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FAUSTA GENZIANA LE PIANE – “Arthur Rimbaud, un vagabondo nato”

positivo, cioè logico, né scientifico, cioè funzionalità né psicanalitico ossia narrativa e teoria delle proiezioni, né micro-costruzioni sociologiche ossia ideologie prosaiche. Distinguere l’apertura futura non detta e non pensata dell’uomo, capire che la nostra epoca non ci appartiene, come una proprietà nostra ma invece che siamo noi che apparteniamo ad essa come se fossimo suoi figli, in un’apertura culturale e poetica, in una produttività sociale e divergente.

Per questo dobbiamo essere aperti al fascino del tutto- nulla, provando sia il tutto che il nulla. Il gioco del mondo si fa da quando il mondo è mondo e fino alla fine del mondo con questo disperante ritardo che è l’eredità delle redenzioni. La questione che si pone è come rispondere simultaneamente alla corrente sotterranea che si muove all’ombra nello spazio-tempo e all’orizzonte degli orizzonti lontani che si procura le sue luci.

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Arthur Rimbaud, un vagabondo nato di FAUSTA GENZIANA LE PIANE113

Se si parla di fuga, non si può non parlare di Arthur Rimbaud. L’esercizio della poesia, che – dai Parnassiani a Baudelaire – aveva dato luogo a concezioni estetiche varie, anche opposte, diventa, con Arthur Rimbaud, decisamente una intensa avventura spirituale.

Nato a Charleville (Ardenne) nel 1854 e cresciuto in un ambiente familiare limitato e provinciale (sua madre – figlia di agricoltori di Roche - è una donna autoritaria e bigotta, presto abbandonata dal marito, capitano del 47° reggimento di fanteria), il giovane Rimbaud, la cui intelligenza è straordinariamente precoce (a quindici anni con facilità traduce versi latini), rifiuta ogni conformismo e rivela una natura indocile e vagabonda: “La mia città natale” – scrive ad un amico – “è di gran lunga la più idiota di tutte le cittadine di provincia”. Così, è certamente in questo stato di spirito che fugge, a sedici anni, per recarsi a Parigi e poi a Bruxelles. È il periodo (1869-1870) delle sue prime poesie che sono già notevoli da tutti i punti di vista.

Nel 1871, anno di nuove fughe a Parigi, invia all’amico Paul Demeny una celebre lettera in cui annuncia la sua idea di poesia: “Il poeta” - scrive – “si fa veggenteattraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza ditutti i sensi”. Per fare ciò, deve sperimentare “tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia”. Ecco perché scrive a Georges Izambard: “Ora io diventerò canaglia (questa parola rimabaldiana deriva da “crapula”, gentaglia, plebaglia, mascalzone, farabutto) il più possibile”. Rimbaud è dunque pronto per l’avventura.

Alla fine del mese di agosto del 1871 inizia la corrispondenza con Verlaine (che allora aveva ventisei anni), al quale invia alcune sue poesie. Verlaine non è ancora celebre, ma è tuttavia conosciuto negli ambienti parnassiani e invita il suo giovane amico (“Venite, cara grande anima, vi chiamiamo, vi aspettiamo!”) che non aspetta altro per andare ancora una volta a Parigi. Porta altre poesie tra le quali Le Bateau ivre .

113 FAUSTA GENZIANA LE PIANE (Nicastro, CZ, 1941) vive e lavora a Roma. Laureata in Lingue, ha insegnato francese e ha vinto una borsa di studio per la Romania. Ha curato le schede di lingua francese per la grammatica italiana comparata di Paola Brancaccio e adattato classici francesi per la scuola superiore. Per la poesia ha pubblicato i libri Incontri con Medusa, LaNotte per Maschera, Gli steccati della mente, Stazioni/Gares, Ostaggio della vallata, Parole scartate, Cappuccio rossoe Scene da un naufragio. Con Tommaso Patti ha pubblicato la raccolta di racconti Duo per tre, cui ha fatto seguito Al Qantarah-Bridge, Un ponte lungo tremila anni fra Scilla e Cariddi, La luna nel piatto, Interviste a poeti d’oggi, A colloquio con,,,, Un libro, un luogo: itinerari dell’anima, Gente (non) comune, La meraviglia è nemica della prudenza. Invito alla lettura de “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza. Ha collaborato con «Il Giornale d’Italia», è iscritta all’Ordine dei giornalisti. Sue poesie sono state musicate dai compositori Giorgio Fiorletta e Amedeo Morrone.

Inizia allora quel legame che fu tempestoso per entrambi: Verlaine abbandona la famiglia e parte con Rimbaud per Bruxelles, quindi per Londra, dove i due poeti frequentano l’ambiente dei rifugiati francesi. Una malattia di Verlaine riporta Rimbaud a Londra (era tornato solo a Charleville). I due poeti viaggiano per l’Europa quindi tornano in Inghilterra. Il rapporto si fa poi tormentato: dopo un litigio, Verlaine si imbarca per Ostenda e il 4 luglio giunge a Bruxelles. Rimbaud arriva qualche giorno dopo: la lite riprende e Verlaine, fuori di sé, ferisce Rimbaud al polso con un colpo di pistola. Viene arrestato, mentre Arthur, ricoverato in ospedale, ne esce per ritornare a Roche, dai suoi.

Rimbaud termina febbrilmente la redazione di Une Saison en Enferin cui descrive le sue alte ambizioni poetiche e spirituali e prende coscienza del suo fallimento, tanto più deludente in quanto aveva impegnato nella sua impresa tutte le proprie energie. Rimbaud riprende allora il suo vagabondaggio: torna ancora una volta a Londra, nel 1874, riprende la composizione di alcune poemi in prosa (le Illuminations), viaggia in Svezia, in Germania, arriva anche in Italia, a Milano e in Toscana (1875). Avendo ormai lasciato la poesia, si imbarca a Genova per l’Africa (1878) e si stabilisce a Cipro. Dopo un breve soggiorno in Francia, riprende il suo lavoro a Cipro (è capo di cave a Larnaca), passa in seguito, in qualità di agente di una ditta di commercio, a Aden e Harrar, vende armi a Menelik, ha un commercio di caffè, di avorio, ecc. Guida carovane attraverso regioni inaccessibili.

Questo tempo di duro lavoro è anche il tempo della sua gloria nascente. Verlaine l’ha fatto comparire tra i suoi Poètes maudits (1884) e ha pubblicato le Illuminationsnel 1886. I giovani poeti vedono in lui un maestro decadente e simbolista: la gloria letteraria non turba la sua attività commerciale. È vero che non riuscì a calmare il suo spirito. Arriverà a scrivere a sua madre, nel 1888: “Non ho mai conosciuto nessuno che si annoiasse quanto me”. È il segno, eloquente, che la ferita della giovinezza non si è mai cicatrizzata, e se rientra in Francia, nel 1891, è perché è seriamente ammalato. Colpito da un cancro alla coscia, gli viene amputata, ma invano, una gamba. Si spegne quello stesso anno, all’ospedale della Concezione, a Marsiglia.

Sarebbe un errore attribuire il piacere di Rimbaud per l’avventura al gusto della dissolutezza e del gozzovigliare. Non bisogna sottovalutare l’indocilità del temperamento del giovane Rimbaud, ma, come si è visto nella “lettera del veggente”, alterava coscientemente l’equilibrio del suo spirito e delle sue azioni, in vista di una ricerca che, in fondo, era essenzialmente spirituale. Bisogna aggiungere che per Rimbaud si trattava di “rendere l’anima mostruosa”, con lo scopo di fare del poeta “un ladro di fuoco” per ispezionare “l’invisibile”. Per essere veggente, e per andare dunque oltre la realtà, il poeta deve servirsi di una lingua nuova: “Questa lingua sarà dell’anima per l’anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori…”. Rimbaud si situa, dunque, nella tradizione di Baudelaire, che qualifica “re dei poeti, un vero dio”, e esprime in modo netto le tendenze idealiste e decisamente spirituali del Simbolismo.

Le sue opere complete, di cui la prima edizione, presentata da Verlaine, data del 1895, comprendono una raccolta di versi, Une saison en Enfer e le Illuminations. Nelle sue migliori poesie, quali il Bateau ivre, Voyelles, Rimbaud rende le sue visioni attraverso immagini lussureggianti, attraverso un gioco talvolta molto sottile delle analogie e un cromatismo molto vivace, soprattutto quando evoca paesaggi o il mare.

Une saison en Enferè una poetica autobiografica. È il bilancio amaro di una sconfitta, dopo l’esperienza del poeta con Verlaine, e la disillusione delle sue aspirazioni spirituali. Il momento più doloroso di questo bilancio è quando il poeta si rende conto della gratuità della sua creazione poetica attraverso la quale avrebbe voluto inventare un nuovo mondo: “Ho creduto di poter acquistare poteri soprannaturali. Ebbene! Devo seppellire la mia immaginazione e i miei ricordi! […] Io che mi sono detto re o angelo, dispensato da ogni morale, io sono sconfitto...!”

Le Illuminations, che Rimbaud continuò anche dopo la Saison en Enfer (ma stava per abbandonare definitivamente la via della poesia), sono la testimonianza più alta del tentativo rimbaldiano di sostituire con l’immaginazione e il gioco delle corrispondenze, un mondo poetico alla realtà quotidiana. Sono i poemi in prosa (due sono in versi liberi), molte volte ermetici, che rivelano talvolta, attraverso immagini splendide, una straordinaria bellezza. Rimbaud non vi vedeva che come un relitto di un mondo diverso che non aveva saputo o potuto esprimere. Era già pronto per una dimensione ben più umile e dura della vita.

Ma bohème (Fantaisie)114

Je m’en allais, les poings dans mes poches crevées; Mon paletot aussi devenait idéal; J’allais sous le ciel, Muse! et j’étais ton féal; Oh! là! là! que d’amours splendides j’ai rêvées!

Mon unique culotte avait un large trou. – Petit-Poucet rêveur, j’égrenais dans ma course Des rimes. Mon auberge était à la Grande-Ourse. – Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou.

Et je les écoutais, assis au bord des routes, Ces bons soirs de septembre où je sentais des gouttes De rosée à mon front, comme un vin de vigueur;

Où, rimant au milieu des ombres fantastiques, Comme des lyres, je tirais les élastiques De mes souliers blessés, un pied près de mon coeur!

Zingaresca115

Andavo, i pugni stretti nelle tasche sfondate, Ed anche il mio pastrano diventava ideale; Andavo sotto il cielo, Musa, ed ero il tuo fido; quanti splendidi amori ho mai sognato allora!

Negli ultimi calzoni avevo un largo squarcio. - Pollicino sognante, spargevo nel mio errare Rime. L’Orsa Maggiore mi faceva da ostello. - Le mie stelle nel cielo dolcemente frusciavano;

114 ARTHUR RIMBAUD, Oeuvres / Opere, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 76. 115 ARTHUR RIMBAUD, op. cit., p. 77.

Le ascoltavo, seduto ai lati delle strade, In quelle sere miti di settembre e sul viso Le gocce di rugiada m’eran vino gagliardo;

E, rimando nel cuore di fantastiche tenebre, Tiravo, come fossero delle lire, gli elastici Delle scarpe ferite, col piede accanto al cuore!

“Eppure la fuga è la trasgressione più grande alla legge. La legge di una impossibile unità familiare. Con il padre trasgressivo si può “parlare” soltanto nel nome di quella legge grammaticale a cui si dimostra devoto. Rappresentata interamente dalla figura paterna, la trasgressione, se non nominata, può essere lambita da quel dialogo a distanza con un’esperienza, ormai tutta dalla parte del desiderio non detto, della fantasia”116 .

Grande è l’eredità che Arthur lascia a noi e ai giovani delle successive generazioni. Dice Kundera: “Rimbaud, che aveva ordinato a tutti di essere assolutamente moderni, era un poeta della natura, era un vagabondo, nelle sue poesie c’erano parole che l’uomo d’oggi ha ormai dimenticato o dalle quali non trae più nessuna gioia: crescione, tigli, quercia, grilli, noce, olmo, erica, corde, soprattutto strade117. E ancora: “Rimbaud propone un modello di vita ai giovani i quali, “per mancanza d’energia vegetano e affogano nella noia delle loro cittadine. Un’esistenza chiara, cristallina per nulla misteriosa come hanno insinuato chiacchiere di pettegoli disinformati o sedicenti, malevoli amici118 .

116 RENATO MINORE, Rimbaud, La vita assente di un poeta dalle suole di vento, Bompiani, Milano, 2019, p. 99. 117 Ivi, pp. 188-189. 118 Ivi, p.57.