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DILETTA FOLLACCHIO – “Evasione, erranza e vagabondaggio da e nella esistenza”

Evasione, erranza e vagabondaggio da e nella esistenza di DILETTA FOLLACCHIO140

Dio, la vita non è proprio altro che solitudine, malgrado tutti gli oppiacei, malgrado la stridula, posticcia, allegria delle “feste” senza scopo, malgrado il sorriso falso che tutti indossano.

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(SYLVIA PLATH)

Lily Everit, personaggio del racconto La presentazione di Virginia Woolf, è appena arrivata a una festa per il suo ingresso in società; accanto al misto di emozione e timore, desiderio di esporsi e vergogna di essere notata, vive dentro di sé un’indecisione tra il mondo che le è appartenuto fino a quel momento e nel quale lei poteva essere sé stessa –«le appartenevano, piuttosto, correre e affrettarsi e meditare nel corso di lunghe passeggiate solitarie, scavalcando cancelli, avventurandosi per sentieri fangosi, nella foschia, nel sogno, nell’estasi della solitudine […]»141 – e il mondo nel quale sta entrando in punta di piedi, con la paura di non riconoscersi abbastanza nella parte che la società ha scelto per lei e che ora le viene imposta – «[…] se avesse lasciato cadere un fazzoletto (com’era già successo) un uomo si sarebbe precipitato a raccoglierlo per restituirglielo»142 . Lily, inoltre, è chiamata a lottare tra due dimensioni, quella del mondo messo su dagli uomini, quella «massiccia realizzazione mascolina»143 , fatta di «alte torri, le campane solenni, i palazzi che la fatica degli uomini aveva costruito mattone su mattone, le chiese erette con la fatica dell’uomo, gli stessi parlamenti; e persino l’incrocio dei fili del telegrafo»144 , e quella del ruolo delle donne di «arieggiare e abbellire questa vita ordinata dove tutto era già stato fatto»145 . La lotta di Lily è duplice, tra maschile e femminile, e tra superficialità, quella della festa, e profondità, quella del suo saggio sullo stile del decano Swift, valutato eccellente dal suo professore proprio la mattina della festa. Tali consapevolezze – «La vita si divideva (ne era sicura) in realtà – quel saggio – e finzione – la sua uscita»146 , – messe sempre più a fuoco dalla protagonista mentre attende che la signora Dalloway la tiri fuori dal suo angolo per essere presentata a qualche giovanotto, portano Lily a estraniarsi per qualche istante dalla stanza dove conversano gli invitati e si muove eccitata e commossa la signora Dalloway; ma già prima della sua uscita, quando la sorella e la domestica provvedono agli ultimi ritocchi, ciò che importa a Lily è sempre il suo saggio, pur intercettato in qualche momento dalla distrazione e dalla novità del suo splendido aspetto, come se avesse paura di perdere la concretezza della sua profondità. Lily si estranea per riflettere sulla propria condizione di donna e sul gorgonel quale sta per essere gettata, dove «sarebbe perita o si sarebbe salvata»147; considera il dislivello tra ciò che hanno costruito gli uomini e quello che lei in rappresentanza di tutte le donne può presentare senza poter competere di fronte all’opera maschile; riflette su chi è lei

140 DILETTA FOLLACCHIO (Pescara, 1987), vive tra Pescara e Verona dove insegna lettere alla scuola secondaria di primo grado. Laureata in Italianistica presso l’Università di Bologna, ha curato un’intervista al critico Goffredo Fofi su La Bibbia in Spagnadi George Borrow in occasione del Festival delle Letterature dell’Adriatico ed è stata il critico letterario della raccolta di racconti La Mia MelaMarciadell’esordiente Simone Di Plinio durante le prime presentazioni del libro. Ha già scritto per «Euterpe». 141 VIRGINIA WOOLF, La presentazione, in La signora Dalloway in Bond Street e altri racconti, Newton Compton, Roma, 2014, p. 89. 142 Ibidem 143 Ivi, p. 90. 144 Ibidem 145 Ibidem 146 Ivi, p. 87. 147 Ivi, p. 88.

realmente e quale figura invece è chiamata a essere mettendo in campo l’«artificiosità del suo comportamento innaturale»148 . Ma poi, la vera evasione diventa quella della società con il suo schema di vita formale dalla vita reale e da ciò che ogni uomo, e soprattutto ogni donna, è in profondità nel suo normale modo di essere senza la «preoccupazione di che cosa ne pensassero gli esseri umani»149 .

Nel racconto di Virginia Woolf l’evasione dall’esistenza si realizza attraverso una fuga nei comportamenti formali, inautentici, controllati e costruiti della società, che vanno a nascondere e a coprire la profondità e l’essenza della vita; invece, ne Le voci della seradi Natalia Ginzburg i personaggi non si accontentano dell’evasione, ma arrivano a sotterrare i loro pensieri, pur di sopravvivere, accettando la quotidianità e la sua ripetitiva monotonia senza porsi domande oppure, come i protagonisti, rinunciano direttamente a vivere. In particolare, è il Tommasino a spiegare a Elsa che «prima […] potevo scegliere, se trovarmi con te un pomeriggio, o no. Ora invece, in questi mesi, ho sentito che non potevo più scegliere […]. Dovevo fare quello che tutti si aspettavano che io facessi»150 . Il Tommasino rinuncia a vivere per salvare quella libertà che avrebbe perso sposando Elsa, per evitare la gabbia di abitudini, comportamenti, azioni ripetitive e prive di spontaneità che hanno spinto gli altri paesani ad annullare pensieri, emozioni, desideri. Soltanto così, infatti, è possibile non ammettere i propri fallimenti e la propria infelicità, e non confrontarsi con la propria anima, per non sentirne più il grido: «Quello che vado pensando, lo racconto un poco a me stesso, e poi lo sotterro. Poi, a poco a poco, non racconterò nemmeno più niente a me stesso. Sotterrerò tutto subito, ogni vago pensiero, prima ancora che prenda forma. […] una persona, a un certo momento, non vuole più vedere in faccia la propria anima. Perché ha paura, se la guarda in faccia, di non trovare più il coraggio di vivere»151 .

Tommasino lo riconosce, non possiede quella «carica vitale»152 che forse permetterebbe di sapere che la vita può anche «andare di corsa, suonando il tamburo»153 , sensazione soltanto appena sfiorata da Elsa, e che forse potrebbe opporre un’alternativa vincente alle esistenze degli altri. Invece, i due protagonisti, rinunciano a sposarsi, e nella loro rottura non c’è neanche sofferenza, sono d’accordo nell’accettare una «grigia rassegnazione»,154 che chiude la storia tornando al punto di partenza, senza che sia realmente accaduto qualcosa e senza possibilità che qualcosa cambi, perché «è il motivo lirico dell’amore impossibile, simbolo ed espressione di tutta una vita impossibile, di una società di persone intelligenti e sensibili, che girano a vuoto»155 . È l’angoscia che si porta dietro il Tommasino, a causa di tutte quelle perdite nella propria famiglia, a privarlo dell’energia vitale necessaria per uscire dal cerchio chiuso della narrazione e dall’anello in cui è bloccata la sua esistenza, quel peso dei tanti che non ci sono più e che hanno fatto meglio prima di lui. Anche Elsa è bloccata, lei che non ribatte mai alle opinioni e alle verità che si costruisce la madre intorno alla figlia e ai personaggi del paese. Elsa che accompagna la madre sempre passiva, quasi mansueta e che al di là della vitalità appena sussurrata al Tommasino, non riesce a uscire dal cerchio familiare. Il finale sembra prospettare quasi una via d’uscita, quasi una speranza di salvezza, ma il lettore intuisce dai numerosi chissànel monologo della madre di Elsa, che nulla potrà mai cambiare e che il massimo a cui il personaggio potrà aspirare è questo vagabondare nell’esistenza senza soffermarsi a capirla sul serio.

148 Ivi, p. 89. 149 Ibidem 150 NATALIA GINZBURG, Le voci della sera, Einaudi, Torino, 2003, p. 116. 151 Ivi, p. 115. 152 Ivi,p. 120. 153 Ivi, p. 105. 154 PIETRO CITATI, «Il Giorno», 11 luglio 1961, in NATALIA GINZBURG, op. cit., p. 152. 155 CLAUDIO VARESE, «Nuova Antologia», dicembre 1961, in NATALIA GINZBURG, op. cit., p. 157.