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ANTONIETTA FLORIO – Recensione de L’atto creativo in Baudelairedi Silvia Peronaci

Una sezione molto convincente, epifanica, è La porta semichiusa, dove incontriamo L'Aquila, Calcinaia, Vagliagli, Norcia, Querceto e, in due versi, Lilo, il falegname che "ti stringe con mani ruvide". Siamo di fronte, come dice Giovanni Bonacci nella sua introduzione, a "un evidente atto d'amore nei confronti della parola poetica e di ciò che di essa resiste, nonostante tutto, nel tempo".

E non possiamo non concordare anche con il compianto Gabriele Galloni, che parla di "voce fuori dal coro", di libro "anomalo" e "bruciante" che trova il suo momentaneo punto di equilibrio nello haiku (nella sezione Archeologica. Oltre lo specchio).

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Per il poeta, si sa, è sempre in agguato "l'abisso di un foglio", e la sfida delle "parole farsi sabbia, / farsi soglia/ tra le mani"; la poesia però, alla fine, viene alla luce e riesce a restituire l'insopprimibile rumore di fondo della vita "L'infinito / ronzio delle braci, / di tutto quello che sempre e da sempre vive sotto...".

Arlecchini di stracci, pulcinella di nuvole e sangue. Siamo luoghi, inesplorati e già visti. Amori e passioni. Ritratti in bianco e nero, voci in processione; di professione "facciamo versi", forse per ricordare agli altri, ma soprattutto a noi stessi, davvero chi siamo.

Errando nell’immaginazione: L’atto creativo in Baudelairedi Silvia Peronaci Recensione di ANTONIETTA FLORIO165

Non vi è alcun metodo più sicuro per evadere dal mondo che seguendo l’arte, e nessun metodo più sicuro di unirsi al mondo che tramite l’arte. (J. W. GOETHE)

Il «poète maudit», il poeta dello Spleen e Idéal, l’autore di Fleurs du mal, il precursore della modernità: tutto questo è Charles Baudelaire. Ma non è solo questo. Come evidenzia Silvia Peronaci nell’essai philosophique intitolato L’atto creativo in Baudelaire, edito dalla casa editrice Solfanelli nel 2020, nell’individuo-Baudelaire si cela un’ulteriore polarizzazione tra «esistenza costruita, perfetta ma impersonale, ed esistenza vissuta, imperfetta ma personale».

Tale approccio ermeneutico stabilisce una liaisontra l’arte e la fenomenologia, entro i confini della quale si evince quanto l’espediente artistico sia uno strumento di studio, ricerca e comprensione della realtà, in modo da fare di essa il proprio “habitat” poetico. Detto

165 ANTONIETTA FLORIO (Foggia, 1993) si è laureata in Lingue all’università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara. È autrice del saggio filosofico La gnoseologia di Marsilio Ficino. Conoscere attraverso la creatività dell’«imaginatio-phantasia» (2021). Per «Bérénice», rivista semestrale di studi comparati e ricerche sulle avanguardie, ha pubblicato «La Mail Art tra Futurismo e Inismo» di Eugenio Giannì.

altrimenti, l’ambivalenza di Baudelaire, il quale da un lato vuole rifuggire l’esperienza, «atto geometricamente costruito» e dall’altro desidera conoscerla, «atto fenomenologicamente vissuto» non scaturisce dalla contemplatio. Al contrario, essa testimonia dell’agire umano e della sua libertà, della vita activa, come recita il titolo dell’omonimo saggio di Hannah Arendt. Onde ne deriva un dissidio di natura filosofica tra l’anima e il corpo, tra il bene e il male, un’antitesi tra la realtà vera e la realtà della mente, tra pathose lògos, tra etica ed estetica, che tuttavia conservano nell’arte, e attraverso di essa, il carattere unitario dell’esperire.

Parlare dell’atto creativo in Baudelaire significa sondare gli abissi della sua vita, entrare in contatto con il senso di sradicamento che lo attanaglia. Vuol dire, ancora, toccare con mano la souffrance che obnubila la sua anima (si concretizza, dunque, il concetto di Edith Stein di “simpatia riflessiva), e che solo con la scrittura, quale «paradiso artificiale», processo di katharsise di auto-rigenerazione, può, se non spazzare via, quantomeno diradare.

Eppure è nell’inferno dell’abitacolo terrestre che l’autore di Fleurs du malsi sente vivo e padrone di sé. Tanto dotato di bon sens, quanto più accetta con stoico atteggiamento il “male di vivere”, consapevole sì dell’inestimabile valore della vita, ma anche della caducità, della deperibilità e transitorietà della sua natura. Il tutto trova una mirabile sintesi, confermandola, nel dualismo citato in apertura tra esistenza costruita ed esistenza vissuta.

Nella prima il soggetto costruisce il réel sulla base delle sue idee (“atto creativo meccanicistico) e lo rinchiude in simulacri confortanti, ma illusori, crogiolandosi nell’apparenza. In tal caso l’arte è una via d’uscita, uno strumento di difesa.

Nella seconda, invece, cioè nell’esistenza fenomenologicamente vissuta, egli è in balìa della sorte, sale sull’altalena delle gioie e dei dolori, guarda in faccia il mondo, ne scorge, per quanto tragica e informe, l’essenza, rinunciando a qualsivoglia progetto di idealizzazione. Qui, l’ars è al servizio della realtà, è «vero e proprio atto esistenziale», è azione e non reazione.

La creazione è a un tempo actio transiense actio immanense va di pari passo con il sentire. È Baudelaire stesso a rendersene conto, a sperimentare sulla propria pelle che l’evasione verso il bene è irrimediabilmente cancellata dalla virulenza con cui la dolorosa realtà gli impedisce di fuoriuscire da sé e dal mondo, di trascendere la perturbatioinsita nell’esistenza. Tornare in sé, riappropriarsi di sé e riconoscersi implica un percorso che non può affatto edificarsi sull’illusione ingannatrice e ammaliatrice, dunque ex nihilo, ma necessita di un appoggio solido, una base granitica.