenta della passionalità, nel primo sviluppo, si venne, così, a sostituire, progressivamente, una più moderata rivalutazione del sentimento, inteso come manifestazione spontanea, ma più pacata, della nostra interiorità. E dallo “Sturm und Drang” si passò così al Romanticismo. In definitiva, rappresenta una prima spontanea ed esasperata reazione alla cultura illuminista, che si placa e si organizza acquistando nel Romanticismo il carattere di opposizione consapevole e “ragionata”. Tutto questo passaggio e trasmutazione avvenne dal Werther di Goethe, passando nell’Ortis di Foscolo fino ad approdare al Leopardi che divenne lui stesso protagonista del “proprio romanzo esistenziale”.

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Contributo dell’opera di Fernando Pessoa alla cultura italiana LUCIANA SALVUCCI 36 Il nostro presupposto è che lo sviluppo culturale, per essere autentico ed efficace, non può mai essere circoscritto entro i confini di una nazione, ma deve aprirsi a contributi di altre culture, deve divenire un «sistema che nel suo delinearsi storico e nelle sue tappe costitutive trasgredisce i confini geografici e linguistici per confrontarsi con contesti letterari stranieri.»37 Il mio incontro con il pensiero pessoano è recente. Avevo acquistato il volume Poesie di Ferdinando Pessoa38, curato da Antonio Tabucchi e Maria José De Lancastre, nel 2014, ma i molteplici impegni di lavoro mi hanno impedito fino ad ora di prenderne visione e di approfondire l’autore nei settori riguardanti la prosa, la saggistica, la filosofia. Sono rimasta colpita sia dalla dimensione e dal valore titanico dell’opera, sia dalla qualità estetica, sempre di alto livello. Raramente mi è capitato di leggere un autore e di apprezzare, pagina dopo pagina, i diversi testi in pari modo. In particolare in poesia, è difficile mantenere alto il livello in tutte le produzioni. Ogni testo di Pessoa mi ha positivamente colpito per l’efficacia stilistica, per la profondità e complessità del pensiero. In ogni poesia e in ogni verso l’autore sa congiungere emozioni e logica con l’efficacia e la semplicità di un bambino. Cito, come esempio, questi versi tratti da Doppio di campane:

Ho messo il mio cuore nel cavo della mia mano. Lo guardavo come chi guarda dei grani di sabbia o una foglia. Lo guardavo pavido e assorto come chi sa di essere morto; La logica e l’intelligenza delle cose interagiscono con emozioni e sentimenti, dando un profondo significato all’umano sentire, ai temi della solitudine, della presenza, dell’assenza, in lui e nei suoi eteronimi quali Alberto Caeiro, Alvaro de Campos, Ricardo Reis. Alcuni influssi di Pessoa nella letteratura italiana Alla fine degli anni ’30 del secolo scorso, diverse sono le antologie ove sono presenti testi pessoani, anche se la diffusione ha seguito costantemente l’evolversi dei rapporti istituzionali tra Italia e Portogallo e la politica culturale di conoscenza della propria cultura e del proprio paese. La crescita dei legami ha portato nel 1956 al formarsi della prima cattedra di letteratura portoghese in Italia, a Napoli, ad opera di Giuseppe Carlo Rossi. La prima antologia in cui si riscontra la presenza di Pessoa – che corrisponde alla prima traduzione di un testo pessoano in italiano – è il volume del 1939, Poeti del mondo, a cura di Massimo Spiritini39. Un’antologia che presenta, in ordine

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Luciana Salvucci (Colmurano, 1952) è attualmente Dirigente scolastico. Docente, per alcuni anni, di Didattica interdisciplinare, multidisciplinare, Didattica della Psicologia e Didattica delle scienze della formazione all’Università degli Studi di Macerata, ha scritto di saggistica, poesia e narrativa. Ha affrontato, partendo da diverse prospettive di studio, sia i caratteri ed i problemi della comunicazione di massa e del virtuale, sia il difficile rapporto tra letteratura e scienza nella società contemporanea. Tra i suoi testi di saggistica si ricordano: Comunicazione multimediale e influenza sociale nell’età evolutiva (1997), Letteratura e scienza (1999), I limiti delle discipline (2001), Verso un nuovo modello formativo in Guidare la nuova scuola (2002), Le due anime della Riforma della scuola (2003), Legislazione e pedagogia nella scuola della Riforma (2005). Di narrativa e poesia ha scritto fra l’altro: Poesie virtuali (1997), Nessuna geometria (2003), Poesie virtuali/Virtual Poems (2007), ll compasso degli angeli (2010). Numerosi i premi letterari vinti. 37 Giovanna Cordibella, Hölderlin in Italia: la ricezione letteraria , Bologna, Il Mulino, 2009. B-Cordibella 2009: 9. 38 Antonio Tabucchi e Maria José De Lancastre, a cura di, Poesie di Ferdinando Pessoa, Adelphi, Milano, 2013. 39 Spiritini Massimo, Poeti del mondo, Milano, Garzanti, 1939.

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cronologico e suddivisi per area di appartenenza, numerosi poeti stranieri che proprio qui, per la prima volta, vengono presentati al pubblico italiano. Uno dei principali studiosi del pensiero pessoano e punto di riferimento per lo studio dei rapporti con la letteratura italiana è Antonio Tabucchi. Egli ha contribuito in modo determinante all’avvio della conoscenza del poeta portoghese in Italia, in particolare con il saggio Un baule pieno di gente, scritto nel 1979, in occasione della pubblicazione del primo volume Una sola moltitudine (il secondo è del 1984). Tabucchi per descrivere Pessoa usa il termine ‘genio’, adoperato per primo da Eduardo Lourenço nel 1983. “Oggi che Pessoa sia un genio appare evidente a tutti i suoi maggiori esegeti, probabilmente il grande, supremo genio della letteratura novecentesca, al quale forse può stare alla pari solo Kafka (per profondità di pensiero, per l’intuizione che ebbe della natura dell’epoca in cui visse, per dimensione dell’opera). Dante, Shakespeare, Cervantes, Milton, Goethe, Balzac: Pessoa sta tra questi nomi.”40 L’opera di Pessoa è stata ricordata nella mostra Il Portogallo a Milano, inaugurata il 7 marzo 1985 a Palazzo Reale. Il catalogo riporta in copertina un’immagine del poeta, opera di António Costa Pinheiro. Nello stesso anno, in occasione dei cinquanta anni della morte, escono diversi articoli; uno dei più importanti ad opera di Tabucchi, L’inventore di Lisbona, uscito sull’Espresso. Nel maggio del 1986, a Roma, si svolge il convegno Longitudine Pessoa, organizzato insieme a Teatroinaria, che rappresenta in teatro la pièce teatrale L’altra insonnia. Alcuni testi vengono pubblicati in seguito all’anniversario della sua nascita, nel 1988, anno che ne decreta il poeta dell’Occidente “che meglio di altri incarna lo spirito di questo fine secolo.”41 Tra queste ricordiamo: Marinaio, Faust, Il poeta è un fingitore, il volume di Maria José De Lancastre, Fernando Pessoa: immagini della sua vita. Gli scrittori italiani si riferiscono a Pessoa in modi diversi: alcuni lo rendono protagonista di un romanzo, altri citano sue poesie o aforismi, altri gli dedicano testi. Tra i poeti, ha dedicato a Pessoa la poesia qui riportata Giuseppe Tusiani, italiano di nascita, americano d’adozione, vincitore nel 1955 del premio Greenwood Price per le poesie scritte in lingua inglese:

Lettera a Don Fernando Pessoa Col dovuto rispetto, Don Fernando, in questo solitario andirivieni che ha nome vita, m’agghiaccia il pensiero di restar solo, orridamente solo in mezzo a creature sole, alberi soli, in una solitudine stellare su questa terra, stella umana e sola. Diventa gioco anche la solitudine, dal nascere al morire, dalla prima ombra che, nulla in sé, s’insinua sola sopra ogni cosa e si fa poi valere con il nome ed il monito di notte. [...] (Ai-Tusiani 1992, da Il ritorno) 40 41

Antonio Tabucchi e Maria José De Lancastre, a cura di, Poesie di Ferdinando Pessoa, op. cit., pag. 28. Pietro Citati, “Ritratto di Antonio Tabucchi, le metamorfosi di uno scrittore”, Corriere della sera, 19-03-1988.

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Riferimenti al poeta portoghese vi sono nel romanzo o meta-romanzo di Enrico Buonanno

L’Accademia Pessoa del 2007.

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Rilevanza di Pessoa in teatro, musica, cinema Molti sono gli spettacoli teatrali dedicati in vario modo a Pessoa e spesso i testi in scena sono tabucchiani, sia riguardo le traduzioni, sia riguardo riscritture ove il poeta è protagonista. Sono state rappresentate sue opere, per lo più il Faust, il Marinaio, il Banchiere Anarchico, Il Libro dell’inquietudine, sono stati recitati suoi testi e, in particolare attraverso le opere di Tabucchi, il poeta è stato reso protagonista di scene teatrali. Tra le molteplici rappresentazioni ricordiamo: L’altra insonnia (Longitudine Pessoa)42; Lettere alla fidanzata, del regista Renato Gabrielli, che mette in scena l’amore tra il poeta e Ophélia; Presenze; lo spettacolo-istallazione Una sola moltitudine (1990); il monologo Prova per Ferdinando Pessoa (1997), tratto da Una sola Moltitudine. Tra le rappresentazioni de il Marinaio, molto originale risulta l’interpretazione musicale del 2003, in cui la voce del marinaio corrisponde al suono del sax, con la trascrizione di tre fado portoghesi. Il Faust dà luogo nel 1995 ad uno spettacolo multimediale che “si propone come una ricerca di arte totale: teatro, musica, danza, canto, video, come elementi di un unico corpo artistico, (che) interagiscono per raccontare una storia.”43 Molto presente è l’influsso dell’opera di Pessoa nella musica italiana, sia in quella da camera o teatrale, sia in quella popolare, rivolta al grande pubblico. I componimenti pessoani in Italia vengono trasferiti in musica nel 1980, dal compositore Franco Donatoni. Nel 1981 Donatoni esegue a Parigi il concerto L’ultima sera: per voce femminile e cinque strumenti in cui, dopo la lettura del primo volume di Una sola moltitudine, intende mettere in musica anche gli “sdoppiamenti multipli di Pessoa che si incarna in tanti personaggi.”44 Nel 1992 i testi di Pessoa vengono messi in musica da Mauro Bartolotti, successivamente da Mario Totaro (2009), Alessandro Annunziata (2011) e Riccardo Ricciardi (2012). L’interprete principale dell’opera di Ferdinando Pessoa resta tuttavia Mariano Deidda, incaricato di rappresentare l’Italia all’Expo di Lisbona, che dedica tre raccolte al poeta portoghese, rispettivamente45 nel 2003: Nel mio spazio interiore, Deidda interpreta Pessoa; nel 2004: Deidda interpreta Pessoa, versi di Fernando Pessoa; nel 2005: Mariano Deidda interpreta Pessoa: l’incapacità di pensare. Deidda, che si considera “eteronimo inconsapevole di Pessoa”46 nel 2013, mette in musica Mensagem, produzione che si può definire romantica. Troviamo influssi dell’opera pessoana in Italia anche nel gruppo dei Bluvertigo, in Franco Battiato, Lucio Dalla, Roberto Vecchioni. I Bluvertigo nella canzone Vivosunamela, del primo album delle trilogia chimica dal titolo Acidi e Basi, del 1995, mutano le parole del Libro dell’inquietudine: “Ho sempre rifiutato di essere compreso. Essere compreso significa prostituirsi. Preferisco essere preso seriamente per quello che non sono, ignorato umanamente, con decenza e naturalezza (…)”47, in: «Ho sempre rifiutato, io, di essere compreso/perché essere compreso vuol dir prostituirsi/preferisco essere preso, io, molto seriamente/per quello che non sono, io, ignorato umanamente (…).” Franco Battiato, nella famosa Segunda-feira48 cita i versi di Álvaro de Campos “Trago dentro do meu coração,/[…]/Todos os lugares onde estive”, tratti da Passagem das Horas.

Isabella Donfrancesco, Il poeta che inventò se stesso, Solathia, vol. n. 6, anno XVI, giugno 1986, pag. 15. Ag-Costantini 1998: 43. 44 Enzo Restagno, (a cura di), Donatoni, Torino, EDT, 1990, pag. 57. 45 2003: Nel mio spazio interiore, Deidda interpreta Pessoa, Italia, Delta dischi; 2004: Deidda interpreta Pessoa, versi di Fernando Pessoa, musiche di Mariano Deidda, Nino La Piana, arrangiamenti di Nino La Piana e Deidda Quartet, Italia, Sette Ottavi; 2005: Mariano Deidda interpreta Pessoa: l’incapacità di pensare, prodotto da Vince Tempera, special guest Miroslav Vitous, [S.l.], Setteottavi. 46 Riccardo Jannello, 2014, Deidda, il musicista che canta Pessoa, Il Resto del Carlino, 07/01/2014. 47 Antonio Tabucchi, Il filo dell’orizzonte, Milano, Feltrinelli, 1986, pag. 127. 48 Franco Battiato, Album L’imboscata, 1996. 42 43

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Conclusioni Abbiamo trattato solo alcuni aspetti del grande influsso che l’opera del genio portoghese ha avuto, non solo sulla cultura italiana, ma anche su quella di molti altri paesi europei ed extraeuropei. La sua immensa produzione ha esercitato un grande fascino nell’immaginario di molti artisti italiani, scrittori, musicisti, fotografi, ecc... Il Libro dell’inquietudine quando uscì per la prima volta in Italia, nel 1986, ebbe un grande successo e rimase a lungo al secondo posto nella classifica dei libri più venduti, secondo solo al Nome della rosa. Possiamo dire che il processo di scoperta degli scritti di Ferdinando Pessoa è ancora in atto perché molti sono gli aspetti da approfondire da parte della critica. Tuttavia, l’influsso sulle diverse arti e l’enorme diffusione delle sue opere, sono la dimostrazione del valore del suo pensiero. Anche il suo corpo è divenuto icona della modernità, una sorta di simbolo post mortem, legato all’ambizione all’universalità.

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Roberto Vecchioni con la canzone Le lettere d’amore49 del 1998 si chiede perché una “poesia senza amore” e descrive la morte del poeta come “l’attesa fine di un eterno nascondersi”. Quando Pessoa nell’attimo prima della morte è solo, privo degli eteronimi, ripensa a Ophélia e comprende che ciò che aveva deriso era l’essenziale per la vita di un uomo ed ha il rimpianto di non aver scritto lettere d’amore. “Capì tardi che dentro/ quel negozio di tabaccheria/ c’era più vita di quanta ce ne fosse/ in tutta la sua poesia» e che «basterebbe toccare il corpo di una donna,/ rispondere a uno sguardo/ e scrivere d’amore...». Nella canzone Malinconia d’Ottobre50 Lucio Dalla descrive un Pessoa amico nel centro della capitale portoghese: «[…]/nel centro di Lisbona,/seduta al tavolo di un bar,/ c’è la statua di Pessoa/che sembra lì proprio per me/“l’amore è mentitore,/ quando è finito non lo sai/ ma com’è bello il suo dolore,/ lo capisci se ce l’hai”». Il cinema ricorda Pessoa nel film di Leonardo Pieraccioni Il Ciclone, del 1996. Il protagonista del film cerca di conquistare una ballerina di flamenco ironizzando sulla figura di Pessoa e vantandosi di conoscere tutte le opere del poeta.

Roberto Vecchioni, Album Il cielo capovolto, 1998. “Fernando Pessoa chiese gli occhiali/e si addormentò/e quelli che scrivevano per lui/lo lasciarono solo/finalmente solo.../così la pioggia obliqua di Lisbona/lo abbandonò/e finalmente la finì/di fingere fogli/di fare male ai fogli.../e la finì di mascherarsi/dietro tanti nomi,/dimenticando Ophelia/per cercare un senso che non c’è;/e alla fine chiederle “scusa/se ho lasciato le tue mani,/ma io dovevo solo scrivere, scrivere/e scrivere di me...”/e le lettere d’amore,/le lettere d’amore/fanno solo ridere:/le lettere d’amore/non sarebbero d’amore/se non facessero ridere;/anch’io scrivevo un tempo/lettere d’amore,/anch’io facevo ridere:/le lettere d’amore,/quando c’è l’amore,/per forza fanno ridere/(…) 50 Lucio Dalla, Album Il contrario di me, 2007. 49

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Sulle tracce di Orfeo nella poesia di Arthur Rimbaud e Dino Campana MONIA FRATONI51 Parlare di Dino Campana, oggi, è ricercare indubbiamente il segno che ha lasciato la sua esperienza poetica e la sua vita nel cuore della letteratura italiana del Novecento. Il poeta nasce nel piccolo centro di Marradi e terminerà la sua vita internato nel manicomio di Castel Pulci presso Scandicci nel 1932 per una grave forma di follia ebefrenica. Una coincidenza di poesia e vita – la sua - dove il sorgere della poesia si è manifestato in maniera così preminente da scuotere le profondità più recondite dell’essere, fino a far parlare di lui come dell’unico poeta maledetto italiano sulla scia del poeta francese Arthur Rimbaud. Ci rimane come testimonianza del suo essere poeta, il capolavoro dei Canti Orfici del 1914, un’opera di prosa e versi. A una prima lettura superficiale può sembrare che Campana, con la sua incisiva e allucinata prosa lirica dei Canti Orfici, non rientri nelle influenze esercitate dalle visionarie immagini delle Illuminations del grande poeta francese Arthur Rimbaud, ma se si osserva attentamente la carica immaginativa, la novità della sua poesia illogica, asintattica e soprattutto lo sfondo orfico riscontrabile nelle pieghe più intime del testo campaniano, si può facilmente ravvisare come i forti rimandi testuali alla poetica rimbaudiana, siano punti fondamentali per comprendere il carattere sacrale e innovativo della parola lirica campaniana. Non si vuole sottolineare tanto l’immagine “maledetta” di Campana, in buona parte ricalcata dal modello rimbaudiano, ma si vuol evidenziare il lato forse più nascosto, seppur presente e vivo, che accomuna il poeta di Marradi al poeta francese. Certo è da sottolineare che, anche se non si può parlare “in toto” di Campana nei termini di poeta “maledetto”, tanto rimane isolato come “caso letterario” e a sé stante da non potersi inquadrare in nessuna corrente ideologica e di pensiero, tuttavia egli ripropone nel panorama italiano il respiro europeo dei grandi cambiamenti nella lirica che stavano avvenendo nel cuore della vecchia Europa, in Francia appunto. Il messaggio poetico di Campana e Rimbaud ha, infatti, come fondamentale fonte di ispirazione e sorgente di conoscenza la reinterpretazione personale del carattere orfico dell’universo, mezzo attraverso il quale essi guardano e conoscono la realtà. Il personaggio di Orfeo, da cui deriva il termine orfismo, è la figura del mito per eccellenza, colui che con la musica tende a svelare l’anima segreta della poesia, il potere ancestrale del canto e della parola, culla della civiltà primordiale. Il cantore tracio tocca con la sua esistenza i poli costanti di tutta l’umanità, l’amore e il dolore, il terrestre e il sovraumano. Rimbaud e Campana rileggono e rivisitano, perciò, in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice, simboli sacrificali, vittime del viaggio verso i confini ultraterreni della morte, eroi tragici che hanno osato varcare le soglie dell’essere e del non-essere. Al nome di Orfeo e ai simboli che ne costellano l’universo, nella poesia di Campana si legano elementi come la Notte, Euridice, il canto inteso nella sua forza espressiva, profetica, il topos letterario della catabasi, cioè della discesa nell’Ade. Riferendosi a Campana, lo studioso Bonifazi sottolinea che

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Monia Fratoni (Ancona, 1973) è insegnante di sostegno nella scuola Primaria “De Amicis” dell’Istituto Comprensivo Marina di Montemarciano (AN). Laureata in Lettere Moderne e Scienze della Formazione, ha seguito master postuniversitari. Nel 2001 è risultata vincitrice del Premio Letterario “Dino Campana” con la sua tesi di laurea dal titolo “L’influsso di Rimbaud in Campana e Soffici”. Ha partecipato a vari seminari di formazione e a convegni relativi all’insegnamento nel mondo dell’infanzia.

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“L’orfismo è per lui l’eterna vita, l’immagine eterna dell’uomo che muore immediatamente, ma inconsciamente ed eternamente rinasce” 52. Con i Canti Orfici, il poeta propone già nel titolo un chiaro parallelismo tra la sua opera e quella del mitico cantore, assimilandone la rivolta contro le grandi giustificazioni razionali e la profonda esperienza di lacerazione e di esilio dalla realtà. Orfeo è stato il depositario di un linguaggio segreto, di una voce antica che ha esercitato una rilevante seduzione notturna in Campana. I Canti Orfici si aprono con la prosa La Notte, seguita da sette poesie denominate Notturni. Il poema viene giocato interamente sotto la costellazione della notte. La poesia de La Notte è fondata sul ricordo, sulla memoria, sul sogno, sui momenti di raccoglimento e di silenzio, in cui appaiono gli archetipi dell’immaginario campaniano. La notte è vista come la culla dell’inconscio nel quale l’io campaniano sprofonda ed è questo a dettare il poema. “La notte per il poeta potrebbe configurarsi come il grande archetipo della poesia, come la grande Notte. La Notte delle origini, attraverso il progressivo diradarsi delle tenebre, genera la stirpe degli immortali prima e dei mortali poi; allo stesso modo, per Campana, la poesia potrebbe avere origine dalla piccola notte, quella dei mortali (a cui si attingerebbe attraverso il sogno, la memoria, il ricordo).”53 Sfilano in questa notte della memoria varie immagini e visioni, soprattutto femminili, che spaziano dalle matrone alle sfingi, dalle prostitute alle ombre. Sono tutte estensioni semantiche della donna-poesia. L’Euridice perduta si sfaccetta in tante parti, assume contorni indefiniti, sospesa tra sogno e realtà, tra corpo e spirito, tra coscienza e inconscio per presentarsi come puro mistero, simbolo dell’Essere. Campana ama assumere specialmente ne La Notte la parte di Orfeo e così l’Euridice campaniana è la ‘fanciulla del sogno’ e le matrone sono le Baccanti, simbolo dell’amore barbaro e selvaggio. La sua poesia, infatti, nasce dal ricordo mitico di un’antica civiltà di armonica bellezza, di un pre-mondo classico ormai scomparso. Campana discende nella notte e quindi simbolicamente nell’Ade, come aveva fatto Orfeo, per riportare alla luce la vera Poesia. La Notte si configura come radicale prova spirituale, avventura dolorosa necessaria per ritrovare l’unità tra l’uomo e il cosmo, momento di ricongiunzione con il Tutto originario, con l’antico Eden del Paradiso terrestre, con l’innocenza primordiale con una parola ancora pura, intatta, che sale superando le barriere del silenzio e gli spazi dell’assenza. Questo percorso conoscitivo, tuttavia, era stato già anticipato da Rimbaud in Une Saison en enfer dove il vagare onirico dell’io, questa descensio ad inferos, ha come meta il raggiungimento di uno stato anteriore al peccato originale e anche nelle Illuminations. I simboli orfici rimbaudiani trovano molte coincidenze nella prosa dei Canti Orfici soprattutto anche per la visione della figura femminile che nel regno notturno si manifesta in diversi ruoli e avvolta in varie sfumature. La donna, corpo etereo e allo stesso tempo lussurioso, domina l’universo campaniano e, anche se in misura minore quello rimbaudiano, perché diventa essa stessa ricerca dell’origine e del fare poesia. Nella notte campaniana sfilano diverse immagini dell’eterno femminino: le sfingi di immobile bellezza, le matrone, le prostitute, 52 53

Neuro Bonifazi, Dino Campana, Ed. dell’Ateneo e Bizzarri, Roma 1978, p. 86. Ernesto Citro, Sbarbaro e Campana. Lo sguardo e la visione, Il Melangolo, Genova 1994, pp. 56-57.

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depositarie dei misteri della vita, la Chimera, simbolo della Poesia e l’immagine di Ofelia, vittima di un doloroso destino. Anche Rimbaud aveva delineato la sua donna nella tragica figura di Ofelia, simbolo della finitudine umana (perché soggiace alla morte) ma anche emblema della follia umana che trova nella morte la sua possibilità di riscatto e la metamorfosi della carne in spirito. Per i due poeti la donna è terra, vita perché ha racchiuso in sé il seme della maternità che, a livello subliminale, può rimandare alla maternità simbolica esercitata dalla scrittura. Una scrittura che nasce per entrambi da un forte senso della perdita e della mancanza e dalla consapevolezza dello smarrimento interiore. La poesia rappresenta, quindi, l’unica àncora di salvezza nell’assurdo esistenziale, ricercata in diverse tappe e attraverso un viaggio spesso doloroso ma necessario. Il tema del viaggio (altro elemento in comune tra i due poeti), inteso come momento fisico di partenza e ritorno, ma anche come percorso spirituale di conoscenza, è stato sviluppato dai due autori attraverso modalità espressive e contenutistiche che risalgono ad una chiara matrice orfica. Rimbaud e Campana si configurano, proprio per il loro bisogno spirituale di spostarsi, come i primi nomadi della letteratura mondiale; il loro viaggio è il tipico viaggio orfico inteso come tappa di iniziazione ai misteri della vita e perciò viaggio nel passato, nella memoria, verso una natura incontaminata, verso un mondo senza storia dove si trova la sorgente del canto e la radice della Poesia. Il discorso orfico, che fa da sfondo costante a questo parallelismo, si evidenzia con l’importanza dei colori nella tavolozza poetica di entrambi i poeti. Campana, infatti, parte proprio dalla grande e innovativa lezione lasciata da Voyelles e dalle fonti iconico-figurative delle Illuminations per impostare il proprio personale linguaggio pittorico musicale. I Canti Orfici mostrano, infatti, un mosaico cromatico intenso esaltato dagli splendidi colori bizantini: rosso, verde e oro che illuminano le celebri piazze campaniane, i vicoli delle città, gli scorci di alcune vie e, accanto a questi colori, primeggia poi il bianco, colore orfico, albedo alchemico, simbolo di trascendenza e immaterialità, della purezza primigenia e il viola, colore saturnino, malinconico e penitenziale che avvolge l’atmosfera notturna. Anche nelle Illuminations di Rimbaud sbocciano le tonalità calde del verde e del giallo, quasi a creare, con rapidi tocchi di luce, splendidi quadri fiamminghi. L’arcobaleno con i suoi colori è motivo costante della visione rimbaudiana che si completa anche di una riuscita simbiosi tra suono e colore. Naturalmente la sensibilità artistica e l’indagine cromatico-musicale del poeta francese era stata conosciuta da Campana attraverso la fondamentale mediazione di un altro poeta e intellettuale italiano: Ardengo Soffici. Soffici è stato il primo diffusore dell’opera di Rimbaud in Italia con la prima monografia italiana del 1911 sul poeta francese. Non è improbabile, quindi, che l’innovazione rivoluzionaria rimbaudiana abbia agito in Campana attraverso l’interpretazione sofficiana, anche perché Campana aveva contattato Soffici per avere un parere sul suo primo manoscritto Il più lungo giorno (smarrito e poi ritrovato nel 1971 a casa della vedova di Soffici) riscritto a memoria da Campana e confluito nei Canti Orfici. Rimbaud, nato dalla penna di Soffici, è servito a Campana per condizionare la vita stessa nel senso della visione, approfondire la ricerca linguistica su nuovi campi d’indagine e per riappropriarsi orficamente di un mondo ancora vergine, fatto di colori, echi e suoni che lo ricostruiscono nell’attimo prima del suo svanire. Un’affascinante immagine della poesia campaniana ci appare nel 1942 quando Eugenio Montale parlò di “poesia in fuga […] che si disfà sempre sul punto di concludere.”54 Ed è in quest’attimo prima dell’affievolirsi di tutte le cose, in questa parola in viaggio che possiamo ancora oggi respirare le tracce della poesia notturna di Rimbaud e Campana che risuona di immagini mitiche per trasportare il lettore in uno spazio senza tempo dove se “Fuori è la notte muta di chiomati canti, pallido amor degli erranti”55, dentro si respira il balenìo metafisico e orfico del potere musicale, coloristico ed evocatorio di una parola lirica nuova.

Eugenio Montale, Sulla poesia di Campana, in “L’Italia che scrive”, a. XXV, settembre-ottobre 1942, n. 9-10, pp. 52-53; ora in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, t. I, Mondadori, Milano 1996, pp. 569-581. 55Dino Campana, Canti Orfici, con il commento di Fiorenza Ceragioli, Vallecchi, Firenze 1985, p. 67. 54

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Sylvia Plath, la fragilità di una donna e l'istinto della morte56 EUFEMIA GRIFFO Sylvia Plath, scrittrice e poetessa statunitense, nacque a Boston nel 1932 da due emigranti tedeschi e morì suicida a Londra nel 1963 a soli trenta anni. La Plath fu autrice di liriche, romanzi e di libri per bambini. Deve alla madre la scoperta e la passione per la poesia e sin da bambina iniziò a comporre liriche, facendo emergere un talento straordinario. I temi che affronterà nella sua produzione artistica, saranno il difficile rapporto con la madre e il trauma per la morte del padre, avvenuta a causa di una cancrena a un piede, quando Sylvia aveva solo nove anni. Fin da giovanissima iniziò a soffrire di crisi depressive e già nel 1953 cercò di togliersi la vita una prima volta. Nelle lettere che scriverà a sua madre durante l’intero arco della sua esistenza, invece si descriverà come una studentessa modello, dotata di un precoce talento letterario, nonché una donna solare e perfetta. Tuttavia un’ombra iniziava ad avvolgere tutti i suoi giorni e la poesia diventerà man mano, la celebrazione del suo mal di vivere. Sylvia Plath e la poesia La poetessa americana Sylvia Plath è stata autrice di testi poetici e di prosa. Una vita fatta di poesia, un'esistenza raccontata attraverso la lirica, una sorta di parabola dell’essere che ci porterà a scoprire Sylvia e i suoi pensieri, la sofferenza che la accompagnò per molti anni, il dolore degli ultimi istanti. Una totale abnegazione per la scrittura che ci racconteranno di una donna e del suo amore e del suo rapporto col padre, presente nella totalità delle sue poesie. Nella poesia e attraverso di essa, il Poeta utilizza un mezzo unico e privilegiato con cui raccontare lo scorrere dei giorni, d ove vede se stesso come un personaggio che come un attore di teatro, sale e scende da un palco immaginario, per trovare una forma e una fisionomia. Le parole poetiche tessono magie, ma per Sylvia esse non furono un’àncora di salvezza, bensì un mezzo per traghettarla verso la fine. Un talento unico condensatosi in una manciata di anni che ci hanno regalato una voce incisiva, destinata a rimanere immortale nel panorama poetico dei nostri tempi. Immortale poiché così è l'Arte, la buona arte, quella che sopravvive al tempo e alle persone e che ci narra dei tempi passati e delle donne e degli uomini che vissero prima di noi. La Plath attraverso le parole che cesellerà, amministrerà e farà vivere, ci descriverà la sua anima, il suo dolore, la paura e la sofferenza, che si rivestiranno di bellezza, oscura, profonda e sacra. Sylvia e l’amore “Magari un giorno tornerò a casa battuta, sconfitta. Ma non finché riuscirò a trasformare il mio cuore spezzato in racconti, la mia sofferenza in bellezza” (dai Diari, anno 1950). Ted Hughes era un affascinante scrittore americano nato in Inghilterra; amava la natura e la poesia. Sylvia era l’americana brillante e problematica arrivata in Inghilterra dall’America per 56

Estratto dall’articolo “Sylvia Plath, quando la poesia si fa oscura, profonda e sacra”, pubblicato sul blog “Occhi di Argo” in data 14-03-2017: http://occhidiargo.blogspot.it/2017/03/delle-rose-e-di-altri-inverni-la-nuova.html

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studiare letteratura grazie ad una borsa di studio. La donna lo incontrò a una festa e fu subito amore. Lui le rivolse la parola e lei cedette al suo fascino e alla sua voce tenebrosa. Sette mesi dopo si sposarono, innamorati e felici. Tutto sembrava loro possibile, la poesia li univa e diventava parabola di vita e d' amore. Dopo un primo periodo in America, dove la scrittrice si sottopose a nuove cure psichiatriche, nacquero due figli. Presto però la famiglia Hughes si trasferì in Inghilterra, patria di Ted, dove il matrimonio iniziò a deteriorarsi. Trovandosi in un paese straniero, il mal di vivere della Plath iniziò a peggiorare, parallelamente al fatto che Sylvia si sentiva inadeguata tra il ruolo di scrittrice e quello di moglie e madre. Ted, dal canto suo, iniziò a tradirla e si dimostrò incapace di fronteggiare la situazione. Quando i coniugi Hughes si separarono definitivamente, (a causa della relazione che Hughes aveva iniziato con Assia Wevill, moglie di un amico poeta), Sylvia andò ad abitare coi bambini, Frieda e Nicholas, a Londra, nello stesso appartamento dove aveva abitato William Butler Yeats. Sylvia ne fu estremamente contenta e lo considerò un buon presagio in vista del suo successo letterario; infatti sebbene sola e disperata, nell’autunno del 1962 scrisse la maggior parte delle sue poesie. L'inverno 1963 fu per Sylvia molto duro poiché in quella stagione iniziò il procedimento legale per la separazione da Hughes. Fu in quell'anno che scrisse il romanzo La campana di vetro (The Bell Jar), pubblicato nel 1963 con lo pseudonimo di Victoria Lucas. L’11 febbraio 1963 si tolse la vita con il gas nella cucina del suo appartamento. Sotto la porta dei bambini, presenti in casa, infilò stracci bagnati per evitare che il gas uccidesse anche loro. Dopo la morte della Plath, Ted Hughes si occupò dei suoi beni letterari e distrusse l'ultimo volume del diario di Sylvia, che descriveva il periodo che avevano trascorso insieme. Nel 1982, Sylvia Plath divenne la prima poetessa che vinse il Premio Pulitzer dopo la propria morte. “Limite” In "Edge", ("Limite"), la sua ultima poesia (febbraio 1963), Sylvia Plath era sulla soglia, pronta a varcarla e con un ultimo atto di coraggio, andare verso il buio senza ritorno. All'alba di lunedì 11 febbraio 1963, la Plath era una donna giovane e bella, nonché acclamata poetessa e madre di due bimbi. Nulla faceva presagire la tragedia che si sarebbe consumata da lì a poco. Sylvia entrò nella camera dei figli e socchiuse la finestra, quindi lasciò accanto ai lettini un bicchiere di latte e una fetta di pane e burro. Poi uscì e chiuse la porta sigillandola dall’esterno con il nastro adesivo; subito dopo entrò in cucina e sigillò ermeticamente anche quella porta dall’interno. Infine si inginocchiò davanti al forno e accese il gas.

Dentro il suo corpo come petali di una rosa richiusa quando il giardino s’intorpidisce e sanguinano odori dalle dolci, profonde gole del fiore della notte. Niente di cui rattristarsi ha la luna che guarda dal suo cappuccio d’osso. A certe cose è ormai abituata. Crepitano, si tendono le sue macchie nere. (da ”Edge”)

Sylvia Plath ha lasciato a un pubblico sempre crescente un vasto corpo di testi tra prose e poesie, che la proiettano ben oltre la sua breve e tragica parabola vitale, testimoniando una costante ricerca e abnegazione per la scrittura. Il suo talento fu immaginifico e doloroso e ci ha regalato una voce esasperata, unica e incisiva, capace d’incarnare in sé l’energia necessaria del fare poetico, quando esso diventa rivelazione dell’io e del mondo.

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La fragilità di una donna e l'istinto della morte Come già detto, Sylvia Plath concentrò la quasi totalità delle sue opere poetiche negli ultimi anni della sua vita; aveva l'urgenza di un commiato, come se si rivolgesse a un vasto pubblico di lettori ai quali chiedere di ascoltare la sua voce. Una voce che si disvelava attraverso la Poesia. Nella lirica “Io sono verticale”, scritta in rima baciata nel 1961, Sylvia si definisce “verticale”, rigida e alienata in un mondo dove invece tutto è orizzontale. La scelta della parola “verticale” è emblematica del disagio di Sylvia Plath nei confronti di un mondo in cui si sente inadeguata e che non è fatto per lei. Il pensiero della morte è costantemente ricorrente nella produzione della Plath. In questa poesia così come in molte altre, l’arte perde pian piano la sua funzione salvifica. In questa lirica l'autrice vorrebbe essere quindi “orizzontale” e uniformarsi alla realtà, ma ella non è un albero con radici ben piantate nel terreno, e non ha a sua disposizione tutte le materie prime per prosperare. Né possiede la bellezza tipica dei fiori per potersi distinguere. Basandosi sempre su quel dualismo fra vita e morte, che ha reso immortali le sue liriche, Sylvia Plath s ente di non avere la longevità di un albero e le manca l'audacia del fiore. Metaforicamente le mancano il tempo e il coraggio di vivere. Nemmeno passeggiare sotto la luce delle stelle la farà sentire parte del mondo, anzi la notte aumenterà in lei quel senso di vuoto e di solitudine e solo con la morte avverrà quella congiunzione che le sarebbe stata fondamentale per continuare a vivere. Alla fine di tutto, gli alberi e i fiori, si accorgeranno di chi lei sia stata veramente e le dedicheranno finalmente del tempo. Alcune poesie di Sylvia Plath Nella raccolta Lady Lazarus e altre poesie, pubblicata da Mondadori, troviamo un’altra splendida poesia di Sylvia Plath che ha per titolo “Ultime parole”, una sorta di testamento spirituale in versi. Il disagio che ha accompagnato la breve vita di Sylvia Plath lo troviamo espresso in termini tanto aspri da non prestarsi ad alcun equivoco, anche nella poesia “Specchio”:

Specchio Sono esatto e d'argento, privo di preconcetti. Qualunque cosa io veda subito l'inghiottisco tale e quale senza ombre di amore o disgusto. Io non sono crudele, ma soltanto veritiero quadrangolare occhio di un piccolo iddio. Il più del tempo rifletto sulla parete di fronte. Sylvia si guarda allo specchio, dopo aver assaporato il dolore e la delusione di una vita: esso diventa l'elemento di comunicazione interiore, rappresenta la necessità di scoprire il fondo della propria anima e il flusso di energie emotive che condizionano anche il pensiero. Lo specchio accoglie il bisogno di chi guarda al fondo della sua coscienza e dialoga con le ragioni profonde del suo essere.

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ISSN: 2280-8108 N° 25/ Novembre 2017

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Nella “Lettera d’amore” (1960), Sylvia scrive: “Non è facile dire il cambiamento che operasti./Se adesso sono viva, allora ero morta. (…) Albero e pietra scintillavano, senz’ombra./La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.(…)Da pietra a nuvola, e così salii in alto./Ora assomiglio a una specie di dio/E fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima/Pura come una lastra di ghiaccio. È un dono. » Dall’incubo infantile non si esce, e persino la poesia, l’arte, perdono piano piano la loro funzione salvifica. Nei Diari (Luglio 1950), la Plath scrive: «Forse non sarò mai felice… ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna (…) in momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più.» Sylvia Plath riposa nel cimitero di Ebden Bridge, nello Yorkshire, dove risiede la famiglia del marito Ted Hughes. Qui ha finalmente ritrovato la sua posizione “orizzontale”, nell’unico e solo modo che ha ritenuto possibile.

Chi era Fernando Pessoa, lo scrittore portoghese che ispirò Antonio Tabucchi DENISE GRASSELLI57 Chi era Fernando Pessoa? Difficile a dirsi poiché dell’autore si contano circa centotrentasei eteronimi con altrettante personalità e stili, da Alvaro de Campos a Ricardo Reis, Alberto Caeiro, Bernardo Soares e molti altri58 e, non a caso, il critico Harold Bloom lo ha definito tra gli scrittori più rappresentativi del Novecento. Pessoa, poeta e scrittore portoghese, nasce a Lisbona nei pressi del teatro dell’Opera, il 13 giugno 1888. La scelta del nome Fernando non è casuale: Fernando Bulhões era il nome di battesimo di Sant’Antonio da Padova, santo a cui la famiglia era particolarmente devota. All’età di sei anni Fernando diventa orfano di padre e sua madre, per motivi economici, decide di vendere la loro casa per acquistare un’abitazione più modesta. È in questo momento, denso di cambiamenti e di nostalgia, che Pessoa dà vita al suo primo “alter-ego”, Chevalier De Pas, amico immaginario a cui scrive lettere. In una lettera del 13 gennaio 1935 indirizzata a Adolfo Casais Monteiro, spiegava così la nascita di questa figura: «Ricordo, così, quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronimo o, meglio, il mio primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia59». Nel 1895, dopo il matrimonio della madre con il Comandante João Miguel Rosa, console del Portogallo in Sudafrica, si trasferisce con la sua famiglia a Durban, dove trascorre gran parte della sua giovinezza. Qui il giovane Pessoa apprende la lingua e la letteratura inglese e inizia la sua attività letteraria: traduce Annabel Lee e Il Corvo di Edgar Allan Poe e scrive, tra il 1918 e il 1921, Antinous and 35 Sonnets e English Poems I - II e III. Nel 1901 torna per la prima volta a Lisbona, dove soggiorna presso i parenti per un breve periodo. Durante gli anni dei liceo nascono gli eteronimi Charles Robert Anon e H. M. F. Lecher. Nel 1905 si trasferisce definitivamente dagli zii a Lisbona, dove l’anno seguente si iscrive alla facoltà di Lettere, che, tuttavia, abbandona dopo il primo anno di corso. È in questo periodo che Pessoa conosce importanti scrittori del panorama culturale portoghese, s’interessa all'opera di 57

Denise Grasselli (Tolentino, 1990) dottoressa in Filologia Moderna, è docente di italiano e storia presso la scuola media e i licei. Si è laureata con una tesi sul linguaggio giovanile e le nuove tecnologie dal titolo Linguaggio ed evoluzione nell’era digitale. Per una definizione di linguaggio giovanile telematico da cui ha ricavato un articolo breve per il 24° numero della rivista Euterpe; è socia AICA (Associazione Italiana per l’Informatica ed il Calcolo Automatico) e AITLA (Associazione Italiana di Linguistica Applicata). Ha pubblicato diversi articoli sulla Sibilla Cumana e i Monti Sibillini. Ha preso parte alla giuria dei lettori per il concorso letterario Premio Tullio Consalvatico nell’edizione 2014. 58 Cfr. Fernando Pessoa, Eu sou uma antologia: 136 autores fictícios, edição de Jerónimo Pizarro e Patricio Ferrari, Lisboa, Tinta-da-China, 2013. 59 Lettera citata da A. Tabucchi in Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, Feltrinelli, Milano 1990.

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Cesário Verde e ai sermoni di Padre Antônio Vieira sul Quinto impero. Pur dedicandosi all’attività letteraria, per mantenersi lo scrittore decide di lavorare come corrispondente estero e traduttore di corrispondenza commerciale e di dedicarsi ai suoi romanzi nel tempo libero. A quarantasette anni viene ricoverato all’ospedale Luís dos Franceses dove muore per cirrosi epatica, causata dall’abuso di alcool. Tra le opere più conosciute di Pessoa troviamo: Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares, Il banchiere anarchico, Le poesie di Alberto Caeiro e le Poesie esoteriche. Come si evince dai titoli delle pubblicazioni e da quanto testimonia l’autore nei suoi scritti privati, i suoi eteronimi costituivano parti integranti della sua personalità, alter-ego con i quali egli si rapportava esclusivamente attraverso il dialogo interiore e, in primis, la letteratura: «L'origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. [...] L'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso60». L’eteronimo più emblematico del poeta fu forse quello datogli dalla sua amante, Ophélia Queiroz, che lo chiamava “Ferdinand Personne”, ossia, “Fernando Nessuno”. A rendere la figura di Fernando Pessoa ancora più misteriosa è il suo legame con l’occultismo: il poeta apparteneva all’ordine dei Templari di Portogallo e aveva conoscenze approfondite di astrologia a tal punto che, dopo aver letto la pubblicazione di un noto occultista inglese, Aleister Crowley, inviò a questo delle correzioni. Crowley, che amava viaggiare, decise di recarsi appositamente in Portogallo per conoscere il poeta, con cui strinse amicizia e inscenò un finto suicidio. La vita e le opere di Fernando Pessoa sono state oggetto di studio da parte di Antonio Tabucchi, giornalista, filologo, traduttore e professore universitario presso l’Università di Siena e noto scrittore scomparso qualche anno fa. Il suo romanzo più famoso è Sostiene Pereira, ambientato a Lisbona nei primi del Novecento, di cui è celebre la trasposizione cinematografica, in cui l’attore Marcello Mastroianni recita la parte del protagonista. Tabucchi, nato in Toscana nel 1943, appassionato di lingua portoghese, soggiornava sei mesi l’anno a Lisbona dove ha vissuto fino al 2012. Egli era affascinato dalla personalità misteriosa di Pessoa e dalle sue molteplici identità; oltre alle numerose traduzioni, dedicò alla figura dello scrittore portoghese Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa e il racconto Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa. Bibliografia Pessoa, F., Eu sou uma antologia: 136 autores fictícios, a cura di Jerónimo Pizarro e Patricio Ferrari, Tinta-da-China, Lisbona 2013. Pessoa, F., Il banchiere anarchico, a cura di F. Valentini, Nova Delphi, Roma 2010. Pessoa, F., Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares, a cura di O. Abbati, Newton Compton, Roma 2016. Pessoa, F., Le poesie di Alberto Caeiro, a cura di P. Raule, U. Serani, L. Naldini, Passigli, Firenze 2005. Tabucchi, A., Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, Feltrinelli, Milano 1990. Tabucchi, A., Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, Sellerio, Palermo 1994.

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Cfr. Tabucchi, A., Un baule pieno di gente, op. cit.

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Marcel Proust: l’autonomia della memoria61 CARMEN DE STASIO62 In una vita di mezzo, nel sole turbato da un’orgia di materialismo63, Proust interagisce con i linguaggi del tempo, dello spazio; del tempo giovane e nello spazio adulto, nella speculazione dei dati oggettivi, surrogati da un’imponente abilità divergente ad apportare illuminazione sullo stesso approccio alla scrittura. Con Proust si è nel campo effettivo della scienza umana, nella sua divagazione assimilata alla sobrietà del soggetto pensante in ogni situazione e, pertanto, capace di trattenere di ogni esperienza la tematicità, di condensare la vastità non già come interruzione alle assonanze, ma come anelito atto a surrogare dal territorio panoramico le discordanze, le disaffezioni al visuale. In posizione privilegiata a far coesistere estremi surreali, metafisici all’interno di un realismo di nuova specie, la materia non si lascia sottomettere all’oggettivazione o, per estremo, a una soggettivazione di stampo intimista. Come un artista che offra corpo, mente e cuore al suo lavoro (S. Francesco), si lascia penetrare da condizioni, uomini, cose, e concede loro la collocazione che ne rimarcherà ‒ ciascuno per il proprio tempo ‒ la rilevanza in plurimi linguaggi. Nelle cose è il rimando, sebbene ciò non significhi che Proust sia portavoce di un simbolismo impregnato di romantica tendenza. A rivelarsi é il pensiero divergente valenziale nell’autonomia e che in autonomia distingue il valore acquisito di un’assenza, di una nonvolontarietà, che scuote l’insipiente esistenza che Darwin convertiva in reiterazione delle leggi di sopravvivenza. Nell’infanzia abbiamo soprattutto gli occhi fissi al mondo degli adulti, buio e misterioso per noi64. Le parole hanno un peso nell’ambientazione sociale. Ne hanno ancor più quando devono rappresentarsi e colmare quei disegni mentali da stabilire sulla scena, affinché un’opera sia di significato e permetta una lettura per immagini in un’architettura sferica di maniere, dalle quali l’impegno volge al riconoscimento di una musica di gesti. Una lettura che mantiene traccia dalla riproduzione di uno schizzo e procede fino ai dettagli oscurati in un reticolato di vera ombra65, nel quale le parole sembrano dette in una lingua inconoscibile per inganno semantico. Attraverso le parole avviene l’orientamento. Impalcatura a un’attuazione particolare ‒ esse riferiscono di un’invenzione abilitata da espressioni laboratoriali; pur attendendo nello stretto ambito, sono maniera per riconoscere le equivalenze che un artista, che vive la sensibilità del complesso, fa scaturire dai frammenti di una spazialità destrutturata e ricostruita non sulle sembianze, quanto sulle giustapposizioni. In questo modo le parole superano la semplificazione di veicolo di pensiero e rimandano alla comprensiva estetica dell’artista. Nel ricostruire il visuale inter-ligente, l’artista realizza la scienza nel tempo, per mezzo della quale le parole prendono il suono della realtà cui si riferiscono. Così anche le semplici parole di riempimento apparente acquisiscono il ruolo di territorio in potenziale comprensione.

Tratto da «La memoria creativa oltre l’insignificante apparente» pubblicato in Antologia AA.VV. L’Orto Botanico di Monsieur Proust a cura di G. Brenna e R. Maggiani, LaRecherche.it, e-book n. 162, luglio 2014, pp. 340 - 389 61 62

Carmen De Stasio (Barletta – BAT, 1961) è scrittore, saggista, critico, studiosa dei processi artistico-letterari. Docente di Lingua e Cultura Inglese nella Scuola Superiore di Secondo Grado, risiede a Brindisi. Autrice di un romanzo (Oltre la nausea) e di vari racconti pubblicati in opere collettive e non. I suoi testi sono pubblicati su riviste e antologie nazionali e internazionali di ambito artistico-letterario online e in cartaceo, tra i quali “Art&Art”, “Cultura e Dintorni”, “Diari di CineClub”, “Enkomion”, “Euterpe”, “Fermenti”, “Il Cerchio”, “LaRecherche” e numerose altre. Tra i saggi singoli e in Antologia dedicati a figure portanti della cultura internazionale. Sue la Prefazione al volume Alchimisti di oggi di G. Radice (Acc. Belle Arti – Catania) e l’Introduzione a Il Sorriso Nell’arte di G. M. Nardi (Univ. La Sapienza – Roma), G. Fermanelli, M. Nardi. Impegnata altresì in ambito artistico in qualità di curatore, critico e saggista, presiede giurie e manifestazioni di prestigio. Numerosi i testi artistici per riviste specializzate e cataloghi. È co-Direttore Artistico Associazione Culturale Porta d’Oriente (Brindisi) e Membro Commissione Cultura - Distretto 108 AB (Puglia) per l’anno sociale Lions 2016-2017 e 2017-2018. 63 P. Bessi, «L’eterno ideale della felicità» in «Scena illustrata», Anno XLIV, Alfieri & Lacroix., Firenze, 15 luglio 1903 64 N. Ginsburg, «Quando abbiamo infinite cose da dire» in Antologia Insieme ’80, De Agostini, Novara, 1979, p. 140 65 «La strada di Swann», parte III. p. 411

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Le braccia e le mani non sono fatte per portare. Per portare c’è la testa66 Sovente ciò che appare inintelligibile viene codificato come anti-funzionale alla vicenda umana. Allineato e, per certi versi, alimentato dallo scorrere del tempo, l’uomo si propone con due prospettive: l’una lo vede catapultarsi all’interno degli eventi. Così agendo, tende a risucchiare senza un’impalcatura logica un tutto imbrigliato in una semantica piramidale, il cui apice attrae, destinando l’attenzione a fossilizzarsi in un punto e oscurando il resto di una trama costruttiva, sì pur dotata d’importanza. Tale comportamento produce una linea tangenziale che sfiora senza permettere che le tonalità appercettive riescano a investire e integrarsi nel corpo materico, nel quale lasciar traccia di sé. L’altra movenza prevede un allentamento nel cogliere cose, luoghi, eventi come particelle che parlano un linguaggio dilatato a comprendere uno spazio maggiore dal valore meta-temporale. E in effetti é nella lentezza che lo scambio avviene, talora generando uno sgomento assimilabile al desiderio di rifiutare l’avvizzimento iconoclastico di un passato da ripetere con le stesse cadenze. Epperò è nel rifiuto di quelli che Leopardi chiamò agi corporali la sensazione che ciascuna situazione sia un tempo nuovo. La popolazione del mondo si divide in due grandi categorie: quella che usa la sedia e quella che non la usa67 Sovviene la disfunzione della medesima nel momento in cui avviene la condivisione tra percezione, mente e parola parlata nell’oggetto distinto di cosa sia una sedia. Chi sia, oltretutto, l’uomo dotato della forza di appartenenza della sedia a sé. Potrebbe esser vero anche il contrario: che sia, cioè, la sedia a possedere la seduta dell’uomo, la sua forza di articolare le giunture e acclimatarsi alla sospensione dinamica. Il qual caso comporterebbe una leggerezza e una decisività di affermazione. Come se ciascuna sedia rappresentasse un trono iconico. Eppure, nel sedersi qualsiasi uomo offre le terga a qualcosa, a qualcuno. Fors’anche al proprio tempo (Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera68), al quale si nega il godimento dell’intelligenza69. Tuttavia, la sedia è luogo di appoggio minimo, in equilibrio tra molteplicità formale e poliedricità strutturale. Unica certezza é che l’uomo seduto rispetta un’indole solida, ma anche di ostilità (momentanea?) all’azione. In quell’unico atto della commedia egli reimposta una situazione lontana dalla ritualità. Non già congestione dei pensieri, né assopimento del pensiero. Fermo restando che sia il corpo a 66 67 68 69

O. Vergani, «Continente senza sedie» in Antologia Insieme ’80, De Agostini, Novara, 1979, p. 540 Ibi «La strada di Swann», parte I. Combray, Novecento ed, Torino, 1998, p. 9 «La strada di Swann», parte II. Un amore di Swann, p. 268

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sedersi e non la mente, nella stanzialità prolungata la sedia metamorfizza una condizione d’inasprimento. In quel caso l’uomo si lascia imprigionare dalla sua volontà; disperde le cromie dell’immaginazione e dondola nell’unica occasione che (crede) concessa: un instabile immobilismo. Forse l’immobilità delle cose intorno a noi è loro imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall’immobilità del nostro pensiero di fronte a loro70 Andando oltre, si tratterebbe dello stanco movimento peripatetico di chi non rinuncia alla propria indolenza e, ugualmente, non rinuncia alla prevalente supponenza di esser detentore di quell’agio ‒ un capestro che non consente di guardarsi intorno Per vincere la paura bisogna conoscere. Per conoscere bisogna viaggiare. (Vira Fabra) La secchezza delle immagini mentali in questo modo sbrindella occasioni di concatenazione con altri elementi che pure esistono e che, arroccati sulla sedia distorcente, si confondono nella vaghezza prospettica, oscurando altresì la variabilità delle risorse presenti. E le risorse convergono a dialogare tra loro a una a una e poi in catena: la curva che l’uomo compone con il suo movimento è un contrappunto geodetico poiché sceglie la traiettoria che desidera intraprendere, seguendo la promanazione congeniale per descrivere lo spazio nel quale si realizzano gli atti. Nello spazio geodetico potrebbe, altresì, configurarsi quella geografia immaginaria, la cui unica certezza è data dalla natura. In questo modo lo spazio disattiva le caratteristiche di variabilità per apparire nella sua privatizzazione; rifiuta equamente tanto l’analisi che l’osservazione di fatti in quanto tali e la cronologia storicistica, che nulla apporterebbe per una lettura sinestetica dell’impianto. A esser colta é un’orchestrazione che, nella ritmicità in alternanza, ariosa, fluida, asciutta e, a tratti, minimalista, mantiene una raffinatezza di suono e gesto come un assolo di Satie. Il paragone è ben ravveduto, giacché, come il compositore ribelle all’artificio, Proust orchestra spunti valoriali che superano la monocromia realista, ostacolando l’intromissione di ogni pesantezza nebulosa, (…) ogni sfumatura troppo morbosamente raffinata71. Pur non sostando in una ribellione che possa sconfinare nella critica acerba alla società del suo tempo – o delle trasformazioni che avevano condotto in quel tempo a configurare una proiezione futura ‒ Proust adotta un registro che gli consente di penetrare e, all’unisono, scavare per rivelare a sé la visualizzazione del cambiamento e dei cambiamenti, così confluendo in una visione vorticistica che raggranella frantumi in una massa densa. Null’altro di quanto avvenga in natura: sia nello sguardo volto all’universo, che nell’orizzontalità dello sguardo pensante, tutto ciò che rientra nello studio é passato, come passato é ciò che si vede. Diviene abitudine. In natura ciascun evento è singolo, ma altresì replicabile in un altro luogo, in un altro tempo. Alla stessa stregua gli eventi possono ripetersi72, ma non basta questo a sostenerne la validazione universale per la singolarità che ciascun evento riveste in relazione alla modalità, al luogo e a tutte le componenti di un’impalcatura mobile qual è la sensibilità soggettuale. Le creature di Proust, dunque, sono vittime di questa condizione e circostanza predominante ‒ il Tempo, vittime come lo sono gli organismi inferiori, consapevoli soltanto di due dimensioni e confrontate all’improvviso con il mistero dell’altezza: vittime e prigioniere73. Esiste un’inter-metafora che congiunge gli stati critici della condizione dell’uomo, del suo ambiente e l’aridità del suo territorio, alla quale Proust risponde uno sguardo teso a scoprire reazioni mediante un esame approfondito delle componenti, piuttosto che basarsi su tutto quanto sia in superficie e ad esso reagire. Un comportamento che scruta non per scaltra fruizione stilistica, ma per concepire una visione personale, equivalente di una bellezza svelata nelle sua variazioni. La consapevolezza di mescolare le distinte età dell’uomo sconvolge per l’immane bugia che sobilla la verità delle piccole cose, delle quali la stagione della coscienza cattura (nella miscellanea fonetica) le minime note di un romanzo esistenziale, che emanano luce proprio dall’aspetto di provvisorietà: lo spettacolo dell’autunno (…) si compie così rapidamente senza che vi si assista74 70 71 72 73 74

«La strada di Swann», parte I, p. 11 R. Bragard, F. De Hen, N. Gallini, «Erik Satie», Il Novecento in Storia della musica, Fabbri, Milano, 1964, p. 51 ibi, p. 66 S. Beckett, «Proust», SE ed., Milano, 2004, p. 14 «La strada di Swann», parte III, op. cit., p. 409

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Nel panoramico dormiveglia attentivo la vita va svolgendosi nella mente del soggetto che, nel raccontarla, la destruttura e la riavvolge con la consapevolezza che non si tratti di un atto condivisibile, perché la realtà avviene di testa. Tutto avviene autonomamente senza l’intervento di una volontarietà che, in certi casi, andrebbe a rivestirsi di arido tecnicismo. Si espunge dall’oggettivo dato che null’altro concede se non informazione furtiva, che non può esser comunicata per una dissoluzione istantanea, che non permette di concepire la trasformazione. Di essa Proust si accorge, trasformando quel senso estetico che dispone la natura botanica come luogo di esattezze, di compostezza anche nella qualificazione di enigmi in attesa di esser decifrati. La consapevolezza di far parte di un meccanismo a velocità plurime, alle quali rispondere con la medesima velocità, é chiaramente impossibile e solo vicina alla parvenza di vita mascherata di sopravvivenza. Un’indolente attesa e, nel frattempo, mistificazione dell’attesa. (…) Proust così come abolisce il teatro, abolisce le maschere e si arresta di fronte all’esistenza nuda e quindi all’uomo nudo75

Dove s’inserisce, dunque, l’uomo privo di sedia? Il quesito principale riguarda il tipo di assenza: rinuncia direzionata dalla confluenza delle ovvietà o incapacità di acquisizione. Nel suo saggio Tadié riporta un’affermazione di Proust: Non sappiamo più leggere76. Il silenzio sembra incidere la devastazione di un’inasprita facoltà di leggere le cose come elementi di una situazione (esse agenti di trasformazioni). La rinuncia a sporgere lo sguardo risponde all’adeguamento a un’abitudine dalla quale sfugge l’occasione di conoscere; di cogliere nell’imprevisto – che pure disturba la quiete sopravvivenza – e converge nella rinuncia alla particolarità dell’insignificante apparente. Ed é l’insignificante apparente che emerge dall’oscurità come lo squarcio provocato dal vento sui 75 76

C. Bo, «Introduzione» a «Dalla parte di Swann», vol. I, BUR, Milano, 2013, p. 9 «Proust», J.-Y. Tadié, Il saggiatore, Milano, 2003, p. 37

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cespugli in forma di luce logicizzata a (ri)conoscere frammenti, vite indistinte ma esistenti, mentre lo sguardo disattento é rivolto in un punto disorientato del proprio orizzonte autarchico, racchiuso in un babilonico sguardo circolare intorno a sé77. Affiora la com-presenza di una materia che rivela di sé anche la parte opacizzata dalla presunta assenza. Che è invisibile, ma esiste modificata in un tempo e in luogo assai diverso dal proprio, ed é in grado di ingenerare quel rapporto intimo tra componenti in trasformazione di un tutto trasformabile. Allo stesso modo la platealità delle manifestazioni fenomeniche comporta il disvelamento, ma anche il cedimento all’oblio. Proust accede alla distorsione delle visualizzazioni, le spoglia dell’inutile neutralità rivestendole del carattere di impronte significative e riferibili a tutto quanto sia compreso nell’atmosfera umana78, nella cui ombra circuita un vortice di emozione/i, vista polifonico-sinestetica, tempo, luoghi, quali addensamenti di richiami privi della fissità contaminante dell’allusione. Evidente si tratti di una scrittura complessa e ardita, ma non artificiale. Ricca, ma priva di ridondanze, con una poetica derivante dalla fitta tessitura di essenze e conseguenze divergenti, la cui dislocazione é in apparente contrasto e si vitalizza in una fisicità che vive interamente sulla scena, che rende addirittura la concretezza del pensiero. Tutto ciò è possibile in virtù di un’indagine per segni che si rivela quando al meccanismo ottico immediato faccia da contrappeso la necessità di mettere in atto la scienza delle soluzioni immaginarie di Jarry: ad esse spetta il prezioso ruolo mediale nello scenario spogliato della finzione della teatralità, sovente presente anche quando la parola non é sottoposta allo sfrondamento provocato da tensione gravitazionale. La maniera coglie non tanto un’offesa al senso del vivere, quanto l’indignazione per qualcosa d’irriguardoso, che dilania la natura botanica (erbacea) dell’esistere, sottraendo la dignità e la fierezza di ciò che tende a purgare la volontà effettiva per confonderla (la volontà confusa cui si riferisce Amleto nel suo soliloquio79). L’azione, devastata dalla coscienza invalidante quale viltà che ci distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa importante80, non potrà elevarsi in superficie, perché non ha inteso allungare la sua ombra, incastrata come luce di candela tra le somiglianze, nel fraintendimento di un fitotropismo che ricerca la luce appiattita su una parete immobile. Nella ridondante ripresa delle note si rinnova l’uomo che protrae nell’oltre del suo tempo l’impalcatura di una sopravvivenza soggiogata dalla mascherazione di una sopravvalutata esistenza. Ma non d’investigazione si tratta, se l’occhio tende a puntare l’obiettivo del corpo verso alcune delle tranches di quello che è pur suo giardino, al punto da renderne l’immagine edulcorata e sazia a fronte di una possibilità di scavare in quell’oltre che si perde nel sottobosco e realizza quanta vita ci sia che pulsi tra altri elementi. Non basta: il rifiuto di un’abitudine non attribuisce alcun valore assoluto alle cose viste nell’esclusiva prospettiva di un soggetto alla ricerca speculare di sé. Vero é altresì il contrario: anche gli oggetti cercano il proprio soggetto; un soggetto che li configuri nell’ontologica immagine (Proust avrebbe descritto gli uomini, anche a costo di farli assomigliare a degli “esseri mostruosi”81). Sobillato dalla debolezza morale, l’uomo abbandona il ruolo di agricoltore per diventare schiavo di un maleficio che comporta la specularità dell’ovvio. In esso si risolve il sequestro di domande, nelle quali resta a sonnecchiare il seme dell’evoluzione. Tuttavia, l’uomo che dorme tiene intorno a sé in cerchio il filo delle ore, gli ordini degli anni e dei mondi82. Li consulta in superficie, come se il giardino avesse ragione di esistere per il sol fatto di avere quel nome ‒ appellativo convenzionale che non rivela le intense vitalità in esso nascoste e, sovente, dissipate per un’estranea volontà di dimenticare, o di ricordare parzialmente per via di quella coscienza negativa procurata dal bisogno di certezza controllabile, che rende tutti noi codardi83. Un’antinomia, poiché é la memoria senza controllo a costruirsi intelligente. Né da castigo ed elevazione, ma nucleo oggettivante, auto-inclusivo d’una spiegazione che, così resa, segna il confine tra sé e conoscenza: entrambe ‒ spiegazione del (o al) sé e conoscenza ‒ sono potere. Eppure, mentre l’una esorbita dall’effettiva totalità, l’altra espunge i pentacoli dell’immaginazione, 77 78 79 80 81 82 83

«La strada di Swann», parte III, p. 408 «La strada di Swann», parte III, ibi, p. 413 W. Shakespeare, «Hamlet», atto III, scena I, BUR, Milano, 1984, p. 142 «La strada di Swann», parte I, op. cit., p. 50 M. S. Frankel, «Beckett e Proust – Il trionfo della parola», SE ed., Milano, 2004, p. 85 «La strada di Swann», parte I, p. 11 W. Shakespeare, «Hamlet», atto III, scena I, v. 28, BUR, Milano, 1984, p. 142

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diserta la fantasia e la cromia selettiva. In questo territorio la convenienza appare traduzione esperibile del coefficiente gravitante intorno alla dimensione di coscienza, tumefatta dall’urgenza di una parola per schemi che limita il dizionario dei pensieri connettivi. Questo anticipa di gran lunga il processo che consente di investigare con un senso segnalato tra le correnti che sconvolgono il vivere per desiderare di ricevere informazioni, allinearle secondo le stanze84 della propria vita e concimare il riardi delle costole che motivano la diversità nel variabile universo delle relazioni. BIBLIOGRAFIA M. Proust, La strada di Swann (1919), Novecento, Torino, 1998 C. Baudelaire, Les fleurs du mal (1857), Garnier – Flammarion, Paris, 1964 S. Beckett, Endgame ( 1957),Faber and Faber, London, 1958 S. Beckett, Proust (1930), SE ed., Milano, 2004 P. L. Berger – B. Berger, La dimensione sociale della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 1977 P. Bessi, L’eterno ideale della felicità, in «Scena illustrata», Anno XLIV, N. XIV, Alfieri & Lacroix ed., Firenze, 15 luglio 1903 P. Bessi La società dei carnefici … del suicidio, in «Scena illustrata», Anno XLV, N. III, Alfieri & Lacroix ed., Firenze, I febbraio 1909 C. Bo, Introduzione a Dalla parte di Swann, vol. I, BUR, Milano, 2013 G. Bogliolo, Proust e la critica italiana, in Dalla parte di Swann, vol. I, BUR, Milano, 2013 R. Bourneuf – R. Ouellet, L’universo del romanzo, Einaudi, Torino, 1981 M. Bowie, Freud, Proust e Lacan – La teoria come finzione, Dedalo, Bari, 1992 R. Bragard ‒ F. J. De Hen ‒ N. Gallini, Erik Satie, in Il Novecento in Storia della musica, Fabbri, Milano, 1964 P. Brunel, Proust in Storia della letteratura francese, Il Delfino, Bologna, 1973 J. Cohen, Struttura del linguaggio poetico, Il Mulino, Bologna, 1974 J. Conrad, Gioventù (1898), La Biblioteca Ideale Tascabile, 1995 V. Costantini, La Conquista del Reale in Arte e ricordi, Alfieri & Lacroix ed., Milano, 15 giugno 1916 G. Deleuze, Logica del senso (1970), Feltrinelli, Milano, 2011 T. S. Eliot, The Waste Land (1922), Mursia, Milano, 1976 B. Ford, The present, Penguin, London, 1983 M. S. Frankel, Beckett e Proust – Il trionfo della parola, SE ed., Milano, 2004 A. Fremont, La regione – uno spazio per vivere, Franco Angeli ed., Milano, 1983 N. Ginsburg, Quando abbiamo infinite cose da dire; Memoria in Antologia Insieme ’80, De Agostini, Novara, 1979 H. Grégoire, Per un’enciclopedia attuale (La civiltà atomica), Il Saggiatore, Milano, 1959 F. Guattari, Ritournelles (1991), Mimesis, Milano, 2008 M. Guillen, Le cinque equazioni che hanno cambiato il mondo – potere e poesia della matematica, Tea ed., Milano, 2013 A. Hauser, La psicologia del profondo della fine del secolo, Il prammatismo, Bergson e Proust, La dicotomia dell’arte moderna, La crisi del romanzo psicologico, Proust e Joyce, L’esperienza della simultaneità in Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino, 1980 K. Lorenz, L’altra faccia allo specchio (1974), Bompiani, Milano, 1986 J. Pilling, Beckett, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1996 J. Prévert, Les feuilles Mortes, Guanda ed., Parma, 2006 A. Powell, Nella musica del tempo: autunno, A. Mondadori, Milano, 1972 S. Regazzoni, Pop filosofia, Il Melangolo, Genova, 2010 W. Shakespeare, Hamlet (1599 – 60), BUR, Milano, 1984 R. Simongini, Estetica dell’immagine, libreriauniversitaria.it, Padova, 2009 L. Sterne, Life and opinions of Tristam Shandy (1759), Penguin, 1967 J.-Y. Tadié, Proust, Il saggiatore, Milano, 2003 G. Urata, L’arte di domani in Arte e affreschi, Milano, Alfieri & Lacroix ed., 15 feb. 1915 O. Vergani, Continente senza sedie, in Antologia Insieme ’80, De Agostini, Novara, 1979 R. Wellek – A. Warren, Teoria della letteratura, Il Mulino, Bologna, 1981

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«La strada di Swann», parte I, op. cit., p. 13

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La poesia come ricostruzione del reale: Friedrich Hölderlin nell'Ermetismo di Mario Luzi CINZIA BALDAZZI85 Il poeta nomina gli dèi e tutte le cose in ciò che esse sono. Questo nominare non consiste nel fatto che qualcosa di già noto prima verrebbe soltanto provvisto di un nome; quando invece il poeta dice la parola essenziale, l’ente riceve solo allora, attraverso questo nominare, la nomina a essere ciò che è. Così esso viene conosciuto in quanto ente. La poesia è istituzione dell’essere in parola. (MARTIN HEIDEGGER, Hölderlin e l’essenza della poesia)

Indagando nel cuore dell’area semantica della letteratura in generale, rintracciando radici comuni e successive, di rigore dialettico, tra testimoni-modello del panorama internazionale e di quello italiano, il nodo da affrontare in primis è valutare il ruolo assunto dalla traduzione da una lingua all’altra (nel caso considerato, “in versi”). Una problematica affine, nel decifrare un complesso di langue e parole straniero, è di certo esistita in ogni momento, ma è divenuta non accessoria e assai rielaborata in particolare dagli anni Venti del secolo scorso a oggi: dunque, nel mio breve commento ritengo utile illustrare la vicenda di un nostro autore di prestigio coinvolto in un geniale movimento poetico europeo, affascinato maieuticamente da un protagonista precedente della poesia mondiale, non conoscendone, in effetti, l’idioma, e adottando la traduzione di un amico ed elegante linguista, all’epoca all’avanguardia. Pensiamo al primo Mario Luzi, tra i rappresentanti del gruppo dell’Ermetismo nella dimensione fiorentina: la silloge Avvento notturno (1940) - dopo l’esordio pure ermetico nel 1935 de La barca fu recepita quasi fosse una sorta di manifesto della nuova tendenza, rimanendo indiscusso quanto il più influente piano programmatico della preziosa corrente stilistica sia stato il saggio La letteratura come vita (1938) di Carlo Bo. Accogliendo l’eco di Ungaretti e di Montale alla base dell’attività promossa e divulgata, questi poeti e critici fondarono tra il ’30 il ‘40 un’autentica Scuola con accanto riviste rinomate: “Circoli”, ad esempio, “Frontespizio” e “Campo di Marte”. Proprio Luzi, nato a Castello di Firenze (nel 2004 proclamato membro permanente del Senato della Repubblica), tra di loro, nel cammino globale di regole formali e logiche singolari e collettive, ha suggerito una stabilità ideativa favorita dalla religione (era di confessione cristiana) e, al contempo, ha sperimentato una fervida tensione al cambiamento progressivo, persino in grado di ribaltare i presupposti della tecnica del valore ermetico già maturata. Tutto ciò in virtù di una trama conflittuale vissuta nei tratti intimi di uomo e di artista, ospiti di un dialogo organico e ininterrotto tra microcosmo e macrocosmo inerenti la visione di una simile pertinenza di fede. In tale orizzonte, guidato da una ricerca trascendente e dal progetto di sfiorare l’assoluto, Luzi ha rinvenuto nella Literatur tedesca - nonostante fosse argomentata in un codice linguistico a lui, nella sostanza, non familiare - fonti ispirative preliminari: ricche di messaggi trasmessi in cifre lessicali o barlumi di esse, composte in un mosaico razionale-intuitivo, e non immanente, disposto a incentivare una ritualità svincolata dal cieco destino di accettazione del peso della storia: soprattutto qualora tale sorte implicasse la scomparsa di un’aura esclusiva dell’Io medesimo, tormentato dalla spaccatura tra unità soggettive e oggettive, tra loro opposte. A parere dello studioso Mattia Di Taranto, «ancora una volta ci viene in soccorso la viva parola di Luzi che, nella 85

Cinzia Baldazzi (Roma), laureata in Lettere Moderne alla “Sapienza” di Roma con una tesi su alcune novelle di Luigi Pirandello, per molti anni ha tenuto rubriche di critica teatrale su quotidiani e periodici, scrivendo inoltre di letteratura, cinema e televisione sulla stampa specializzata. Consulente in programmi televisivi, è vice-direttore del giornale online “Scenario”, dove si occupa di recensioni teatrali e musicali. Ha analizzato le liriche di taglio filosofico di Maurizio Minniti nel libro Passi nel tempo, seguito le tracce leopardiane di ultima generazione nell’antologia Orme poetiche, sperimentato l’incrocio tra poesia, critica e pittura in EraTre di cui è autrice con Gianpaolo Berto e Concezio Salvi. Scrive prefazioni e introduzioni a raccolte poetiche, partecipa con interventi e conferenze a eventi culturali, è nella giuria e nella presidenza di concorsi letterari.

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poesia poetante della stagione romantica come nella Kunstanschauung, ovvero nella teorizzazione poetologica, riconosce “le premesse fondamentali di tutto il discorso della creazione letteraria dell’ultimo secolo”». 1 La scelta luziana consisterebbe nell’interpretare l’estroso periodo tra Ottocento e Novecento europeo (dal simbolismo alle avanguardie) presupponendo, in un’aperta zona utopica di scambio di idee, «quella crisi del rapporto tra la realtà e lo spirito che è stata primariamente espressa da Hölderlin e dai grandi poeti romantici». 2 Da un’atmosfera critica così organizzata, puntualizza Di Taranto, non emerge ovviamente, nei confronti delle correnti e dei movimenti “epigoni”, alcuna «intenzione di squalificarne l'originalità o i risultati artistici”». Pur essendo Luzi, agli inizi dell’itinerario poetico, giunto in contatto con vari scrittori germanofoni, è proprio Friedrich Hölderlin a diventare, ben presto, il preferito: anzi, l’eccelso partecipe e coraggioso critico dell’esperienza ermetica lo stimava un maestro che «bisogna leggere sempre». Da alcuni definito dopo Wolfgang Goethe il maggiore vate della Kultur tedesca, Hölderlin era stato geniale discendente di una famiglia di funzionari leali e uomini di chiesa (fu nominato pastore nel 1793, pur non esercitandone la carica operativa). Fuor di dubbio, il medium decisivo, capace di consentire a Mario Luzi, cantore di un’innovativa impronta di stile, di accostarsi alla Deutsche lyrik, fu Leone Traverso. Amico fedele e forbito traduttore negli anni Trenta, «traduceva e faceva entrare per la prima volta nel contesto del linguaggio poetico italiano dell’epoca», è lo stesso Luzi a precisare, «prima di tutto Stefan George, e poi subito dopo Rilke, Hofmannsthal, Trakl e altri ancora». 3 Sono d’accordo con Alberto Ricci, quando nel 2014 dichiarava di poter cogliere il genuino nesso in comune tra il poeta cresciuto nel Land di Baden-Württemberg e l’entourage di intellettuali fiorentini nel «fatto che l’Ermetismo rappresentasse soprattutto, come scriveva Oreste Macrì, un “sistema dinamico di mediatori e mediazioni”». 4 In tale ambito riflettiamo quindi sul concetto dialettico holderliniano della poesia: l’autore dello splendido Vaterlàndische Gesànge (Canti della patria, 1804) aveva in persona attribuito, ai “compagni di avventura”, il compito di avanzare traslando, per antonomasia, significante e significato tra segni, segnale e universo di riferimento, requisiti umani e divini: siamo al cospetto, insomma, di una fitta rete di indici assimilati in un transferendum dettagliato, con l’evidente scopo di agganciare il significare di vocaboli e trame sintattiche al bagaglio semantico di un differente e sconosciuto idioma. Affiora eloquente un terreno semiotico vicinissimo all’impulso radicato del poetare: l’obiettivo di pregio della lirica sarebbe di tradurre l’ignoto. Il giusto contrasto armonico - o “l’armonicamente opposto” - vorrebbe essere il modello principale o la categoria privilegiata della «speculazione» del comporre, con cui Hölderlin ipotizzava di riafferrare, saldandola, l’unità di una classe di pertinenza ormai scissa e frammentata; non diversamente dal programma dell’ermetico Luzi, secondo il quale «la grande avventura della poesia moderna consiste nel tentativo di ricostruire mediante il linguaggio quell’unità che il mondo ideale, pratico, espressivo degli uomini aveva perduto». 5

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Anche sottolineando il merito acquisito dai nitidi, sia pure ornati, canoni denotativi e connotativi delle traduzioni di Traverso, Luzi condivideva «quello spirito, quel vento, il vento voglio dire delle origini romantiche, che ancora informano la speculazione poetica di tutto il nostro secolo» che «creava veramente un clima, immetteva in una corrente viva»; insomma, «un circuito che avrebbe veramente contato, fondamentale e fondante». 6 In termini consoni si trattava, per gli Ermetici, di una delle fasi di «ricerca molto intensa di recupero di intensità e di sintesi nel linguaggio della poesia», ma soprattutto «un approfondimento dei procedimenti tipicamente lirici». 7 Da una disarmonia così percepita nella meta-lingua compositiva e contestuale, nasce per Hölderlin e Luzi la prospettiva di una coscienza alimentata da un reciproco legame tra i due ordini, meditativo e materiale: marcati ed esauriti a vicenda in una coesione ulteriore di stampo utopico seppure individuata in misura esclusiva in un interagire continuo tra il sensibile e il pensiero. Un’intelaiatura di lessico e contenuto all’altezza di tanto, deve articolarsi in modo strutturale ed essere decifrato dalle parole-simboli in sé. Sicché, nella Weltanschauung luziana era un frangente «in cui filosofia e poesia si fondevano, in un’invenzione e ricognizione del mondo in senso totale; quando parli di Novalis, non sai più dove finisce il poeta e comincia il filosofo, lo stesso con Hölderlin; e naturalmente, poi c’è anche Hegel, c'è Fichte, Schelling, è un momento in cui coesistono e si fondono veramente queste funzioni. Se rileggo le lettere giovanili di Hölderlin, vedo che è lui che ha dato il la a Hegel, anche nel sistema». 8 Un simile e caratteristico meccanismo dialettico, comportando un elemento inquietante, secondo Mario Luzi indurrebbe persino il tragitto hegeliano a risultare, tappa dopo tappa, interiorizzato, condiviso e reso prezioso dal poetare. «Qual era allora», chiede Alberto Ricci, «il senso di tali procedimenti ermetici, nel rinnovato procedere?». Ne approvo a pieno la risposta: «Quello di ricreare la forza sintetica di una coscienza unitaria del mondo attraverso il linguaggio poetico». 9 In conclusione, entrambe le matrici ideative - la poiesis holderliniana e lo status ermetico di Mario Luzi - parlano prendendo l’avvio da una precisa urgenza, nell’hic et nunc divenuto pressante, di una riedificazione tra le macerie dell’integrità perduta, tra le rovine di un orizzonte «perduto dietro gli episodi, scisso», 10 quindi bisognoso di un impianto generativo unitario. Per mio conto, ritengo mai come adesso un panorama così assortito possa essere considerato attuale e vissuto da noi insieme, poeti e non, traduttori e lettori o destinatari prescelti.

Ringrazio Adriano Camerini per aver collaborato alla stesura del testo. NOTE 1] Mattia Di Taranto, L'incontro con la poesia tedesca. Un colloquio, in L’Ermetismo e Firenze. Luzi, Bigongiari, Parronchi, Bodini, Sereni, vol. 2, a cura di Anna Dolfi, Firenze, University Press, 2016, p. 223 (atti del convegno internazionale di studi, Firenze, 27-31 ottobre 2014). La dichiarazione del poeta è tratta da Mario Luzi, Il mio incontro con la poesia tedesca, Firenze, Edizioni Polistampa, 1998, p. 10 (versione rivista dall’autore dell’intervento pronunciato il 19 aprile 1995 nell’Aula Magna dell’Università di Firenze in apertura del Corso di Studi Italo-Tedeschi). 2] Il mio incontro con la poesia tedesca, cit., p. 10. 3] Il mio incontro con la poesia tedesca, cit., p. 8. 4] Alberto Ricci, Il frutto nato da amore. Un confronto con Hölderlin, in L’Ermetismo e Firenze, cit., p. 226. Le parole di Macrì sono tratte dal suo Il Foscolo negli scrittori italiani del Novecento, Ravenna, Lungo, 1980, p. 152. 5] Mario Luzi, Tutto in questione, in Dubbi sul realismo poetico, Firenze, Vallecchi, 1965, p. 27 6] Il mio incontro con la poesia tedesca, cit., p. 6 7] Il mio incontro con la poesia tedesca, cit., p. 9 8] Mario Luzi, Colloquio. Un dialogo con Mario Specchio, Milano, Garzanti, 1999, p. 61 9] Il frutto nato da un amore, cit., p. 231 10] Mario Luzi, Tutto in questione, cit., 27

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Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura italiana MARIA GRAZIA FERRARIS86 Dopo la perdita del primato rinascimentale artistico-culturale del Cinquecento l’Italia impara a guardare fuori dai suoi confini, a leggere con attenzione la produzione artistica straniera e a tradurre con umiltà: Madame de Staël in De l’Allemagne (1810), si interessava alla cultura, alla filosofia e all’arte tedesche incoraggiandone e favorendone la traduzione e la diffusione. Susciterà un gran dibattito. Già animatrice del dibattito culturale francese con il testo, intitolato significativamente Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, di chiara ispirazione romantica (l’importanza del sentimento e dell’ispirazione poetica, l’attenzione alle differenze nazionali, afferma il rifiuto dei modelli classici, l’esaltazione della creatività) sostiene il ruolo cruciale delle traduzioni dalle letterature straniere, per svecchiare la tradizione nazionale, ancora legata al gusto della mitologia classica e a una letteratura più di forma che di sostanza. Scoppia così la cosiddetta polemica tra classicisti e romantici, che vede i primi schierati a difesa della tradizione nazionale e altri, identificati soprattutto attorno al gruppo milanese che poi darà vita alla rivista «Il Conciliatore» (18181819), che si fa portavoce delle istanze progressiste e liberali della classe alto-borghese e aristocratica lombarda e della nuova idea di letteratura. Di questo gruppo fanno parte Silvio Pellico, Ludovico Di Breme, Pietro Borsieri e Giovanni Berchet, tutti sostenitori di una cultura nuova e al passo con i tempi, che si ponga come problema anche quello dell’indipendenza nazionale. A partire dal roman philosophique di fine Settecento e passando per il romanzo realistico inglese, la rivoluzione romantica, il realismo sociale nelle sue varie espressioni nazionali il romanzo ha continuato a mantenere un rapporto di rappresentazione critica nei confronti del proprio tempo. Questa rappresentazione, sia che comportasse un’adesione esplicita ai valori dominanti o un aperto dissenso, in ogni caso forniva una descrizione complessa ed esaustiva del quadro sociale e culturale coevo, non mancando, quindi, di evidenziare la complessità e le contraddizioni implicite ed esplicite delle strutture sociali rappresentate. Il romanzo borghese infatti ha costituito a lungo uno strumento, oltre che di raffigurazione, anche di studio e di analisi della società, alla stessa stregua di opere storiografiche o sociologiche. La rivoluzione romantica in letteratura ha segnato la produzione successiva, nel senso di imporre la ricerca e la rappresentazione psicologica dei personaggi e il contesto storico come un elemento centrale del romanzo. Il primo numero del periodico «Biblioteca Italiana» (organo ufficiale del ricostituito governo austriaco), pubblicava un articolo di “Manifesto” dell’atteggiamento dei romantici lombardi: è un breve testo con cui Giovanni Berchet partecipa al dibattito sulle pagine del «Conciliatore», ovvero la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo. Qui Berchet, che si nasconde dietro la figura fittizia di Grisostomo (ironicamente, la “bocca d’oro”) scrive al figlio raccomandandogli la lettura e lo studio dei nuovi scrittori “romantici” (la de Staël, Schlegel e Schiller), identificandone le qualità specifiche. In particolare, l’autore della Lettera semiseria mette a fuoco molto bene il nuovo 86

Maria Grazia Ferraris (Gavirate, VA) ha insegnato letteratura italiana e storia, si occupa di critica letteraria e in particolare studia il contributo della scrittura femminile del Novecento. Ha pubblicato Volevo scrivere. Letteratura femminile d’inizio Novecento (2017) e un saggio su Gianni Rodari. Ha pubblicato la silloge poetica Di terra e di acque, aprile di fiori (2013) e le raccolte di racconti Lettere mai spedite (2009), Occhi di donne (2012), Il croconsuelo (2015), Racconti fantastici (2015). È risultata finalista in concorsi letterari e poetici. Alcune sue poesie e racconti sono state pubblicati in volumi antologici e sul web.

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pubblico cui deve rivolgersi lo scrittore romantico: non si tratta né dei troppo sofisticati “parigini” (corrispondenti al pubblico troppo sofisticato e incline solo al ragionamento astratto) né dei troppo ignoranti “ottentotti”, ma della categoria intermedia del “popolo”, che costituisce la fetta più ampia dell’uditorio. Le posizioni del Romanticismo trovano in Alessandro Manzoni il loro principale esponente, sempre su quella linea che coniuga rinnovamento della tradizione letteraria e ideologia liberale in campo politico. In tal senso è molto importante il dramma storico Il conte di Carmagnola, che nel 1820 rinfocola le polemiche tra romantici e classicisti. L’autore, allineandosi alle tesi sostenute da Friedrich Schlegel, riscopre la funzione del “coro”, cui affida il ruolo di esporre il punto di vista morale dell’autore. Le posizioni manzoniane sono ribadite con notevole coerenza anche nella Lettre à Monsieur Chauvet del 1823, in cui l’autore replica alle critiche mossegli dal letterato francese Victor Chauvet. Una prova degli stretti legami della cultura europea. Del resto i due grandi romantici italiani – Foscolo e Manzoni – ebbero una conoscenza delle letterature europee vasta e ne subirono gli influssi. La cultura europea del Foscolo è stata notevolissima: già da quando il giovanissimo si stabilì nel 1793 a Venezia, in quella che era una delle grandi capitali europee dell’arte e della cultura, dell’editoria e del teatro. Frequenta Angelo Dalmistro – studioso di letteratura inglese, che aveva curato una raccolta di versioni dall’inglese di Gray, Parnell, Young e Milton, e il salotto di Isabella Teotochi; conobbe Aurelio Bertòla – autore di una Idea della bella letteratura alemanna e di un Elogio di Gessner – e poté leggere, Ossian, Gray, Thomson, Young, le Lettere di Abelardo e Eloisa di Pope; fra i satirici Boileau, fra i romanzieri Fénelon (per il Telemaco), Swift, ma soprattutto La nouvelle Héloïse, dalla quale Foscolo risale a Richardson e Goethe. In Italia poi i Canti di Ossian tradotti da Melchiorre Cesarotti, incontrano subito grande successo. Con l’arrivo a Londra, ai primi di settembre del 1816, la passione per la cultura inglese, che risaliva all’adolescenza, diventa esperienza vissuta, immersione nel territorio e quotidiano commercio umano fino all’Ortis, alla Notizia bibliografica zurighese, scritta in parte come risposta alle riflessioni di Goethe sul proprio romanzo in Dichtung und Wahrheit, che riposa su due massicci pilastri: il Werther e la Nouvelle Héloïse. Rousseau è senz’altro l’autore che più ha segnato il giovane Foscolo – fino a un certo momento anche come modello di vita — nei diversi registri del suo pensiero. Non può quindi meravigliarci che già nel Piano di Studj dell’autunno del 1796 risulti amplissima, e quasi preponderante, la sua cultura europea. La Chioma di Berenice mostra inoltre dimestichezza con filologi di scuola tedesca e inglese, che continueranno a essere coltivati anche in seguito dalla traduzione del Sentimental Journey di Sterne e dalle Grazie (un episodio mostra familiarità con l’opera di Buffon). I variegati rapporti, in una direzione e nell'altra, fra Manzoni e il mondo anglosassone, mostrano la molteplicità dei suoi messaggi e delle sue corde. Manzoni, se da un lato ricevette o poté ricevere dal mondo anglosassone, da Shakespeare come da Byron (antecedente decisivo, con la sua Ode to Napoleon, per il Cinque maggio), l'intensità della rappresentazione, il risalto delle passioni, l'incisività dei contorni, dei caratteri e delle tinte drammatici, l'asprezza affocata dei conflitti interiori, dall'altro indicò a tutti i suoi lettori la via per trascendere i vincoli dell'immediato e dell'immanente, per oltrepassare la grigia barriera della materia. Questo slancio trascendente, variamente recepito e messo a frutto, si tradusse nello spiritualismo cattolico di Newman, o nelle torbide atmosfere esoteriche del gothic novel, oppure nel singolare idealismo dei trascendentalisti americani, pronti a scorgere e a inseguire il battito e il bagliore dell'Idea alienata nella Natura, ed ancora, come in Poe – forse memore delle pagine sulla peste di Milano in racconti come La Maschera della Morte Rossa e Re Peste – il senso acuto, lacerante e inevitabile del tragico, della cupa minaccia che si annidano e si celano nella natura e nella storia .

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L’influsso di W. Scott (Waverley, Ivanhoe) sul Manzoni è noto; meno lo sono citazioni più o meno dirette che attestano che Manzoni si confrontò anche con Defoe, Richardson, Sterne, Fielding (Tom Jones), influenzando forse lo stesso realismo di Dickens. Interessante è la somiglianza tra Lucia Mondella e la Pamela di Richardson: entrambe lottano per preservare la propria virtuosa purezza virginale, entrambe si arrenderanno all’amore gentile. Lo stesso dispositivo epistolare su cui Manzoni riflette nei Promessi sposi è sintomo dell’influenza di Richardson e della Shamela di Henry Fielding. Anche il celebre Cinque Maggio fu probabilmente ispirato in modo diretto dall’Ode to Napoleon di Lord Byron: da «Ei fu» («Tis done»), a «spoglia immemore» («nameless thing»), a «ed arbitro s’assise in mezzo a lor» («The Arbiter of other’s fate»). Il rapporto con le letterature straniere continuerà e andrà ampliandosi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX secolo. Un autore molto tradotto fu ad esempio Heinrich Heine. Tra i tanti a essersi misurati con lui, il Chiarini, distintosi per la traduzione di numerose liriche e dei poemi Atta Troll e Deutschland (Germania) e Bernardino Zendrini, docente di lingua e letteratura tedesca all’università di Padova. Da lui i componimenti di Heine vengono spesso trasformati in sdolcinate poesie pastorali: («Io cammino tra i fiorelli / e fiorisco anch’io con elli»), operazione contestata da G. Carducci, estimatore di Heine: se ne comprende la netta superiorità di lettura quando Carducci scrive: «Passa la nave mia con vele nere, / con vele nere pel selvaggio mare». Carducci tradusse infatti molte poesie di Heine come la significativa “I tessitori della Slesia”, dove l’autore parla della corrotta “società tedesca dei privilegi” dal punto di vista dei tessitori, descrivendoli delusi, ingannati e scherniti dopo la rivolta del 1844, aspramente sedata dalle forze militari tedesche inviate dal Re. Apre così la sua lettura agli autori europei e alla sua vena civile, quella che culminerà rielaborando alcuni spunti delle narrazioni di Carlyle, Blanc e Michelet nei sonetti di rievocazione rivoluzionaria di Ҁa ira. Parigi fa scuola. Ma nel periodo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento anche i codici della lirica tedesca subiranno un profondo rinnovamento, soprattutto grazie all'opera di autori tra loro dissimili e indipendenti: come George Trakl che apre la meditazione disperata sui massacri della guerra e Rainer Maria Rilke. In particolare Rilke, attraverso la ricerca esoterica sul linguaggio e sul mito compiuta con le Elegie duinesi (1923) e con i Sonetti a Orfeo, cercò di dare una forma di purezza assoluta alle inquietudini della cultura espressionista, dando vita a una poesia raffinata, sublime, in cui la sensibilità per il sacro pervade tutte le cose cercando di sondare l'interiorità dell'uomo moderno che ha perduto se stesso. Rilke fu ed è un poeta molto apprezzato nel nostro paese. In Italia la sua fama arrivò però solo postuma, quando il germanista Vincenzo Errante lo fece conoscere per la prima volta al vasto pubblico italiano con diverse traduzioni sia della sua opera in prosa sia dei suoi versi. Da allora Rilke fu molto amato, anche se, già negli anni Cinquanta, non mancarono voci, come quella di Giovanni Papini che, dalle colonne del Corriere della sera, definì Rilke «insopportabile» dichiarando di trovare i suoi versi «estranei, ostici, incommestibili, […] trappolerie più pretenziose che preziose, […] esercizi di enigmistica da sanatorio», e di provare per lui un’invincibile «ripugnanza». L’interesse per la letteratura spagnola in Italia si verificò relativamente tardi. All’inizio del Novecento furono i Vociani a dedicarsi alla letteratura spagnola. La figura di Don Chisciotte del Cervantes è quella che più interessa, come esempio e maestro di vita. Ma è a Garcia Lorca e alla sua poesia, legata alla sua tragica vicenda umana che si presta maggiore

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attenzione. Furono del resto presenti in Italia a lungo poeti che contribuirono a tenere desta l’attenzione per la poesia spagnola, Jorge Guillén che trovò a Firenze l’accoglienza più intensa e a Roma Rafael Alberti. Gli anni Trenta sono quelli delle traduzioni e delle antologie spagnole, realizzate a opera di Oreste Macrì e Carlo Bo. La guerra civile spagnola e la morte di Lorca cambiarono del tutto l’interesse della cultura italiana verso gli spagnoli e la loro storia anche culturale e aumentò l’importanza dei traduttori e delle traduzioni. Tra gli intellettuali un ruolo importante fu quello di Vittorini. Molto intenso l’influsso della poesia di Lorca in Italia, soprattutto su autori meridionali più legati al tema e alla futura poesia neorealista, alla valorizzazione del folcloristico, dell’epico, lettura che nondimeno ne limita parzialmente la comprensione. Significativi lettori furono Alfonso Gatto, “il gitano napoletano” (che valorizza con consapevolezza anche storica la triade spagnola Lorca, Machado, Alberti- e che confronta la poesia italiana con un surrealismo non-francese a confine con l’ermetismo), R. Scotellaro (che valorizza il tema del sud e la poesia con la sua funzione civile e consolatoria, la tradizione, il tema della terra, l’amore, la morte, vicino per metrica e tradizione all’andamento dei romanceros spagnoli: “Afflitti ulivi/ sui tufi di Matera/ Oh gli amari poemi/ delle morti stagioni!... Passava la cavalcata della Bruma/ a risvegliare le caverne/ sui bordi delle roccie/ al di là della collina… ”simile al metro espressivo del lorchiano Romancero gitano), R. Carrieri ( Lamento del gabelliere e Compianto per Garcia Lorca, riprende il lamento per Ignacio di Lorca) e B. Cattafi (Nel centro della mano, Le mosche del pomeriggio): una specie di asse ideale tra sud italiano e Andalusia. Un parallelismo sentito e sottolineato anche da L. Sciascia. Tra gli anni Trenta e Quaranta in Italia si scopre la letteratura americana (W. Whitman e E. Lee Masters) e l’interesse è espresso dalla antologia Americana che Vittorini va preparando per Bompiani, cui subito espresse consenso C. Pavese, che ne vide l’occasione non solo di lavoro ma anche di libertà in un territorio che sembrava il teatro dell’umanità, dove ogni storia aveva rappresentazione. Un nuovo Oriente favoloso da sognare e in cui evadere. Si scopriva nei libri l’America, “un’America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo, e insieme giovane, innocente… Per molta gente l’incontro con Caldwell, Steinbeck, Saroyan e persino col vecchio Lewis, aperse il primo spiraglio di libertà, il primo sospetto che non tutto della cultura nel mondo finisse con i fasci.” Poi, negli anni ‘50 fa irruzione la cultura americana e i suoi modelli narrativi, sostanzialmente diversi da quelli della tradizione europea e di quella italiana e francese grazie a Fernanda Pivano che portava in Italia la Beat generation, con la quale ancora una volta l’America esportava alternative e senso di libertà che hanno contribuito a crearne il mito. «Quei libri insegnavano un nuovo modo di vivere, oltre ad un nuovo modo di esprimersi: ce lo ricordiamo in tanti. La mia generazione […] si è trovata ad essere giovane in un mondo in cui i valori, la prosa, il linguaggio, le cose in cui credeva erano in totale crisi». (F. Pivano). Si apre una stagione nuova anche per l’intellettualità italiana, nuove sperimentazioni, nuove speranze, nuove sirene…, ma tutto questo muove a un nuovo ampio capitolo di indagine.

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RECENSIONI

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Mrs Bridge di Evan S. Connell Recensione di LAURA VARGIU87 Profondo è il senso di solitudine e d’impotenza dinanzi alla ineluttabilità del tempo che trasmette la storia di Mrs Bridge. Una storia, in verità, di ordinaria quotidianità, una come tante, ben lontana dai clamori e dai colpi di scena eclatanti. Senza infamia e senza lode, potremmo forse aggiungere. Pubblicato negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta, il libro racconta, sullo sfondo dell’America dei decenni precedenti, la vicenda di una donna che da figlia diventa moglie e madre seguendo i normali e prevedibili percorsi della vita. Una grande casa, un marito avvocato per lo più assente e tre figli a cui consacrare, con amore e forte senso del dovere, ogni singolo istante delle proprie giornate sempre così piene, ma in realtà vuote di qualcosa difficile da spiegare. Così trascorrono gli anni, all’inizio lenti, poi via via sempre più impietosi, senza che lei riesca per davvero a trovare tempo per se stessa; non bastano i cocktail e feste varie, gli incontri con le amiche, le attività nel sociale a dare un senso al quotidiano vivere. E l’incosciente consapevolezza di appartenere a quella categoria di persone che esistono senza aver vissuto (“ignare fino all’ultimo della vita”) si rivelerà infine un peso decisamente opprimente da sopportare. È vero: di questa donna potremmo essere figli, così come in ogni giovane donna c’è una potenziale signora Bridge. Quest’opera di Evan S. Connell è un buon romanzo dallo stile narrativo semplice e dal contenuto denso di significato. Sebbene alcuni capitoli risultino forse troppo lenti e poco coinvolgenti e la stessa Mrs Bridge, con quel suo modo di pensare d’altri tempi e – impossibile non notarli – certi atteggiamenti un po’ razzisti e classisti (secondo i quali, per esempio, i neri si possono frequentare solo entro certi limiti e la porta sul retro deve essere riservata alle donne di servizio), a tratti non si renda troppo apprezzabile, tant’è vero che sono anzitutto i figli a mal sopportarla, la storia, nel suo complesso, genera riflessioni e interrogativi che nessuno credo possa eludere e in questo consiste la forza del romanzo. La penna dell’autore è stata abile ad allargare, a piccole ma inesorabili dosi, il baratro del vuoto interiore in cui spesso si precipita, a far esplodere d’improvviso l’inquietudine di fronte a certi comportamenti incomprensibilmente estranei da parte di chi si crede di conoscere bene e invece non si conosce mai fino in fondo, a dipingere una sorta di grigiore che si nutre di noia, solitudine, insoddisfazione e infelicità mai confessate a cui la vita sembra rassegnarsi per inerzia, fino a quello sconsolato e sconsolante “C’è qualcuno là fuori?” della scena finale… Veramente tremendo rendersi conto del fatto che, pur essendoci sempre stati per gli altri, anche a scapito di noi stessi, nessuno alla fine ci sarà per noi.

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Laura Vargiu (Iglesias, 1976) si è laureata in Scienze Politiche presso l’Università di Cagliari. Ha collaborato a testate giornalistiche online, in particolare a mensili multiculturali. A seguito della sua partecipazione ai concorsi letterari, è presente con racconti e poesie in numerose raccolte antologiche. Ha pubblicato Il cane Comunista e altri racconti (2012), Il viaggio (2015) La Moschea (2015), Viaggi – Racconti mediterranei (2016) e I cieli di Gerusalemme e altri versi vagabondi (2016). Tra i vari riconoscimenti ottenuti, il primo posto per la sezione poesia singola alla XXVII edizione del Premio “La Mole” di Torino (2013); fa parte della giuria del Concorso Letterario “Storie Vagabonde”.

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Le mie poesie più belle di Nizar Qabbani Recensione di LAURA VARGIU

L’amore nel mondo arabo è prigioniero e io voglio liberarlo.

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(Nizar Qabbani)

Versi appassionati e appassionanti, espliciti e carnali, impudichi e, a seconda dei giudizi, forse addirittura sconci: è la poesia di Nizar Qabbani, uno tra i più grandi e osannati poeti arabi contemporanei. Siriano di Damasco, Qabbani è morto nel 1998 a Londra, dopo una vita trascorsa in giro per il mondo, divisa tra carriera diplomatica e attività poetica. Le sue parole riecheggiano ancora oggi nelle canzoni di diversi artisti, da Umm Kulthum fino alla musica pop del momento. Ma i versi di Qabbani continuano a risuonare pure per le strade di Beirut, del Cairo e di altre città dell’Oriente ormai perduto e ferito, nelle aspirazioni frustrate delle masse, nel disagio femminile che attraversa come una frattura profonda le società arabe, nelle lettere degli amanti… Perché lui ha dato speranza a chi si nutriva di amarezza, voce a chi non l’aveva e, come si era proposto, ha liberato quell’amore inteso come intreccio indissolubile di sentimento ed erotismo per nulla sconosciuto al mondo arabo. Nei suoi testi si sono rispecchiate intere generazioni di giovani ingabbiate nella bigotta rigidità delle diverse realtà islamiche, anche di quelle in apparenza più aperte. “L’amore non è un romanzo orientale dove gli eroi si sposano… alla fine. L’amore è salpare senza una nave e sentire che non esiste approdo. L’amore è un fremito che rimane sulle dita, una domanda sulle labbra sigillate. L’amore è il fiume di nostalgia nel nostro profondo dove crescono vigneti e grano. […] L’amore è il nostro ribellarci per piccole e insignificanti cose, è la nostra disperazione, il nostro dubbio assassino. L’amore è questa mano… che mentre ci uccide… noi baciamo.” (da “A una alunna”)

Le donne, in particolare, sono al centro della sua poesia. A loro, creature pressoché invisibili e confinate al tormentato grigiore dello spazio domestico, dà la parola in modo giudicato eversivo, trattando per primo in poesia temi tabù quali aborto e prostituzione. Ma la penna di Qabbani va oltre, sbirciando attraverso la porta socchiusa di un’alcova dove si consuma un rapporto omosessuale femminile; e lo fa con una schiettezza e naturalezza disarmanti “perché” – lui scrive – “per l’amore non c’è spiegazione”: “La stanza è in disordine, gioielli sparsi, seta che si leva, e un bottone che pigramente lascia l’occhiello. La notte è l’alba di una lupa che allatta la sua lupa. La mano che fruga… e invade, il lenzuolo che fugge,

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l’una lo avvicina, e l’altra riposa. È una conversazione tra quattro seni, un bisbiglio… […]”

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(da “Poesia maligna”)

Un grato plauso ai traduttori e alla casa editrice milanese Jouvence per aver fatto conoscere in Italia questa splendida raccolta che lo stesso Nizar Qabbani predispose all’inizio degli anni Settanta, inserendovi appunto le sue “poesie più belle, quei testi-chiave che fino ad allora, in molti casi, la critica aveva spesso e volentieri bollato come sconci e provocatori. Sfidare le convenzioni e il perbenismo ipocrita era evidentemente una sfida troppo appagante a cui il poeta non poteva né voleva rinunciare, mentre i giovani lo leggevano di nascosto o pubblicamente in barba a ogni possibile imbarazzo sociale. “Sii il mio mare e il mio porto, la mia patria è il mio esilio, sii siccità e diluvio, sii la dolcezza e la durezza. Amami in mille modi, […] Amami… e dimmelo! Detesto essere amato senza voce, detesto seppellire l’amore in una tomba di silenzio. Amami… Lontano dalla terra della repressione, lontano dalla nostra città sazia di morte, […] perché l’amore non la visita da quando esiste, e Dio lì non è più tornato. Spogliati… e lascia cadere la pioggia sulla mia sete. Consumati come cera nella mia bocca e impastati con ogni mia parte…” (da “Poesia selvaggia”)

Ci si emoziona perdendosi non soltanto tra i versi d’amore spudoratamente fisico, ma anche tra quelli ben più casti di “Cinque lettere a mia madre”, “Se tu fossi stata a Madrid” e “Granada”, poesia, quest’ultima, in cui negli occhi profondi di una donna di araba ascendenza (ricordiamoci dell’Andalusia arabo-islamica, ben sette secoli di Storia!) ancora si scorge la grandezza di una civiltà passata. Ne “Il pane, l’hashish e la luna”, con cui si conclude la silloge, il poeta esprime invece una dura condanna dei popoli musulmani assuefatti alla religione come a una droga: “Essi stendono preziosi tappeti, si consolano con l’oppio che noi chiamiamo destino e fato… […] Nelle notti d’Oriente, quando sorge la luna piena, l’Oriente si spoglia di tutto il suo onore e della sua voglia di combattere… Quei milioni che corrono scalzi, che credono alle quattro mogli e nel giorno del giudizio, quei milioni che non vedono il pane… se non nei sogni, […]” (da “Il pane, l’hashish e la luna”)

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Parole scritte decenni fa, tuttavia sempre valide se si pensa al mondo arabo odierno e al suo fatalismo, a quell’ “in sha’ Allah” (“se Dio vuole”) che masse di diseredati continuano a ripetere come una vecchia nenia stonata che talvolta fa davvero arrabbiare, confidando ingenuamente nell’intervento misericordioso di un Dio che dovrebbe vedere e provvedere in ogni caso, anche quando non si smette di sfornare figli uno dopo l’altro pur non avendo di che sfamarsi … E intanto quella stessa entità superiore, che potremmo chiamare anche destino, li ha abbandonati a regimi corrotti e a tagliagole nostalgici di improbabili califfati, nonché al martirio di guerre interminabili. C’è tanto, tantissimo in queste intense bellissime pagine di Nizar Qabbani, non ultima la struggente tristezza del poeta. Nessuna meraviglia: del resto, non scriveva forse Jibran Khalil Jibran, altro grande autore arabo, nel suo racconto “Le ali spezzate”, che “[…] i poeti

sono persone infelici poiché, per quanto il loro spirito si elevi, saranno sempre racchiusi in un involucro di lacrime”?

Joris-Karl Huysmans: A ritroso MARTINO CIANO88 Ci sono libri che per essere compresi vanno letti più volte. A ritroso è uno di questi. Il mio primo approccio con quest’opera è stato nel 2002, un anno di passaggio in cui il bisogno di solitudine e di disgusto verso tutto quello che mi circondava, mi ha fatto pensare a Des Esseintes come un modello da imitare. Ammetto che si trattava delle ultime manifestazioni di un’adolescenza turbolenta, ma che mi ha sempre spinto a cercare qualcosa in grado di sconvolgermi. Huysmans ci riuscì allora e c’è riuscito anche questa volta. A ritroso è tornato tra le mie mani a Natale. Ho riletto la prefazione di Carlo Bo e mi sono rituffato tra le pagine di questo capolavoro. Con quattordici anni in più di letture, di nozioni e di buonsenso, le parole mi hanno svelato altri significati. Primo fra tutti: un testo di formidabile attualità. L’autore scrive questo libro nel 1884; epoca di passaggio, di belle speranze, di democratizzazione della società, di scoperte scientifiche. Tutte cose che dovrebbero far sorridere, ma che in Huysmans e nel protagonista, Des Esseintes, provocano un effetto devastante. Il misantropo aristocratico fugge da Parigi per darsi in pasto a una vita di contemplazione, cercando nell’anonimato la rinascita. Constatate la morte dell’arte, della lingua, della letteratura, della grazia e della dannazione; sacrificati i principi cardine della vita, Des Esseintes, ritorna alla felicità nella sua biblioteca, tra i suoi antichi libri; tra le opere d’arte che mostrano sensualità ed erotismo; tra 88

Martino Ciano (Tortora, 1982), laureato in Scienze Storiche presso l’Università “La Sapienza” di Roma, è corrispondente per l’emittente televisiva “Rete 3 Digiesse”. Collabora con le riviste letterarie “Zona di Disagio”, “Gli amanti dei libri” e “Satisfiction”. Ha pubblicato romanzi e racconti. Tra questi, Il canto della Cecità (2006), Le danze del tempo (2011) e La logica del difetto (2016). Ha ideato il progetto “Stile Euterpe” in seno alla rivista di letteratura “Euterpe” e nel 2016 ha curato un volume antologico dedicato ad Aldo Palazzeschi dal titolo Aldo Palazzeschi, il crepuscolare, l’avanguardista e l’ironico.

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profumi e gioielli che ridanno all’olfatto e alla vista aromi e colori dimenticati. Il positivismo, lo sviluppo, la liberalizzazione dei costumi, sono per Des Esseintes segni di una società che va a pezzi, che disprezza la memoria e la proprie origini. Ma Huysmans non è un conservatore e il suo personaggio non vuole tornare al passato per capriccio, ma solo perché il progresso non dà più spazio alla contemplazione e alla bellezza. Con questo libro, l’autore francese inventa un genere e si distacca completamente dal Naturalismo. Huysmans fu criticato aspramente. La recensione più lusinghiera che ricevette terminava così: alla fine di questo libro resta solo o la canna di una pistola o la croce. Proprio perché Des Esseintes distrugge tutto, per salvare solo il passato. Nel futuro non c’è un senso. Nell’allegro positivismo c’è solo la dissoluzione dell’individuo. Per questo motivo, il protagonista si ammala e dovrà sottomettersi per sopravvivere. Sottomettersi all’incedere del tempo, accettando la morte della bellezza.

L’orizzonte di Patrick Modiano

Recensione di GABRIELLA MONGARDI “Orizzonte”, participio presente del verbo greco ̔ορίζω, significa “che segna il confine, che delimita”: questo romanzo è davvero “l’orizzonte” dello scrittore francese Patrick Modiano, premio Nobel per La letteratura 2014, in quanto racchiude tutto il suo mondo, ne rappresenta il distillato, l’essenza. Uscito a Parigi da Gallimard nel 2010, in Italia è stato tradotto da Emanuelle Caillat per Einaudi nel 2012. Si ritrovano qui tutti gli ‘ingredienti’ della scrittura di Modiano: Parigi con i suoi quartieri, i bar e la metropolitana, le cui fermate sono gangli narrativi inesauribili; personaggi contemporaneamente in ricerca e in fuga, sospesi in una dimensione onirica che li rende indefinibili; una lingua sobria, piana eppure intensa e struggente, perché – per dirla con Kafka – “non crea, ma chiama”. E all’intensità del suo richiamo non si può resistere: non resistono le cose e le figure che si affacciano a intermittenza nelle pagine di Modiano, evocate da una scrittura sciamanica e delicata, e si dispongono in costellazioni sempre uguali e sempre diverse; non resiste il lettore, che sfoglia ipnotizzato gli undici ‘capitoli’ della ‘storia’, abbandonandosi a un flusso di associazioni, di immagini, di ricordi suggestivi e inafferrabili. Le virgolette sono obbligate, perché il romanzo non narra una storia in senso tradizionale, e per questo è impossibile riassumerlo. Nella prima pagina il protagonista, Jean Bosmans, è presentato come un ghostbuster, che cerca invano di dare un volto e una consistenza a episodi della giovinezza fugaci, senza seguito, slegati dal resto della sua vita. Attrezzi della sua caccia il taccuino moleskine nero su cui fissare un elenco di quei ricordi intermittenti, e ovviamente la penna, per registrare sul taccuino qualche debole scintillio in fondo all’oscurità. Poche pagine dopo compare il nome della protagonista femminile, Margaret Le Coz, e poco dopo viene rievocato il loro primo incontro, ma non si può dire se la loro sia stata una storia d’amore: si sono trovati fianco a fianco, ma ognuno in un corridoio temporale differente, come due persone separate dalla vetrata di un acquario. Entrambi si sentono inseguiti, minacciati dai fantasmi del loro passato: lei da un uomo dalla pelle butterata e dalle mani enormi, lui da una crudele donna dai capelli rossi, che forse è sua madre; entrambi dubitano di avere il diritto

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di stare al mondo. Intorno a loro, si muovono ‘figure del non-io’, gente arrivata, sicura di sé, a volte superficiale e senza scrupoli, a volte troppo seria e scrupolosa - i colleghi d’ufficio di Margaret, la famiglia del professor Ferne: in ogni caso, personaggi agli antipodi di Jean e Margaret, radicati nella vita, orientati nella città, padroni del loro tempo… Se il tema del tempo – del tempo che passa e da cui forse solo nelle pieghe segrete dei quartieri di Parigi si può essere al riparo – induce inevitabilmente ad accostare Modiano a Proust, in realtà c’è molto di kafkiano in questo romanzo: c’è una condizione di sradicamento immedicabile, e lo svelamento della “commedia” costituita dai “solidi letti”, dal “solido tetto”, mentre siamo tutti nomadi “sotto un cielo freddo su una terra fredda” (F. Kafka, Di notte) – siamo tutti naufraghi senza punti di riferimento, se non la scrittura. Giunti al termine della lettura, si ha la certezza che in questo romanzo il non-scritto conta più dello scritto e che si deve ripartire dall’inizio, per cercare in filigrana, tra le righe, la vera storia, taciuta. Come in astronomia, la materia oscura era più vasta rispetto alla parte visibile della tua vita: questa legge, che il protagonista enuncia in apertura, vale non solo per la vita, anche per il libro. E forse questo è un messaggio di speranza, di apertura al futuro: il romanzo infatti ha un finale aperto, e il lettore può illudersi che la ricerca di Bosmans per una volta tanto abbia successo, che lasciando Parigi per Berlino, la città che gli somiglia, possa davvero ritrovare Margaret, e con lei se stesso. Ancora una volta, il non (ancora) scritto sembra contare più del (già) scritto, come se l’autore volesse ‘passare la mano’ al lettore…

Ingólf Arnarson - Dramma epico in versi liberi di Emanuele Marcuccio Segnalazione dell’uscita dell’opera

«[Q]uesto ho voluto fare scrivendo il dramma: sognare

e perdermi nella meraviglia di una storia d’amore e morte, di guerra e di pace, di luce e di tenebre, di sogno e di libertà. Una terra, in una dimensione parallela e contemporanea al periodo storico, assolutamente verosimili.» (Dalla Introduzione)

È uscito il 28 agosto 2017 Ingólf Arnarson - Dramma epico in versi liberi. Un prologo e cinque atti89 ampia opera poetica e teatrale di ambientazione islandese del palermitano Emanuele Marcuccio per i tipi de Le Mezzelane Casa Editrice. Il libro raccoglie un vasto lavoro iniziato nel maggio 1990 e terminato nell’aprile 2016. Per un totale di 2380 versi con un lavoro di ben diciannove anni escludendo i sette complessivi di interruzione, l’autore ha cesellato il verso, sempre alla ricerca della migliore musicalità e fluidità nel ritmo, nella cadenza e alla lettura. Con versi liberi e mai casuali, di varia lunghezza, sorretti da una diversa metrica, costituita non dal numero delle sillabe o dalla rima, ma da assonanze, consonanze, figure di suono e dalle necessarie figure retoriche, da quello che viene chiamato “ritmo semantico”. Il volume, di 188 pagine, riporta in copertina un Emanuele Marcuccio, Ingólf Arnarson - Dramma epico in versi liberi. Un prologo e cinque atti, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2017. 89

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particolare dell’opera “Oltre le apparenze” della pittrice Alberta Marchi e si apre con una nota di Introduzione a cura dell’autore, continua con una Prefazione a cura del critico letterario Lorenzo Spurio e termina con una Postfazione a cura del critico letterario Lucia Bonanni (“Una introduzione alla drammaturgia dell’Ingólf Arnarson”)90. Impreziosisce il tutto una Nota storica a cura di Marcello Meli (ordinario di Filologia germanica presso l’università di Padova) e una quarta di copertina a cura del critico letterario Francesca Luzzio. Così scrive Spurio nella Prefazione: “Il dramma di Marcuccio tratta con originalità e chiarezza di linguaggio molti topos dell’epica germanica: i riferimenti ai combattimenti, al cozzar di spade, all’importanza della fama e della gloria; l’impiego di prove per testare la valorosità dell’eroe; la credenza e l’invocazione del fato, spesso personificato, il tema del tesoro e il motivo del viaggio in terra straniera. […] Nell’opera di Marcuccio il destino non è un semplice concetto, un’idea, ma viene caricato di un significato proprio facendo di esso quasi un personaggio. Fato, destino, sorte, fortuna sono concetti che derivano dall’antico inglese wyrd, spesso personifi cato dalle Norne, che si riferisce a una cultura precristiana, pagana. A tutto ciò Marcuccio aggiunge elementi che rimandano alla conversione dell’Islanda al cristianesimo: la presenza di un monastero e di monaci, l’influenza celtica, la presenza di croci che viene, quindi, a rappresentare una fase successiva di sviluppo politico-socialeeconomico della vita dell’Islanda di epoca norrena. Tuttavia ciò che Marcuccio narra non è solo un racconto epico, è molto di più. È evidente, infatti, la potenza del lirismo, soprattutto in alcuni momenti, come nella scena d’amore tra Sigurdh e Halldóra e, allo stesso tempo, di una certa vicinanza alla cultura popolare con riscontrabili cadenze e dialettismi che rendono particolarmente significativo e vivo il testo, sottolineando quanto sia importante la componente orale nella trasmissione della cultura”.

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Pubblicato come postfazione al dramma epico di Emanuele Marcuccio, costituisce il penultimo capitolo del saggio monografico inedito di Lucia Bonanni sullo stesso dramma, che sarà pubblicato prossimamente da Le Mezzelane.

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INTERVISTE

Rivista di Letteratura Online “Euterpe” Aperiodico tematico di letteratura fondato nell’ottobre 2011 ISSN: 2280-8108 Sito: www.rivistaeuterpe.blogspot.com E-mail:fondato rivistaeuterpe@gmail.com N° 25/ Novembre 2017 Rivista Aperiodico tematico di letteratura nell’ottobre 2011 di Letteratura Online “Euterpe” delNovembre numero: “Autori e la loro influenza nella letteratura ISSN: 2280-8108Tema N° 25/ Sito: www.rivistaeuterpe.blogspot.com E-mail:straniera” rivistaeuterpe@gmail.com 2017 internazionali Tema del numero: “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura straniera”

¿Qué es poesía?: Intervista al poeta Pedro Enríquez91 A cura di VALENTINA MELONI V.M.: Molti poeti hanno provato a dare una definizione di poesia. Essendo la poesia in continuo movimento e trasformazione e avendo ogni poeta una propria visione di ciò che intende per poesia, questa definizione finisce con l’essere un’interrogazione che non ha fine. Parafrasando la famosa poesia di Gustavo Adolfo Bécquer … Cos’è per lei la poesia? P.E.: Le forme del cuore, le parole dell’aria, il soffio della terra, la coscienza della vita, la cicatrice delle ombre, la preghiera del momento … Come definire l’indefinibile? Scrivo versi che cambiano ogni ora del giorno. Poesia è non avere limiti, tu, io, siamo tutti, il prossimo e l’ignoto, il volto nascosto di questo minuto già fuggito, la memoria imprevedibile, i sogni e il dolore, le piume degli uccelli e le parole dei fiumi, l’acqua e la ragione, l’ascesa del sentimento, ciò che passa e ciò che rimane, ciò che si ama e ciò che è oblio, giorno e notte nella stessa luce, nella stessa ferita.

V.M.: Riporto una piccola citazione che mi piace ricordare dal suo De Sueños en el laberinto: «...quando la distanza delle mani è rotta in una battaglia di linguaggi connessi, quando tutta la vita è affondata nei sobborghi dove il non ancora nato sogna. Allora c'è poesia.» La poesia è qualcosa che avvicina anche chi è distante fisicamente, come noi due per esempio. La rete e i social network con la loro grande diffusione e facilità di contatto quale cambiamento hanno portato al linguaggio poetico?

P.E.: Il linguaggio necessariamente cambia, si adatta, si trasforma, dall'origine dei tempi, poiché la prima poesia è stata scritta sulla sabbia di una spiaggia, consapevole della sua transitorietà. Oggi è normale leggere parole di attualità: tramite whatshapp, instagram, email, skype, messanger, hangout, twitter, altrettanto normalmente possiamo leggervi una poesia, come se fossimo vicini. Siamo immersi in un nuovo momento della storia, straordinario quanto sorprendente, e i mezzi a nostra disposizione moltiplicano i lettori, moltiplicano la velocità e l’immediatezza di lettura, anche se non possono moltiplicare la qualità letteraria.

V.M.: Lei ha lavorato molto per la diffusione della poesia. È stato tradotto in 91

L’intervista è disponibile anche in spagnolo a questo link: https://drive.google.com/open?id=0BykxImN7DaeARlZOQ3JVVXRmS3M

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P.E.: Per rispondere a questa domanda vorrei usare un'immagine: quella di una foresta dove esistono diversi tipi di alberi, grossi, sottili, robusti, verdi ... Sono tutti diversi, nessuno è uguale a un altro e tuttavia ognuno di loro possiede gli stessi elementi: radici, tronco, rami, foglie. Credo nell'individualità del poeta, nella sua voce personale, che non dipende dal luogo in cui vive; certo può influenzare i temi e i contenuti che egli tratta nelle sue poesie, ma non la loro essenza, unica, senza frontiere. Credo che non ci siano differenze, ma convergenze: la vita, l'amore e la morte.

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moltissime lingue e ha portato la parola poetica in varie parti del mondo. Crede nello scambio e nella libera circolazione delle idee, nella contaminazione di diversi linguaggi artistici, ha condotto una trasmissione radiofonica sulla poesia e come poeta è molto amato e conosciuto. Quali differenze ha notato, come viene percepita la poesia negli altri paesi che ha visitato o conosciuto?

V.M.: Quale crede che sia il compito della poesia oggi?

P.E.: Se dovessi salvare uno tra i tanti possibili compiti che la poesia può assumersi oggi, sarebbe quello di risvegliare le coscienze, quello di una voce che chiama nel deserto, uno

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strumento di pace, di parole che possano far sorgere nell’uomo un cammino di unione verso fini comuni e che lo accompagnino nella sua solitudine esistenziale.

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V.M.: Quali poeti hanno ispirato la sua vita? P.E.:Mi sono interessato alla vita e alla poesie di quei poeti che mi hanno saputo avvicinare con le emozioni, quelli in cui vita e opere si sono unite in maniera intensa e creativa. Una frase, una poesia, una riflessione. Dei grandi poeti che ho conosciuto, ciò che mi ha ispirato maggiormente è stata la loro semplicità, la loro umiltà di fronte alla vita e alle persone.

V.M.: Come percepisce sia la poesia italiana? Crede che il dibattito poetico sia altrettanto vivo che nel resto d'Europa?

P.E.: La poesia italiana è in un momento importante della sua storia, come sempre lo è stata, con nomi altrettanto importanti di poeti e traduttori che condividono le loro creazioni con grande vitalità. Al momento attuale, non solo l’Europa, ma anche il resto del mondo è molto interessato ai poeti italiani. Se dovessi trovare qualcosa da obiettare direi che si avverte la necessità di nuove antologie di poeti contemporanei tradotti in spagnolo e con una buona distribuzione.

V.M.: Nella sua raccolta bilingue “Ese Filo” c'è una dedica nel titolo, poi ripresa in esergo, ai versi di uno dei più grandi poeti e drammaturghi andalusi: «Ese filo, amor, ese filo». Qual è la poesia di Federico Garcia Lorca alla quale è più affezionato e perché? P.E.: Lorca è un genio della letteratura, ho vissuto con le sue opere e la sua memoria da quando ero molto piccolo: mio nonno aveva un frutteto vicino a la Huerta de San Vincente, di proprietà della famiglia Lorca, a Granada. Ritorno sempre alla lettura delle sue poesie e dei suoi scritti, non posso scegliere

uno dei suoi versi o una delle Ritratto di Alejandro Lopez Luna sue poesie, indico le raccolte El Divan del Tamarit e Poeta a New York come i miei libri preferiti. V.M.: Qual è la poesia d'amore che ancora riesce a emozionarla? P.E.: Quella che non è ancora stata scritta, la migliore poesia d'amore è quella che sta per essere scritta.

V.M.: Recentemente è uscita una nuova pubblicazione che contiene anche i dipinti dell'artista Carmen Martinez, “Poesía para desafinados”, gradirebbe parlarcene?

P.E.: Carmen Martinez è un’artista plastica che vive a Granada e i cui dipinti sono legati in maniera creativa alle poesie del libro citato, Poesía para desafinados. Due arti unite sulla

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carta e un lavoro di collaborazione molto interessante e arricchente. Ma la poesia è sempre stata unita al resto delle arti, oggi più che mai, questa contaminazione di linguaggi dà vita a dialoghi innovativi. Per quanto mi riguarda ho sperimentato l'unione della poesia con la pittura, la musica, la ceramica, l'incisione, la fotografia, il teatro, la danza, etc.

V.M.: Grazie per aver dedicato attenzione alle mie domande, grazie per la sua squisita gentilezza e amabilità. A proposito di quella semplicità e umiltà di cui parlava poco fa… è stato piacevolissimo conversare con lei. Caro Pedro vorrebbe lasciare una poesia in dono a chi leggerà? P.E.: Voglio ringraziare Valentina Meloni per aver realizzato questa intervista, per il suo tempo e la sua sensibilità. E ai lettori desidero lasciare una poesia verso la quale nutro un affetto speciale, Ella (y sus libros), Lei (e i suoi libri). È una poesia dedicata alla Biblioteca e alle immagini poetiche che mi ispirano. Grazie. Ella (y sus libros) Ella ilumina hilos de sabiduría dormida en un silencio de madera, un rayo leve atraviesa las ventanas adivinando la luz en su presencia. Ella descubre los nombres prohibidos, inunda los aleros de lluvia y niebla, es un misterio de fuego desvelado, un milagro de gaviotas que regresan. En la ceremonia de los solitarios ella es como un océano de arena, un río desbordado en la memoria, una hora de armonía en las tinieblas. Un pulso latiendo sobre el vacío, el faro del viento embarazando velas. Ella es un átomo buscando el infinito, la fuerza de las olas siempre nuevas. Libre como un vuelo de golondrinas, como una tormenta de raíces eternas, ella huye por el limbo de los relojes siempre encendida de palabras proteicas. Amante última y primera, cristal de aire donde los fantasmas sueñan. En sus labios el enigma del poema. Traduzione: Lei (e i suoi libri) Lei s’illumina di fili di saggezza/addormentata in un ligneo silenzio, /le sue finestre sono trafitte da un esile raggio/ in cerca della luce della sua presenza.// Lei scopre nomi proibiti,/inonda le grondaie di pioggia e di nebbia,/è un mistero di fuoco svelato,/un miracolo

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di gabbiani verso il ritorno.// Alla cerimonia dei solitari/è come un oceano di sabbia,/un fiume straripato in memorie,/ un'ora di armonia nell'oscurità./Impulso battente sul vuoto,/faro di un vento che alimenta candele./Lei è atomo in cerca d’infinito,/movimento di onde sempre nuove.//Libera come volo di rondini,/come tempesta di radici eterne,/fugge dal limbo degli orologi/ sempre con parole proteiche.//Ultima e prima amante,/ cristallo d'aria dove sognano fantasmi.//Sulle sue labbra l'enigma della poesia.

Fotografia di Daniel Mordzinski

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Intervista al Maestro Guido Oldani, padre del Realismo Terminale92 A cura di IZABELLA TERESA KOSTKA93 I.T.K.: Buongiorno Maestro Oldani, innanzitutto vorrei ringraziarLa per aver accettato di partecipare a questa intervista e per la disponibilità nei confronti dei lettori che non vedono l'ora di approfondire la Sua preziosa conoscenza. Guido Oldani, fanciullo, è nato appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, muovendo i Suoi primi passi nel cuore della nebbiosa Pianura Padana ricca di risaie. Caro Guido, raccontaci un po' della tua infanzia e soprattutto spiega come è nata la passione per la scrittura. G.O.: Sono nato sulla riva del fiume Lambro, da cui prendevo il pesce durante le esondazioni e in cui intingevo i piedi durante la calura. Del resto, proprio in un fiume ho imparato a nuotare e forse, l’idea di farlo controcorrente, è diventata un archetipo della mia esistenza, pratica e teorica. La nebbia era la piscina in cui nuotava l’anima. Mi ci sono sempre trovato bene, considerandola un privilegio per il pensiero: una specie di pensatoio. La mia è una terra ricca di verde, che è, è vero, il colore della povertà ma anche quello della speranza, determinante virtù teologale. Ho imparato a conoscere e distinguere bene le stagioni fra di loro, forse per questo considero Vivaldi il maggior musicista che sia mai vissuto. Il bello della mia infanzia, mio padre era operaio, è stata la fatica disumana per conoscere adeguatamente la lingua italiana, così, già da piccolo leggevo i quotidiani giornalmente ed avevo il dizionario della lingua italiana come secondo vangelo. La passione per la scrittura nasce insieme a questa ossessione per apprendere le parole.

I.T.K.: Quali erano i tuoi "Maestri del passato" preferiti, quelli che, forse, hanno influenzato di più la tua crescita interiore e anche quella come poeta? G.O.: Ho amato molto i narratori russi dell’800, così come Stendhal de Il rosso e il nero e Sotto il sole di Satana di Bernanos, che certamente hanno fatto parte della mia crescita interiore. La poesia, invece, restando nel 900, credo debba qualcosa a Clemente Rebora, Osip Mandel stam e Il Cesare Pavese di Lavorare stanca.

I.T.K.: Hai scritto sulle principali riviste letterarie del Novecento, pubblicando nel 1985 la prima raccolta ufficiale "Stilnostro" (CENS). Quale avvenimento ha fatto nascere in 92

Intervista rilasciata a Izabella Teresa Kostka per la rivista letteraria "Euterpe" e per il blog "Verso - spazio letterario indipendente" nel Settembre 2017. 93 Izabella Teresa Kostka (Poznań – Polonia) vive e lavora a Milano. Scrittrice, poetessa, giornalista freelance, organizzatrice e presentatrice di eventi culturali tra cui "Verseggiando sotto gli astri di Milano" presso il Centro di Ricerca e Formazione Scientifica Cerifos. Ha partecipato a numerose mostre di arti visive e fotografia; per la poesia ha pubblicato nove raccolte monografiche (Granelli di sabbia, Gli scatti, Caleidoscopio, A spasso con la Chimera, Incompiuto, Peccati, Gli espulsi dall'Eden, Le schegge, Si dissolvono le orme su qualsiasi terra - Rozmywają się ślady na każdej ziemi). Tante sue liriche compaiono su varie antologie, su numerosi siti culturali e su riviste letterarie (“La Recherche”, “Euterpe”, “Bibbia d’asfalto”, "Poetry Dream". Curatrice di alcune antologie tematiche di cui il ricavato è devoluto in beneficenza.

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Te la voglia di "fare il poeta" per professione e quali erano i tuoi scopi principali come artista? Cosa intendevi trasmettere attraverso le tue opere?

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G.O.: Ho avuto familiari artisti: musicisti, scultori e pittori. Nessun letterato. Sono un uomo per la totalità. Le cose fatte con orari stability e quindi parziali mi sono sempre parse come un pressapochistico dilettantismo. Ho bisogno dei sempre e degli assoluti. Mi innamoro perdutamente solo di quello che non è in vendita e che non si può comprare. Mi piacerebbe poter credere di aver contribuito a rendere appetibile l’idea dell’interminabilità dell’esperienza umana ed artistica.

I.T.K.: Dopo "Stilnostro" (1985) sono state edite numerose raccolte poetiche tra cui "Sapone" (Kamen 2001) e "La betoniera" (LietoColle 2005), inoltre sei presente sulle pagine di alcune importantissime antologie pubblicate da Garzanti, Einaudi e Mondadori. Come è maturata la tua scrittura e quali mutamenti ha subito nel tempo? Avevi già in mente un progetto concreto riguardante la nascita di un nuovo movimento, di una fresca e "rivoluzionaria" estetica stilistica?

G.O.: La mia scrittura è fatta essenzialmente di due periodi. Il primo è quello dei gerundi e dei participi passati, che riescono a ritagliare descrizioni potenti e girare intorno alla possibilità dell’assoluto. Un’esperienza nobile quanto pericolosa, perché è come far camminare insieme la luce e le ciabatte. Il secondo periodo è quello del Realismo terminale. All’inizio non avevo progetti ma, duellando con la vita, lei ti massacra e ti fa crescere di statura ma soprattutto la vista.

I.T.K.: Nel 2010 è uscito un tuo saggio intitolato "Il Realismo Terminale", che è stato tradotto anche negli Usa. Sei considerato ideatore e padre della similitudine rovesciata e dell'appena citato "Realismo Terminale". Spiegaci meglio la genesi e il significato di questi termini, potresti focalizzare le caratteristiche principali del nuovo movimento che ha cambiato la letteratura contemporanea per sempre?

G.O.: Il termine Realismo ha mille significati. Io intendo esclusivamente quello che si ha nel terzo millennio, allorché la maggior parte degli abitanti del pianeta vivono nelle betoniere delle metropolis, in continuo mescolamento con gli oggetti, che insieme a loro si vanno accatastando progressivamente. Per Terminale si intende che i popoli si avviano a concludere il viaggio dell’ammucchiamento nelle metropoli. Questa situazione irreversibile, muta irreversibilmente noi e i nostri linguaggi, credo in tutte le arti. Credo che si diventi un po’ tutti progressivamente Realisti terminali, come tutti gli uccelli, se non sono dei tacchini, sono destinati a volare.

I.T.K.: Credi che le stilistica del R.T. possa rispecchiare pienamente i nostri tempi inquieti, aiutando a esprimere tutto il disagio e la "claustrofobica sottomissione agli oggetti" di cui siamo schiavi? È la ribellione e l'urlo del poeta oppure la naturale e progressiva trasformazione dello stile e del linguaggio? Oppure si tratta di una vera filosofia?

G.O.: Questa è una domanda molto forte, perché se da una parte ci si sottomette progressivamente agli oggetti, al contempo una parte di noi si ribella e, come per destino lieto e fatale, si va totalmente modificando la nostra comunicazione. Sicuramente ciò è anche materiale per i filosofi, anche se al momento sembra prevalere l’ignoranza volgare dei cuochi.

I.T.K.: Nel 2016 hai curato insieme a Salvatore Contessini e Diana Battaggia il volume intitolato "Verso il Realismo Terminale. Novecento non più", edito da La Casa Felice Edizioni. Un progetto coraggioso che come intento desiderava invitare i poeti all'approccio con questa stilistica. Alle selezioni degli elaborati hanno risposto molti scrittori e poeti dei nostri tempi, tra cui anche la sottoscritta: come giudichi l'antologia pubblicata? Siamo stati capaci di avvicinarci in modo soddisfacente al "nucleo" della similitudine rovesciata e del R.T.? Puoi giudicare positivamente le poesie selezionate

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oppure si percepisce soltanto una sperimentazione basata sulle linee guida del movimento?

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G.O.: L’antologia “900 non più” è stata come dissodare un terreno nel deserto, per farvi nascere una foresta. Si tratta di una esperienza naturale e significativa, che ha permesso di rinvenire testi e autori, alcuni dei quali non fatico a immaginare potranno integrarsi nel movimento, che, avendo una sua intrinseca natura dialettica, non può che vedere con molto favore questo prezioso poetare in atto.

I.T.K.: Sei sicuramente tra i personaggi di più grande rilievo letterario nazionale e internazionale dei nostri tempi. Purtroppo, come ben sappiamo, la poesia è considerata come un’arte in uno stato di profonda crisi d'identità: come consideri i poeti contemporanei italiani nel panorama europeo ed internazionale? La loro voce si distingue tra la folla oppure spariscono nel vuoto? Si può scoprire e proporre ancora qualcosa di nuovo oppure tutto è già stato "scritto e inventato"? G.O.: Temo che la poesia italiana subisca una grave ipoteca del 900. È come se non ci si rendesse conto che fra il secondo e il terzo millennio c’è di mezzo un infinito. Vedo molti poeti, persino con baldanza, essere trascinati al guinzaglio del 900. Sgombrare il cadavere del 900 dai nostri piedi è l’unica possibilità nella quale abbiamo totale fiducia, perché niente è già stato scritto e inventato di quello che abbiamo incominciato a fare insieme.

I.T.K.: Nei tempi dei social network la scrittura e la poesia sono diventate forma di un particolare esibizionismo. Scrivono quasi tutti e pubblicano on-line effettuando una vera "caccia ai like". Secondo te è la strada giusta? Qual è il tuo parere sullo sviluppo di questa forma d'arte mediatica? Ha qualche significato e valore che possa influenzare la crescita della "vera e buona scrittura "? Cosa pensi di numerosi reading, Slam Poetry e concorsi che nel nostro Bel Paese proliferano senza limite?

G.O.: C’è un fenomeno di scrittura di massa, in atto nei social network così come nella pagina. Credo che i concorsi siano sostanzialmente dannosi: una specie di dittatura del niente esercitata sul nulla. Le esperienze di slam poetry, come le altre che ho citato, vanno considerate nella loro interezza, nel loro assiepamento, nella loro moltitudine complessiva. Sono opera in sé, come il mosaico nelle arti figurative. Da queste situazioni, le singole voci devono però prendere il largo, decollando singolarmente o in piccoli gruppi di significazione. Alla fin fine, la poesia è come il respiro. Esso è individuale; un’esperienza di vita esattamente come l’arte e in particolare la poesia.

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I.T.K.: Come artista, poeta e soprattutto come Uomo, quale consiglio daresti alle giovani generazioni di esordienti? Che cosa significa "il successo e l'affermazione "? Nel mondo soggiogato dal lucro si può ancora parlare di "carriera poetica"?

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G.O.: Basta che finisca una trasmissione televisiva e il conduttore, notissimo a milioni di persone, il giorno dopo è sparito nel nulla. La poesia non ha mai avuto molto a che fare con l’esperienza finanziaria. Tuttavia, quello che so, è che vi sono poeti magari scomparsi nel disagio, ma che ricordiamo con deferenza a secoli e millenni di distanza. Non riesco a fare memoria di un solo banchiere che sia stato coetaneo dei maestri citati. Davvero incredibile la “carriera poetica”.

I.T.K.: Maestro Oldani, Ti ringrazio di cuore per il prezioso contributo che ci hai dato e credo profondamente che la Tua arte sopravviverà e continuerà a stimolare le menti dei futuri "freschi germogli" della letteratura. È stato un enorme onore e piacere ospitarTi sulle pagine di questa intervista. Ringrazio con stima e affetto per il tempo dedicato ai nostri lettori. Alla prossima volta!

Dall’altro lato del mare: Intervista a Irma Kurti A cura di LORENZO SPURIO94 L.S.: In quale città/zona dell’Albania sei nata e vissuta? Puoi raccontarci qualche episodio della tua infanzia?

I.K.: Sono nata a Tirana ma ho passato l’infanzia a Elbasan, una città situata nella zona centrale del paese. I ricordi dell’infanzia, anche se priva di tanti giochi e gioie, sono sempre coperti da un velo di nostalgia. Ricordo gli attimi in cui salivo sul palcoscenico a cantare, le domeniche quando le donne pulivano il cortile e la polvere copriva tutto, anche i nostri pensieri, le passeggiate nella via principale costeggiata dagli alberi vicino ai marciapiedi. Provo ancora una specie di ansia quando mi vengono in mente le corse che facevamo per rifugiarci nel tunnel sotterraneo davanti al palazzo per proteggerci “dall’attacco nemico”. Erano simulazioni che venivano fatte per simulare un’eventuale invasione: momenti difficili che incutevano angoscia e paura. Sentivamo la sirena dell’allarme a qualsiasi ora della notte. Ci alzavamo di fretta, i nostri genitori ci preparavano, ci vestivano come delle bambole. Eravamo addormentati e terrorizzati, ma non c’era tempo di fare domande perché dovevamo scendere velocemente. Il volume della sirena era forte ed era minacciosa, come se appartenesse a un’altra epoca. Sento ancora oggi il velocizzarsi dei battiti cardiaci di quella bambina spaventata che ero, che fissava con occhi spalancati scene reali e irreali al tempo stesso, che la circondavano.

L.S.: Che ricordo hai del tuo paese?

I.K.: Ricordi vividi e altri sfocati. Non dimentico ore e giorni interi passati al buio per la mancanza dell’energia elettrica. Il festeggiamento del Capodanno al freddo, sotto la tenue luce della candela, il terrore di vedere per strada persone armate con kalashnikov che sparavano all’impazzata, le Lorenzo Spurio (Jesi – AN, 1985), poeta, scrittore e critico letterario. Per la poesia ha pubblicato Neoplasie civili (2014), Le acque depresse (2016) e Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca (2016). Ha curato antologie poetiche tra cui Convivio in versi. Mappatura democratica della poesia marchigiana (2016). Per la narrativa ha pubblicato le raccolte di racconti Ritorno ad Ancona e altre storie (2012), La cucina arancione (2013) e L’opossum nell’armadio (2015). Per la critica letteraria si è occupato prevalentemente di letteratura straniera e ha dedicato monografie all’autore anglosassone Ian McEwan. Vari suoi saggi e contributi critici sono presenti in collettanee e volumi antologici. Ha fondato la rivista di letteratura “Euterpe” nel 2011 entrata in seno alle attività dell’omonima Ass. da lui presieduta. Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina, Presidente del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” di Jesi e Presidente di Giuria in vari premi letterari nazionali. Numerosi i riconoscimenti ottenuti in premi di poesia e saggistica. 94

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notti passate in bianco a causa dagli spari che mi uccidevano la serenità, la preoccupazione e la tristezza negli occhi dei miei genitori mentre invecchiavo anch’io con loro.

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I.K.: Una vita non vissuta direttamente, in prima linea, ma dettata dagli altri che ti infondevano perfino i pensieri. Eravamo soltanto degli automi in un sistema che ci aveva rubato l’anima. Giorni colmi di demagogia. L’arte e la letteratura erano completamente politicizzate. Nei festival, per esempio, c’era l’obbligo di presentare canzoni dedicate al partito del lavoro e al suo leader. Ciò succedeva anche con le opere poetiche. Qualche anno fa ho trovato un block notes con delle poesie scritte per un pubblico infantile durante gli anni 1986-1990. In un verso c’era scritto: “Quando ci chiama la patria/siamo tutti i suoi soldati”. E in un altro: “Ogni giorno cresciamo felici/sotto il sole del Partito”.

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L.S.: Come era la vita durante la dittatura comunista di Hoxha?

L.S.: Quali restrizioni e negazioni hai sofferto principalmente?

I.K.: Ho fatto la scuola media superiore a Tirana perché nella città natale non c’era la scuola delle lingue straniere. Il primo anno ho vissuto al convitto, ma ho dovuto abbandonarlo perché le condizioni sanitarie erano scarse: non c’era acqua calda e la qualità del cibo era scadente. Mi ha ospitato mio zio. Dormivo poco, mi svegliavo alle tre o alle quattro di notte dalle voci della gente in coda per comprare latte, uova e yoghurt. A volte chiacchieravano semplicemente, altre discutevano a chi toccava per primo il turno. Quelle voci le sento ancora. Nella camera dove studiavo e mi svegliavo senza più riuscire a dormire, si è plasmato il mio carattere. Da ragazza vivace, alla quale piaceva scherzare, imitare amici o insegnanti davanti alla classe, che prendeva l’iniziativa, recitava e cantava sul palcoscenico, sono diventata timida, riservata e malinconica.

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L.S.: Quando e perché sei giunta in Italia?

I.K.: Sono arrivata in Italia nel 2006. La procedura per ricevere il permesso di soggiorno sarebbe terminata l’anno dopo. In quel periodo a mia madre, che nel frattempo soggiornava a Bergamo, venne diagnosticata una malattia grave e così decisi di raggiungerla per starle vicino.

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L.S.: Quali sono le immagini che più ti legano al tuo paese natale?

I.K.: L’immagine più cara è il nostro piccolo appartamento a Tirana. Lì respirano i ricordi e i sogni di quando eravamo una famiglia. Non c’erano luce, acqua, riscaldamento, ma avevamo l’uno e l’altra e quel grande affetto che ci aiutava a sopravvivere nelle situazioni difficili. Penso a quell’appartamento come a un essere umano. Quando piove, nevica o in un giorno normale il mio pensiero corre lì: “Si bagneranno i vetri, il balcone cadrà a pezzi dalla nostra mancanza?”.

L.S.: Quali spazi (mare, collina, etc.) hanno contraddistinto la tua infanzia/adolescenza e quale ricordo hai di essi?

I.K.: Un palazzo a forma di L mi suscita sempre una nostalgia indescrivibile. Lì, nell’angolo, dove si incontravano le due ali della L, si trovava il mio appartamento. Dietro l’edificio si estendeva un parco immenso dove giocavamo o passeggiavo con i miei. A volte provo il desiderio irrefrenabile di andare e bussare in tutte le porte dei vicini, ma temo l’assenza di quelli che non troverò: persone care che non potrò mai più riabbracciare, perché se ne sono andate per sempre. Non avevo giocattoli, non avevo una camera tutta mia, non avevamo televisore e quando l’abbiamo comprato guardavamo un solo canale; abbiamo vissuto con poche cose, con tante carenze, ma tenevamo le porte spalancate nel vero senso della parola. Entravamo senza bussare a casa dei vicini. Quella sensazione di farne parte di una grande famiglia non l’ho più provata e credo che non la proverò mai più nella vita.

L.S.: Torneresti a vivere in Albania?

I.K.: No. Solo le situazioni della vita dovessero riportarmi lì per qualche ragione.

L.S.: L’Albania di oggi è un paese vivibile? Che futuro intravedi?

I.K.: Conosco emigrati che sono tornati o che vogliono tornare al loro paese d’origine. Conosco italiani che amano l’Albania e hanno programmato di andare a vivere lì. Tante cose sono cambiate, ma altre sono ferme o si trascinano com’erano. Anche se sono passati ventisette anni dall’apertura delle frontiere, l’economia non si è sviluppata granché, c’è tanta povertà e il sogno di tante persone resta ancora quello di emigrare. Intravedo un’Albania invasa dai turisti, a ragione delle sue bellezze naturali e genuine ma anche per l’ospitalità e la cordialità della gente.

L.S.: Cosa c’è, nell’anima del popolo albanese, nel suo modo di fare, nel suo atteggiamento che ti manca e che non c’è nel popolo italiano? I.K.: In Albania non esistono gli orari e, di conseguenza, neanche l’ansia perché si è in ritardo. La gente sta seduta per ore davanti a una tazza di caffè, il tempo non ha il valore che gli diamo in Italia e i giorni non sono così frenetici.

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L.S.: Quando scrivesti la prima poesia e perché? Ricordi di quale testo si tratta?

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I.K.: Avevo dieci anni quando scrissi la prima poesia. Quel giorno semplicemente “mi sono espressa” diversamente. La poesia era dentro di me. Mio papà faceva il medico ma era un amante della letteratura ed è stato lui a svegliare e coltivare in me la passione per la scrittura. Si trattava di una poesia dedicata ai bambini felici, come noi pensavamo di essere.

L.S.: Quando iniziasti a scrivere poesie e poi a pubblicarle, nel tuo paese natale, come vennero accolte?

I.K.: Le prime poesie vennero pubblicate sulla rivista “Pionieri” e ciò era già considerato un successo. Negli anni dell’adolescenza e dell’università iniziai a scrivere i testi musicali che vennero poi accolti molto bene: premiati dalla critica, ma soprattutto dalle persone semplici che tuttora conoscono a memoria tutti i miei versi, forse anche meglio di me. L.S.: Quali sono i poeti della tradizione classica che preferisci? Perché? I.K.: Sono cresciuta con i poeti russi: Aleksander Puskin, Sergej Esenin, Vladimir Majakovskij e altri come Adam Mickiewicz, Heinrich Heine, Mihai Eminiescu. Li ho adorati. Anche adesso mi vengono in mente i loro componimenti. I poeti letti durante l’adolescenza non si dimenticano mai perché sono legati a quel periodo in cui la vita ti sembra magica e piena di infinite possibilità. Ammiro anche le poesie di Pablo Neruda, Nazim Hikmet, Raymond Carver e Herman Hesse perché rispecchiamo il mio stato d’animo e quella malinconia che m’insegue.

L.S.: Come consideri lo stato della letteratura e della poesia albanese contemporanea? Vi sono intellettuali di spicco? Parlaci di alcuni poeti e scrittori del tuo paese che hai letto e/o conosciuto.

I.K.: La letteratura di oggi è un vero caos. Ci sono migliaia di persone che scrivono, non esiste la critica professionale e tutti si credono scrittori e poeti; questa forma è divenuta una specie di nebbia che spesso copre il valore delle opere qualitative. Le opere di Ismail Kadare, Dritero Agolli, Fatos Arapi, Fatos Kongoli sono tradotte anche in altre lingue e rimangono all’apice della classifica.

L.S.: Sei in contatto, qui in Italia, con poeti albanesi che continuano a vivere lì?

I.K.: No. Ci sono dei poeti che conosco di nome che mi contattano per avere più che altro informazioni riguardo la pubblicazione di un loro libro in italiano, ma … niente di più.

L.S.: Alcuni poeti stranieri che sono emigrati in Italia hanno deciso di continuare a esprimersi solo nella propria lingua d’origine e scrivono e pubblicano nel loro idioma, non sentendo necessità di essere tradotti in italiano. Che cosa ne pensi di questa cosa?

I.K.: Scrivono solo in madrelingua perché si sentono più sicuri. Ma spesso non hanno altra scelta: non è facile tradurre le proprie opere in italiano o trovare qualcuno che lo può fare per te; tutto ciò ha un costo.

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L.S.: Per quali ragioni, invece, tu hai deciso di pubblicare anche in italiano?

I.K.: Scrivere solo in madrelingua per me era un’esistenza a metà. Non mi sentivo integra. Avevo una marea di sensazioni e di sentimenti da condividere con la gente del paese che mi ha ospitato.

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L.S.: Nel caso delle poesie che compongono l’ultimo libro “Senza patria” (2016) queste sono nate direttamente in italiano o prima in albanese e le hai tradotte?

I.K.: Le bozze delle poesie nascono sempre in lingua albanese. Più volte mi capita di pubblicare per primo il libro in italiano. È successo così anche con la raccolta di poesie Senza patria. Ho tradotto le bozze preliminari in italiano e poi ho iniziato a elaborare le poesie. Il libro in albanese è stato pubblicato nel corso di quest’anno. Ho dovuto tradurlo dall’italiano perché le poesie erano ormai realizzate. Un po’ complicato, no?

L.S.: Ti avvali di traduttori professionisti oppure preferisci, pur con qualche aiuto e supporto, dedicarti tu alla traduzione delle tue poesie? I.K.: Non ho trovato nessuno che mi potesse aiutare con la traduzione del primo libro, Tra le due rive. Sono stata obbligata a farlo da sola. Continuo a tradurre le mie opere; ora ho più dimestichezza con la lingua e non mi sembra così difficile come nei primi anni.

L.S.: Che cosa rappresenta per te la poesia?

I.K.: Voglio citare il poeta e il filosofo libanese Khalil Gibran: “La poesia è il salvagente/cui mi aggrappo/ quando tutto sembra svanire”. Ed è così anche per me.

L.S.: Quando, invece, ricorri alla narrativa?

I.K.: La narrativa è un’esigenza che sorge quando la poesia non basta.

L.S.: Se dovessi descrivere l’Albania con tre parole quali useresti?

I.K.: L’Albania è ostaggio dei politici senza scrupoli e di un popolo inerme che guarda come spettatore lo spettacolo vergognoso di interessi e avidità che si ripete continuamente.

L.S.: E l’Italia, invece?

I.K.: L’Italia, paese di rara bellezza, ha bisogno di una classe politica onesta e di persone che lo amino di più.

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CONCORSI LETTERARI

PREMIO INTERNAZIONALE DI LETTERATURA “PER TROPPA VITA CHE HO NEL SANGUE: ANTONIA POZZI” II° EDIZIONE - ANNO 2018 Ideato e Presieduto da Caterina Silvia Fiore Con il patrocinio dei Comuni di Pasturo (LC) e Roseto degli Abruzzi (TE) si bandisce la seconda edizione del Premio Letterario Internazionale qui di seguito denominato PREMIO INTERNAZIONALE DI LETTERATURA “PER TROPPA VITA CHE HO NEL SANGUE” ANTONIA POZZI: VERTIGINE E MALINCONIA DI UNA GRANDE POETESSA - SECONDA EDIZIONE SCADENZA: 28 Febbraio 2018 LE ASSOCIAZIONI CULTURALI ELLE EMME (Roseto degli Abruzzi – TE), VERBUMLANDI-ART (Galatone – LE), EUTERPE (Jesi – AN), IL CIGNO BIANCO (Bitetto – BA), CONTRIBUIRANNO DONANDO PARTE DEI PREMI. 1. Il Premio è suddiviso in tre sezioni: a) Racconto breve inedito e edito (max 5 Cartelle) b) Poesia inedita e edita (max 30 versi) c) Videopoesia SONO ESCLUSE LE OPERE, SIA EDITE CHE INEDITE, CHE HANNO OTTENUTO RICONOSCIMENTI IN ALTRI CONCORSI 2) Modalità di Partecipazione: Gli Autori possono partecipare a tutte e tre le sezioni e per ciascuna sezione con una sola opera. La quota d’iscrizione è di 10,00 € per spese di segreteria da versare tramite versamento su Postepay n. 5333 1710 4027 5469 o IBAN: IT43L0760105138294758894765 Intestato a: CATERINA SILVIA FIORE SONO ESENTI DAL PAGAMENTO DELLA TASSA D’ISCRIZIONE LE OPERE PROVENIENTI DA STATI ESTERI Per ogni opera presentata e, nell’eventualità che lo stesso autore partecipi anche ad altre sezioni,

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le spese di segreteria saranno di 5€ per ogni ulteriore sezione. Gli elaborati dovranno pervenire in allegato anonimo, quindi contenente la sola opera e titolo, mentre nel corpo della mail dovranno essere scritti i dati anagrafici dell'autore, nome e cognome, indirizzo e numero di cellulare, TITOLO DELL'OPERA E SEZIONE, insieme alla ricevuta di versamento delle spese di segreteria e inviati al seguente indirizzo di posta elettronica antoniapozzipremio@gmail.com Il corpo della mail dovrà contenere la liberatoria per il trattamento dei dati personali in relazione alla legge sulla privacy. 3) Esclusione: La mancanza dei dati anagrafici, nonché l’assenza della liberatoria per il trattamento dei dati personali comporterà la non accettazione dell’iscrizione. Ogni elaborato deliberatamente offensivo e volgare verrà immediatamente escluso dal concorso. La Giuria: La giuria sarà composta da scrittori e poeti del panorama letterario nazionale: Lorena Marcelli (Scrittrice), Giovanni Gentile (Poeta), Lorenzo Spurio (Poeta e critico letterario), Mirella Musicco (Poetessa), Yuleisy Cruz Lezcano (poetessa). Presidente di giuria senza diritto di voto: Caterina Silvia Fiore 4) La Giuria stilerà una lista di finalisti che verranno informati personalmente dall’Organizzazione e invitati alla cerimonia di premiazione finale. Il giudizio della Giuria è insindacabile e inappellabile. 5) Premi: Per ogni sezione ci saranno un primo, un secondo e un terzo classificato. I classificati al primo posto di ogni sezione verranno ospitati gratuitamente per il pernottamento e la pensione in hotel e strutture messe a disposizione per l'evento. I premi consisteranno per le prime posizioni in targhe, coppe e onorificenze. Per le opere più meritevoli sono previsti premi speciali e menzioni di merito. ANCHE QUEST'ANNO IL COMUNE DI ROSETO DEGLI ABRUZZI DONERA' LA ROSA D'ARGENTO, SIMBOLO DELLA CITTA' DI ROSETO, ALL'AUTORE/TRICE CHE SI DISTINGUERA' PER AVER PRESENTATO UN'OPERA DI CONTENUTO AD ALTO VALORE SOCIALE. 6) Termine del concorso: Gli elaborati dovranno pervenire tassativamente entro e non oltre le ore 24 del 28 febbraio 2018 7) Premiazione: La cerimonia di premiazione si terrà sabato 16 giugno 2018 alle ore 15 nel comune di Pastura, alla presenza di autorità rappresentanti i Comuni di Pasturo e di Roseto degli Abruzzi. Precederà la cerimonia un suggestivo percorso poetico lungo le strade di Pasturo, dedicato alla grande poetessa Antonia Pozzi. Per tutte le informazioni inerenti antoniapozzipremio@gmail.com. Il www.concorsiletterari.net

il premio inviare una mail al bando può essere reperito

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2° Premio Nazionale “Novella Torregiani”

Letteratura e Arti Figurative

Indetto dalla Associazione Culturale Euterpe di Jesi Da Porto Recanati, antico villaggio di pescatori, prende origine la storia della poetessa Novella Torregiani.

L’Associazione Culturale Euterpe, con il benestare della famiglia Torregiani-Grilli e con il Patrocinio della Regione Marche, dell’Assemblea Legislativa delle Marche, della Provincia di Macerata, dei Comuni di Recanati e Porto Recanati, bandisce la seconda edizione del Premio Nazionale “Novella Torregiani” - Letteratura e Arti Figurative 2017. Il Premio, ideato da Emanuela Antonini (biologa e scrittrice), è nato con l’intento di far emergere le potenzialità creative degli artisti e segnarle all’attenzione della comunità in ambito culturale, a ricordo della poliedrica poetessa nel rappresentare l’umanità nelle molteplici espressioni artistiche.

Novella Torregiani Grilli è nata a Porto Recanati (MC) nel 1935. Insegnante elementare, si è dedicata a coltivare l’arte sotto vari aspetti: poesia, fotografia e musica. Per la poesia pubblicò Così per caso (GEV, Venezia, 1991), Oltre orizzonti (Aletti, Guidonia, 2009); in dialetto portulano pubblicò Èccheme cchi (Tecnostampa, Loreto, 1998), Magm’artis (Ibiskos, Empoli, 2006) e Stelle de maru (Simple, Macerata, 2012). Tra gli altri libri, anche Filastrocche dell’arcobaleno, (Simple, Macerata, 2006) e Novellina e la guerra (Simple, Macerata, 2013). È presente in numerose antologie marchigiane e nazionali. Per vari anni ha presieduto l’Associazione “Coro a più voci” di Porto Recanati con la quale ha organizzato recital di poesia, concorsi letterari e presentazioni di libri. È stata membro di giuria nei premi di poesia “Città di Porto Recanati” e “Poesia Estate”. Numerosi i premi letterari vinti tra i quali il Premio Letterario Dialettale Nazionale “Quinto de Martella” di Camerino (2004), il 2° Premio “Baldassarre degli Olimpi” di Sassoferrato (2004), È morta a Civitanova Marche (MC) nel 2015.

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REGOLAMENTO Al Premio possono partecipare coloro che alla scadenza del seguente bando abbiano compiuto il 18° anno di età. Non saranno accettate opere che presentino elementi razzisti, offensivi, denigratori e pornografici, blasfemi o d’incitamento all’odio, irrispettosi della morale comune e che incitino alla violenza di ciascun tipo o fungano da proclami ideologici e politici. Per inedito si intende un testo che, alla data di scadenza del Premio, non sia stato pubblicato (in formato cartaceo o e-book) da editore in volume, anche collettivo, dotato di ISBN o in rivista dotata di ISSN. Si considerano inediti quei testi comparsi su siti Internet o quelli che abbiano semplicemente partecipato, senza essere premiati, a uno o più concorsi. I lavori presentati non dovranno aver ricevuto un 1°, 2°, 3° premio in un precedente concorso letterario, pena la squalifica. La partecipazione al Premio implica l’accettazione incondizionata di tutte le norme contenute nel bando che ne regolamentano l’organizzazione e lo sviluppo. Il Premio si articola in cinque sezioni: A) Letteratura A1 – Poesia in vernacolo A2 – Poesia inedita in lingua A3 – Racconto inedito B) Arti figurative B1 – Pittura a tema “la natura oppure la pace e la solidarietà umana” B2 – Fotografia a tema “la natura oppure la pace e la solidarietà umana” Art. 1 - Sezioni Sez. A1 - Poesia in vernacolo Il concorrente partecipa con un massimo di tre poesie inedite a tema libero in formato word (Courier New, carattere 12), ciascuna di lunghezza non superiore ai 40 versi. La versione in vernacolo dovrà essere accompagnata necessariamente dalla relativa traduzione in italiano, pena la squalifica dal concorso. I testi dovranno essere privi di dati personali dell’autore pena la squalifica dal concorso. I materiali vanno inviati, congiuntamente ai documenti richiesti, a mezzo mail: premionovellatorregiani@gmail.com Sez. A2 – Poesia in lingua Il concorrente partecipa con un massimo di tre poesie inedite a tema libero in formato word (carattere Courier New, carattere 12), ciascuna di lunghezza non superiore ai 40 versi. I testi dovranno essere privi di dati personali dell’autore pena la squalifica dal concorso. I materiali vanno inviati, congiuntamente ai documenti richiesti, a mezzo e-mail: premionovellatorregiani@gmail.com Sez. A3 – Racconto: il concorrente partecipa con un solo racconto inedito a tema libero in formato word (carattere Courier New, carattere 12) di lunghezza non superiore alle 5 cartelle dattiloscritte (1 cartella= 30 righe di 60 battute). Il testo da inviare dovrà essere privo di dati personali dell’autore pena la squalifica dal concorso. I materiali vanno inviati, congiuntamente ai documenti richiesti, a mezzo e-mail: premionovellatorregiani@gmail.com Sez. B1 – Pittura a tema “la natura”: il concorrente potrà partecipa con un massimo di due opere figurative e/o non figurative a tema “la natura”, realizzate con qualsiasi tecnica. Le misure delle opere non dovranno superare cm 70x100. Gli artisti dovranno inviare almeno tre fotografie ben fatte di ciascuna opera allegando una descrizione dettagliata del dipinto e delle tecniche impiegate per l’esecuzione (in formato word). Le foto, congiuntamente agli altri documenti richiesti, vanno inviati a mezzo e-mail a premionovellatorregiani@gmail.com. Facoltativo l’eventuale sintetico profilo dell’artista. I vincitori e i finalisti del premio il giorno della premiazione dovranno portare con sé la relativa opera che verrà esposta al pubblico identificata nel retro con le

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diciture in stampatello: titolo dell’opera, nome e cognome dell’autore, descrizione della tecnica e anno di esecuzione dell’opera. Sez. B2 – Fotografia a tema “la natura”: il concorrente potrà partecipare con un massimo di tre fotografie a tema, ognuna liberamente titolata, in tecnica tradizionale o digitale. Gli scatti potranno essere in bianco e nero e/o a colori, con inquadrature sia verticali che orizzontali La risoluzione di ogni foto dovrà essere di 300 dpi e in formato JPEG. Ogni concorrente sarà responsabile delle eventuali liberatorie rilasciate dai rispettivi soggetti ripresi, liberando di fatto l’organizzazione del Premio da responsabilità e obblighi derivati (Allegato A). Le opere presentate non verranno restituite. Le immagini non conformi al regolamento non saranno prese in considerazione e dovranno essere inviate come semplici allegati, assieme alla documentazione richiesta, all’e-mail premionovellatorregiani@gmail.com. Art. 2 - Modalità e termini per la partecipazione Il materiale dovrà essere inviato entro e non oltre il 31 Dicembre 2017, unicamente a mezzo email premionovellatorregiani@gmail.com, insieme alla scheda di partecipazione, compilata in ogni sua parte in stampatello e firmata, attestazione del contributo di partecipazione. Art. 3 – Contributo di partecipazione Per prendere parte al Premio è richiesto il contributo di 15,00 € a sezione per spese organizzative. È possibile partecipare a più sezioni con un contributo aggiuntivo di 10,00€ a sezione. Per i soci della Associazione Culturale Euterpe, la cui tessera è in corso di validità per l’anno di riferimento, il contributo di partecipazione per un’unica sezione è fissato a 7,00 €. Il pagamento dovrà avvenire secondo una delle seguenti modalità:

Bollettino postale CC n° 1032645697

Intestazione: Associazione Culturale Euterpe - Jesi Causale: 2° Premio “Novella Torregiani”

Bonifico bancario IBAN: IT31H0760102600001032645697 Intestazione: Associazione Culturale Euterpe - Jesi Causale: 2° Premio “Novella Torregiani”

Art. 4 – Giuria Le Commissioni di Giuria, diversificate per le varie discipline, saranno costituite da esponenti del panorama culturale, artistico e letterario. Sezione Letteratura (Sezioni A1, A2, A3) Presidente di Giuria: Francesca Innocenzi (con diritto di voto) Commissione di Giuria: Elvio Angeletti, Michela Zanarella, Antonio Cerquarelli, Angela Catolfi e Rosanna Di Iorio. Sezione Fotografia (Sezione B1) Presidente di Giuria: Andrea Bevilacqua (con diritto di voto) Commissione di Giuria: Beatrice Conti, Stefano Regni, Enzo Morganti, Onorina Lorenzetti. Sezione Artistica (Sezione B2) Presidente di Giuria: Maria Luisa D’Amico (con diritto di voto) Commissione di Giuria: Carlo Iacomucci, Gabriele Bevilacqua, Giancarla Lorenzini, Patrizia Minnozzi. Il giudizio delle Commissioni di Giuria è definitivo e insindacabile.

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Art. 5 - Premi Per ogni sezione si provvederà ad attribuire i seguenti premi: 1° premio – Trofeo “Novella Torregiani” 2017 e diploma con motivazione della Giuria 2° premio – Targa con motivazione della Giuria 3° premio – Targa con motivazione della Giuria I primi tre classificati riceveranno la tessera di socio della Associazione Culturale Euterpe che avrà validità per l’anno 2018. In qualità di soci potranno prendere parte ad attività con varie agevolazioni: https://associazioneeuterpe.com/diventa-socio/ Verranno altresì assegnati altri premi a opere ritenute meritevoli d’encomio. Nel caso non sarà pervenuta una quantità di testi congrua per una sezione o all’interno dello stesso materiale la Giuria non abbia espresso notazioni di merito per determinate opere, l’organizzazione si riserva di non attribuire alcuni premi. Art. 6 – Cerimonia di Premiazione La cerimonia di premiazione si terrà a Maggio 2018 a Porto Recanati (MC), alla presenza di autorità ed esponenti del mondo della cultura e dell’arte, in un luogo di cui verrà data comunicazione a tutti i partecipanti con abbondante anticipo in modo da potersi organizzare. Durante la premiazione i poeti daranno lettura alle loro poesie, mentre i partecipanti alle sezioni pittura e fotografia, che avranno esposte le loro opere, potranno intervenire per spiegare le proprie esecuzioni. Tutti i partecipanti al concorso riceveranno il verbale di Giuria a mezzo mail al proprio indirizzo indicato nella scheda di partecipazione che verrà pubblicato anche sul sito della Associazione Euterpe (www.associazioneeuterpe.com), su Concorsi Letterari(www.concorsiletterari.it) e Literary (www.literary.it). I vincitori sono tenuti a presenziare alla cerimonia di premiazione; qualora gli stessi non possano intervenire, sarà possibile delegare qualcuno per il ritiro. La delega, in forma scritta e firmata dal delegante, dovrà pervenire almeno tre giorni prima della data della cerimonia all’attenzione del Presidente della Associazione scrivendo a presidente.euterpe@gmail.com . Non verrà dato seguito a deleghe pervenute a mezzo telefonico o messaggistica di Social Network o in ulteriori modalità informali. Chi non potesse intervenire e non avrà un delegato potrà ricevere il premio a casa, dietro preventivo pagamento delle relative spese di spedizione che verranno comunicate a mezzo mail all’interessato. Non si spedirà in contrassegno. Art. 7- Privacy Ai sensi del DLGS 196/2003 e della precedente Legge 675/1996 i partecipanti acconsentono al trattamento, diffusione e utilizzazione dei dati personali da parte dell’organizzazione o di terzi per lo svolgimento degli adempimenti inerenti al concorso. La partecipazione al concorso comporta automaticamente da parte dell’Autore/Artista la concessione all’Associazione Culturale Euterpe il diritto di riprodurre le opere presentate al concorso su cataloghi/volumi antologici e altre pubblicazioni che abbiano finalità di propagandare la manifestazione, senza fini di lucro. La partecipazione al Premio è subordinata all’accettazione del presente bando in ogni suo articolo, che potrà, a giudizio degli organizzatori, subire qualche variazione. Dott. Lorenzo Spurio – Presidente Ass. Culturale Euterpe Dr. Emanuela Antonini – Presidente del Premio

Scarica la scheda di iscrizione al concorso cliccando qui Info: Segreteria del Premio: premionovellatorregiani@gmail.com Associazione Culturale Euterpe: ass.culturale.euterpe@gmail.com ww.associazioneeuterpe.com - Tel. 327 5914963 Presidente del Premio, dr. Emanuela Antonini: elantonini@libero.it

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VI PREMIO INTERNAZIONALE “POESIA ASAS”- 2018 In collaborazione con Edizioni del Poggio (Poggio Imperiale – FG)

Il VI Premio Nazionale di Poesia A.S.A.S. 2018 stabilirà un unico vincitore per ciascuna delle rispettive sezioni e ulteriori Premi in base alle partecipazioni. Gli studenti che parteciperanno al Premio potranno ottenere, in accordo al parere dei rispettivi docenti, punti di credito formativi utili per la propria carriera scolastica. REGOLAMENTO: 1) - Chi ha già vinto il Primo Premio nelle due precedenti edizioni non potrà partecipare alla stessa sezione che l’ha visto vincitore, come non potranno partecipare a nessuna sezione i membri del Direttivo organizzatori, i Soci fondatori, gli ex Soci e i loro familiari. La data di adesione scade inderogabilmente il 10 dicembre 2017. 2) Il Premio è composto dalle seguenti sezioni: SEZ. A - SILLOGE POETICA INEDITA - Si può partecipare con una raccolta, di almeno 40 poesie di c. 30 versi, a tema libero con unico titolo, rigorosamente inedite (e non premiate fino all’atto della Premiazione); tutte o in lingua italiana o in dialetto, dattiloscritta in formato doc (non si accettano lavori in f.to PDF), allegando la scheda di iscrizione compilata in ogni sua parte (obbligatoria, pena l’esclusione dal concorso), inviandola sia per e-mail all’indirizzo: asas.messina@gmail.com che in cartaceo in 5 copie non firmate, alla Sede Asas di via G.B. Caruso, n.3 – 98149 Messina. SEZ. B 1- SILLOGE POETICA EDITA – Si può partecipare con una Pubblicazione di Silloge poetica, sia in siciliano, in dialetto nazionale o in italiano, allegando la scheda di iscrizione compilata in ogni sua parte (obbligatoria, pena l’esclusione dal concorso), inviandola in 5 copie (libri) presso la Sede Asas di via G.B. Caruso, n.3 – 98149 Messina. SEZ. B 2- NARRATIVA EDITA - Si può partecipare con una Pubblicazione (Racconto, Romanzo, Fiaba), sia in siciliano, in dialetto nazionale o in italiano, allegando la scheda di iscrizione compilata in ogni sua parte (obbligatoria, pena l’esclusione dal concorso), inviandola in 5 copie (libri) presso la Sede Asas di via G.B. Caruso, n.3 – 98149 Messina. SEZ. C 1- POESIA IN SICILIANO SEZ. C 2 - POESIA DIALETTALE SEZ. C 3 - POESIA IN ITALIANO – Si può partecipare con una poesia in siciliano (SEZ. C), in qualsiasi dialetto nazionale con traduzione (SEZ. D) o in italiano (SEZ. E), a tema libero inedita e non premiata fino all’atto della Premiazione, dattiloscritta in formato doc (non si accettano lavori in f.to PDF), allegando la scheda di iscrizione compilata in ogni sua parte (obbligatoria, pena

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l’esclusione dal concorso), inviandola sia per e-mail, all’indirizzo: asas.messina@gmail.com che in cartaceo in 5 copie non firmate alla Sede Asas di via G.B. Caruso, n.3 – 98149 Messina. SEZ. D 1 - POESIA IN SICILIANO STUDENTI – Possono partecipare gli studenti di scuola media di primo e secondo grado e gli studenti universitari, con una poesia in siciliano, a tema libero inedita e non premiata fino all’atto della Premiazione, dattiloscritta in formato doc o (non si accettano lavori in f.to PDF), allegando la scheda d’iscrizione compilata in ogni sua parte (obbligatoria, pena l’esclusione dal concorso), inviandola sia per e-mail all’indirizzo: asas.messina@gmail.com che in cartaceo in 5 copie non firmate alla Sede Asas di via G.B. Caruso, n.3 – 98149 Messina. SEZ. D 2 - POESIA IN ITALIANO STUDENTI - Possono partecipare gli studenti di scuola media di primo e secondo grado e gli studenti universitari, con una poesia in italiano, a tema libero inedita e non premiata fino all’atto della Premiazione, dattiloscritta in formato doc (non si accettano lavori in f.to PDF), allegando la scheda di iscrizione compilata in ogni sua parte (obbligatoria, pena l’esclusione dal concorso), inviandola sia per e-mail all’indirizzo: asas.messina@gmail.com che in cartaceo in 5 copie non firmate alla Sede Asas di via G.B. Caruso, n.3 – 98149 Messina. SEZ. E – RACCONTO INEDITO – Si partecipa con un solo racconto, inedito e non premiato fino all’atto della Premiazione, a tema libero in formato word (Times New Roman; carattere 12; interlinea 1,5) di lunghezza non superiore alle 5 cartelle dattiloscritte (1 cartella = 30 righe di 60 battute).

Uno scorcio di Messina, dove ha sede il Premio Asas 3) Soltanto i poeti che parteciperanno al Pranzo conviviale, saranno inseriti nel Recital Poetico, che si svolgerà nella mattinata del giorno della Premiazione e sarà premiata, con Targa, la migliore Recitazione. 4) Non è richiesta obbligatoriamente una quota di adesione, ma si accettano contributi volontari liberi accreditabili sulla Postpay n 4023 6009 4374 2538 o su IBAN: IT

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Aperiodico tematico di letteratura fondato nell’ottobre 2011

Tema del numero: “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura straniera”

ISSN: 2280-8108 N° 25/ Novembre 2017

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Sito: www.rivistaeuterpe.blogspot.com E-mail: rivistaeuterpe@gmail.com

50A0306967684510330114417 intestati al presidente Asas Flavia Vizzari Chi desidera realizzato l’Attestato di Partecipazione può richiederne la stampa al costo di € 3,00. Il costo e il luogo del Pranzo conviviale verrà comunicato successivamente. 5) I nomi dei membri di Giuria e i Vincitori saranno noti soltanto all’atto della Premiazione che si svolgerà nel mese di maggio. La Giuria potrà decidere di non designare vincitori per una o più Sezioni, nel caso di insufficienza di partecipanti, ed esprimerà le proprie valutazioni tenendo conto di: a) valore dell’idea ispiratrice: b) elaborazione tematico-strutturale; c) valenza poetica; d) efficacia della comunicazione emotiva. 6) I Premi dovranno essere ritirati personalmente o per Delega inviata per email alcuni giorni prima; non ci assumiamo oneri di spedizione alcuna se non per e-mail. 7) Le richieste incomplete e con scheda parzialmente compilata, con elaborati non anonimi e riportanti i nominativi o motti o altri segni, risultanti già vincitori o partecipanti in concomitanza ad altri Premi, che presentano elementi razzisti, blasfemi, denigratori, di offesa alla morale e al senso civico o che fungano da proclami partitici e politici saranno, senza avviso, accantonate e non accettate. 8) La partecipazione al Premio impli ca la conoscenza e l’accettazione del presente regolamento che potrà essere modificato in base alle necessità. È gradita la diffusione del Bando; chi partecipa è invitato a compilare la scheda inserendo anche il nominativo di chi l’ha portato a conoscenza del nostro Evento

Presidente A.S.A.S. FLAVIA VIZZARI

Segretario A.S.A.S. LUIGI TERRANOVA

Vice Presidente A.S.A.S. PIER PAOLO LA SPINA

I PRIMI PREMI CONSISTONO IN:

1- "Pubblicazione gratuita" consistente nella stampa con Codice ISBN di n°200 copie della Silloge vincente, di cui n°70 copie saranno date in omaggio all’autore, n°30 copie all’Asas e n°100 copie resteranno a disposizione delle Edizioni del Poggio per promozione e vendita on-line. La pubblicazione non potrà essere superiore alle 100 pagine e sarà edita con un prezzo al pubblico di € 7,50 avendo le caratteristiche delle precedenti edizioni delle Sillogi del Premio Poesia Asas.

(L’impostazione grafica dell’insieme della Silloge e la copertina saranno di opzione esclusiva dell’associazione Asas e dell’editore e socio onorario Asas Peppino Tozzi e non dell’autore).

Le Sillogi del Premio Poesia 2013, 2014, 2015, 2016 e 2017: “Quel bisogno d’infinito”, “L’Attesa”, “Oltre i silenzi” e “Canti tra lammichi e ’ncanti” rispettivamente dei poeti Angela Viola di Messina; Maria Teresa Landi di Lucca; Grazia Finocchiaro di Firenze; Salvatore Gaglio di Agrigento e “Nella quiete dei coralli” di Teresa Riccobono di Palermo, si possono vedere al nostro Sito: www.associazioneasas.jimdo.com e acquistare direttamente dall’editore (info@edizionidelpoggio.it) o in libreria.

2 - Trofei; 3 - Targa Associazione culturale Euterpe di Jesi (AN); 4 - Targhe e altri Premi anche di valore con possibilità, in caso di Sponsor, di Premi in Denaro.

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2° CONCORSO LETTERARIO “CITTA’ DI CHIETI”

Tema Tema del del numero: internazionali ee la straniera” numero: “Autori “Autori internazionali la loro loro influenza influenza nella nella letteratura letteratura straniera”

ISSN: ISSN: 2280-8108 2017 N° 25/ 2280-8108 N° 25/ Novembre Novembre 2017

Rivista Rivista di di Letteratura Letteratura Online Online “Euterpe” “Euterpe”

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Aperiodico Aperiodico tematico fondato nell’ottobre nell’ottobre 2011 tematico di 2011 di letteratura letteratura fondato

Ideato, fondato e promosso dalla poetessa Rosanna Di Iorio

Il Concorso “Città di Chieti” è organizzato dalla Poetessa teatina Rosanna Di Iorio con la collaborazione della Associazione Culturale Euterpe di Jesi (AN) e del Centro Culturale Smile di Vallecrosia (IM). E’ patrocinato dal Comune di Chieti, dalla Provincia di Chieti, dalla Regione Abruzzo e regolamentato dal presente bando. Art. 1 – Sezioni Possono partecipare cittadini italiani o stranieri maggiorenni con testi rigorosamente in lingua italiana. Non verranno accettati testi in altre lingue o in dialetto, anche se provvisti di relativa traduzione. Le sezioni di partecipazione sono: Sezione A – Poesia inedita o edita a tema libero Sezione B – Racconto inedito o edito a tema libero Le poesie ed i racconti presentati al concorso non dovranno aver ottenuto un riconoscimento nei primi tre posti in precedenti premi letterari. Art. 2 – Esclusione Non saranno accettate opere che presentino elementi razzisti, offensivi, denigratori e pornografici, blasfemi o d’incitamento all’odio, irrispettosi contro la morale comune e che incitino alla violenza di ciascun tipo o che fungano da proclami ideologici e politici. Art. 3 – Requisiti Sezione A – Il partecipante prende parte al concorso con un testo poetico di lunghezza non superiore ai 35 versi ciascuno senza conteggiare il titolo. Ogni componimento dovrà essere provvisto di titolo e dovrà essere anonimo, pena l’esclusione. Sezione B – Il partecipante prende parte al concorso con un unico racconto di lunghezza non superiore le 4 cartelle editoriali (una cartella editoriale corrisponde a 1800 battute). Il racconto dovrà essere provvisto di titolo, dovrà rispettare i limiti di lunghezza e dovrà essere anonimo, pena l’esclusione. Art. 4 – Contributo di partecipazione per spese organizzative: € 10,00 (prima opera poesia- racconto) € 5,00 (per ogni poesia successiva) È possibile partecipare a più sezioni corrispondendo la relativa quota. Tale contributo potrà essere effettuato tramite Bonifico sul Conto Corrente Banco Posta IBAN: IT37X0760105138261042261053 intestato a Di Iorio Rosanna; causale: contributo II Edizione “Premio Città di Chieti” o in contanti da allegare con la documentazione cartacea.

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Tema del numero: “Autori internazionali e la loro influenza nella letteratura straniera”

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Art. 5 – Scadenza ed invio Per la corretta partecipazione, si dovrà inviare entro e non oltre la data di scadenza fissata al 28 febbraio 2018, il materiale all’indirizzo internet premio.cittadichieti@libero.it Le poesie/i racconti in forma anonima in formato Word (.doc o .docx), ciascuno su un file distinto La scheda di partecipazione appositamente compilata in ogni sua parte La ricevuta del versamento Contestualmente per e-mail, come di seguito indicato, si dovranno inviare per posta cartacea le poesie/il racconto in numero di 6 copie in forma anonima, la scheda dei dati e la ricevuta di pagamento o il contante del contributo di segreteria. La scheda dei dati e il contributo, in quest’ultimo caso, dovranno essere inseriti in un’ulteriore busta chiusa all’interno del plico. Il tutto dovrà essere inviato a: Concorso Letterario “Città di Chieti” c/o Sig.ra Rosanna Di Iorio Via F. Salomone, 115 66100 - CHIETI Si prega di non inviare il materiale per raccomandata. Art. 6 – Commissione di Giuria La Commissione di Giuria è composta da esponenti di spicco del panorama letterario nazionale: Francesco Mulè (Presidente Onorario del Premio) Lorenzo Spurio (Presidente di Giuria) Elvio Angeletti (Poeta) Lucia Bonanni (Poetessa, Scrittrice e critico letterario) Giuliana Sanvitale (Poetessa e scrittrice) Vittorio Verducci (Poeta, Scrittore) Il giudizio della Giuria è definitivo ed insindacabile. Rosanna Di Iorio (Presidente del Premio - senza diritto di voto) Art. 7 – Premi I premi, per ciascuna sezione, saranno così ripartiti: 1° Premio – 300€, targa e diploma con motivazione 2° Premio – 200€, targa e diploma con motivazione 3° Premio – 100€ targa e diploma con motivazione Premio Chieti – targa e Diploma Premio della Critica – targa e diploma Premio del Presidente di Giuria – targa e diploma Menzioni d’onore – diploma L’Associazione Culturale Euterpe e il Centro Culturale SMILE metteranno in palio un premio speciale definito “Targa Euterpe” e “Targa SMILE” che verranno conferiti a un partecipante che si è distinto particolarmente. A sua discrezione la Giuria potrà provvedere all’attribuzione di ulteriori premi per opere ritenute meritevoli d’encomio. Nel caso non sarà pervenuta una quantità di testi congrua per una sezione o all’interno dello stesso materiale la Giuria non abbia espresso notazioni di merito per determinate opere, il Presidente del Premio può decidere di non attribuire alcuni premi.

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Art. 8 – Premiazione La premiazione si terrà il 26 Maggio 2018 alle ore 16:30 a Chieti Centro presso una sala del Comune di Chieti - Piazza San Giustino. Si è scelta questa data per farla coincidere con il Maggio Teatino, in cui si susseguiranno una serie di eventi con spettacoli musicali, culturali, sportivi, di solidarietà e di tradizione, per la crescita del territorio di Chieti, organizzato dal Comune con il supporto delle tante associazioni teatine. Queste manifestazioni si protrarranno lungo tutto il mese di maggio, per concludersi ai primi di giugno con l’ormai consolidata Festa dei Popoli, con il preciso intento di valorizzare la storia e il patrimonio della città e quello delle tradizioni del Maggio Teatino. E’ un anno ricco di eventi in cui si festeggia anche il Bicentenario del Teatro Marrucino di Chieti con un contributo dal ministero per i Beni, Attività Culturali e Turismo. Duecento anni che lo hanno reso fulcro della vita culturale abruzzese e lo hanno fatto assurgere a un ruolo di prim’ordine nella storia del teatro italiano. Il teatro è stato già inaugurato il 30 Ottobre 2017 con la prima del dramma giocoso della Cenerentola di Gioacchino Rossini per la regia di Michele Mirabella, opera tornata dopo due secoli lì dove aveva cominciato, fra tanti applausi. È richiesto ai vincitori e a tutti quelli che lo desiderano di partecipare alla cerimonia di premiazione. In caso di impossibilità ad intervenire potranno delegare una persona di fiducia che dovrà darne comunicazione al Presidente una settimana prima della premiazione. I premi - eccettuati quelli in denaro - potranno essere spediti a domicilio ai rispettivi vincitori, dietro richiesta esplicita e comunque a loro spese. Verranno informati dei risultati i vincitori e i menzionati in tempo utile per poter partecipare alla premiazione. I risultati del Premio saranno comunque visibili sulla pagina Facebook “Premio Città di Chieti”, sul Sito letterario “Alla Volta di Leucade” del Prof. Nazario Pardini e saranno diramati attraverso la stampa nazionale e ogni altro veicolo di informazione. Art. 9 - Privacy Ai sensi del DLGS 196/2003 e della precedente Legge 675/1996 i partecipanti acconsentono al trattamento, diffusione ed utilizzazione dei dati personali da parte dell’organizzatore e della Associazione Culturale Euterpe di Jesi e Centro Culturale SMILE di Vallecrosia per lo svolgimento degli adempimenti inerenti al concorso e altre finalità culturali afferenti. La partecipazione al Premio è subordinata all’accettazione del presente bando comprensivo di 9 (nove) articoli che potrà, in caso di necessità ed al solo giudizio dell’organizzatore, subire qualche variazione. Nel quale caso a tutti i partecipanti verranno fornite con ampio preavviso tutte le indicazioni circa la premiazione. Rosanna Di Iorio – Presidente del Premio Lorenzo Spurio – Presidente di Giuria Osvaldo Riccioletti – Segretario del Premio

Info: premio.cittadichieti@libero.it Tel. 0871-456000

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La Associazione Culturale Euterpe di Jesi…

Da sinistra i Consiglieri Stefano Vignaroli, Franco Duranti, Alessandra Montali, Elvio Angeletti; il Socio Onorario Dante Maffia, il Consigliere Vincenzo Prediletto, il Presidente della Ass. Lorenzo Spurio, l’Assessore alla Cultura del Comune di Jesi dott. Luca Butini e la Consigliera Gioia Casale.

Leggi e scarica il Vademecum delle attività della Ass. cliccando qui! L’Associazione Culturale “Euterpe”, che trae il nome da una delle divinità classiche collegate alla musica e alla poesia, è nata nel marzo del 2016 a Jesi (AN) per volere di un gruppo di poeti, scrittori, critici e amanti dell’arte e della cultura a tutto tondo. Essa è stata fondata da Lorenzo Spurio (poeta, scrittore e critico letterario), Susanna Polimanti (scrittrice, recensionista, haijin), Elvio Angeletti (poeta), Vincenzo Prediletto (critico letterario, giornalista freelance), Lucia Spurio, Gioia Casale (scrittrice), Alessandra Montali (scrittrice), Stefano Vignaroli (scrittore), Franco Duranti (scrittore e poeta), Oscar Sartarelli (scrittore e poeta) e Marinella Cimarelli (poetessa e scrittrice). Sono stati creati per meriti Soci Onorari dell’Associazione Marco Bordini (poeta vernacolare jesino), Giovanni Filosa (giornalista), prof. Armando Ginesi (critico d’arte), Alessandro Nani Marcucci Pinoli di Valfesina (poeta, scrittore, artista) e Asmae Dachan (poetessa e giornalista italo-siriana).

Come recita lo Statuto (Art. 2):

1. L’associazione si prefigge lo scopo di favorire e valorizzare le forme del pensiero attraverso la libera circolazione delle idee e la diffusione della cultura artistico-letterario-musicale. 2. Essa si propone di diffondere e promuovere in ogni settore, nazionale e internazionale, tutte le discipline dell’arte, della musica, della cultura e letteratura, volte ad una migliore comprensione dei problemi del mondo attuale, con particolare attenzione alla poesia in dialetto, agli ambiti popolari, storici, etnoantropologici di Jesi, della Vallesina, della Provincia di Ancona e dei territori limitrofi Nazionali. L’Associazione è motivata dalla volontà degli associati di essere luogo d’incontro, d’aggregazione e di scambio nel nome degli interessi culturali assolvendo alla funzione sociale di maturazione, crescita umana e civile attraverso l’ideale dell’educazione permanente,

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promuovendo una maggiore consapevolezza dei cittadini sul valore sociale e civile dell’arte, puntando sul recupero di una dimensione integrata tra soggetto e società. 3. A tale fine l’Associazione potrà porre in essere ogni iniziativa utile per il raggiungimento degli scopi sociali, anche in collaborazione con comitati e associazioni, enti pubblici e/o privati, organizzando: eventi culturali ed artistici, spettacoli, concerti, mostre, conferenze, convegni, seminari, corsi, laboratori di scrittura, concorsi e premi letterari, recital poetici, tavole rotonde, incontri tematici, presentazioni di libri, declamazioni in luoghi pubblici, cineforum, nonché iniziative di volontariato e di solidarietà sociale in genere, utilizzando mezzi diversi. In via non prevalente, per il raggiungimento degli scopi associativi, l’Associazione potrà anche promuovere campi di lavoro-studio, organizzare viaggi ed iniziative di carattere editoriale, con particolare riguardo a favore dei soci in attività di editing, recensioni, prefazioni, introduzioni a testi di soci e non, pubblicazione di antologie di premi letterari ed altri lavori collettivi derivanti da attività ed incontri promossi. 4. Le attività culturali, editoriali, di ricerca, didattiche e di formazione dell’Associazione, e le sue finalità sono ispirate a principi di pari opportunità tra uomini e donne e rispettose dei diritti inviolabili della persona. 5. Tutto ciò potrà essere reso sia dall’associazione direttamente (soci e altri soggetti a essa riconducibili) sia attraverso la collaborazione con enti terzi di qualsiasi tipo e nazionalità.

Principali attività svolte sino a oggi Prosecuzione della pubblicazione di numeri di argomento tematico della rivista di letteratura “Euterpe” (nata nell’ottobre 2011 fondata da Lorenzo Spurio), aperiodico gratuito online: www.rivista-euterpe.blogspot.com Indizione del Concorso di racconti “Storie in viaggio” (ideato da Gioia Casale e presieduto da Alessandra Montali) giunto alla 2° edizione. Indizione del Premio Nazionale “Novella Torregiani” – Letteratura e Arti Figurative (ideato dal Emanuela Antonini) giunto alla 2° edizione Prosecuzione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, ideato, fondato e presieduto da Lorenzo Spurio, giunto alla 6° edizione: www.arteinversi.blogspot.com Antologia di poesie e racconti a tema “il mar Adriatico” a sostegno dell’Istituto Oncologico Marchigiano. Progetto “Sapori tra le righe” sostenuto dal Comune di Jesi: ciclo di conferenze su alcuni alimenti trattati dal punto di vista letterario, storico e della produzione (Autunno 2017). Antologia di poesie e racconti L’amore al tempo dell’integrazione, PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino, 2016 (a sostegno dell’Istituto Oncologico Marchigiano). Organizzazione di presentazione di libri, recital poetici, conferenze di storia e di letteratura, incontri tematici, poetry slams, mostre fotografiche e pittoriche, convegni sul dialetto,… Raccolte libri: per la Biblioteca dell’Istituto Neurologico Nazionale “Casimiro Mondino” di Pavia (2016); per la fondazione della nuova biblioteca comunale di Pieve Torina (MC) distrutta dal recente terremoto. L’Associazione collabora con altre associazioni culturali (soprattutto sostenendo moralmente i rispettivi premi letterari) che perseguono finalità culturali e benefiche comuni, tra di esse la Ass. Le Ragunanze di Roma, la Ass. Verbumlandi-art di Galatone (LE), la Ass. Centro-Insieme Onlus di Scampia (NA). L’Associazione ha ideato, organizzato e promosso eventi culturali a Jesi e nella provincia di Ancona, Pesaro, Porto Recanati (MC), Cingoli (MC), Tolentino (MC), Palermo, Bagheria (PA) e Caltanissetta. Notizie inerenti alle attività della Associazione sono state pubblicate su quotidiani e riviste cartacee e online. Tra di esse i giornali locali “Corriere Adriatico”, “Resto del Carlino”, “Vivere Jesi”, “La Voce della Vallesina” (Jesi), “Leggo Password”, “Ancona Today”, “La Voce Misena” (Senigallia), “Vivere

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Rivista di Letteratura Online “Euterpe”

Sito: www.rivistaeuterpe.blogspot.com E-mail: rivistaeuterpe@gmail.com

Senigallia”, “Senigallia Notizie”, “Vivere Fano”, “La Prima Web Tv”, “Il Cittadino di Recanati”, “L’indiscreto” (Macerata), “Emmaus” (Macerata), “Civetta.tv” (Fabriano), “Marche News 24”, “Cronache Fermane”, “Cronache Maceratesi”, “Picchio News” (Macerata), “Vivere Fabriano”, “Giramarche”, “The Marche Experience”, “L’eco”, “Centro Pagina”, “Lario News” (Lecco), “Lecco News”, “Il Vostro Giornale” (Savona), “Latina H24”, “Chieti Today”, “ll Giornale di Montesilvano”, “Io Abruzzo”, “Tele Aesse” (Alto Sannio), “Ok Mugello”, “Lente Locale” (Calabria), “Nta Calabria”, “Riviera Online” (Calabria), “Eco della Locride”, “Corriere Salentino”, “Il Paese Nuovo” (Lecce), “Buongiorno Alghero”, “Palermo Viva”, “Soverato Web”, “L’Esuberante” (Catanzaro).

Ammissione alla Associazione Chi intende associarsi deve compilare il modulo di iscrizione (scaricabile cliccando qui) e inviarlo a ass.culturale.euterpe@gmail.com assieme alla attestazione del pagamento per la scheda sociale. La quota sociale per l’anno 2017 è così stabilita: 15€ (QUINDICI EURO) per gli adulti e 10€ (DIECI EURO) per i giovani sotto i 30 anni di età. Il pagamento della quota può avvenire mediante una delle seguenti modalità:

Bollettino postale

CC Postale n° 1032645697 Intestato ad Associazione Culturale Euterpe Causale: Quota sociale 2017 – NOME e COGNOME della persona

Bonifico bancario

IBAN: IT31H0760102600001032645697 Intestato ad Associazione Culturale Euterpe Causale: Quota sociale 2017 – NOME e COGNOME della persona L’Associazione confermerà a mezzo mail l’avvenuta ricezione dei materiali e provvederà all’iscrizione nel Libro dei Soci provvedendo altresì all’invio a mezzo posta cartacea della relativa tessera di Associato.

Agevolazioni per gli associati      

Diritto alla pubblicazione di un proprio testo (poesia, racconto, saggio o recensione, in linea con le linee guida della Redazione) sui vari numeri della rivista “Euterpe”. Sconto sul contributo di partecipazione al Premio Nazionale “Novella Torregiani” – Poesia ed Arti Figurative (sez. poesia, fotografia e pittura) Sconto sul contributo di partecipazione al Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, (sez. poesia in lingua, poesia in dialetto, haiku, critica poetica) Partecipazione scontata o gratuita (da definire volta per volta) in eventuali attività o eventi a bigliettazione. Proposta di accoglimento della presentazione al pubblico di un proprio libro con tempistiche e modalità che dovranno essere vagliate dal Consiglio Direttivo. Partecipazione consultiva in sede assembleare. Diritto ad avanzare proposte per la realizzazione di eventi, attività culturali e a promuovere iniziative in collaborazione con altri enti associativi anche di altre realtà geografiche, in ordine di stabilire sinergie e ponti culturali ed artistici a livello nazionale.

INFO: www.associazioneeuterpe.com ass.culturale.euterpe@gmail.com Tel: (+39) 327-5914963 - Pagina FB

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