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DAVIDE TOFFOLI – Recensione de La città dei vividi Nicola Lagioia

La città dei vividi Nicola Lagioia Recensione di DAVIDE TOFFOLI

Tornare a leggere del caso Varani, vale a dire di uno degli omicidi più efferati che si possa ricordare e di un lutto che mi ha letteralmente attraversato da parte a parte, dal momento che Luca era stato fino all’anno precedente uno dei “miei” alunni del Serale, per me è stata una rinnovata “discesa agli inferi”. Uno sguardo sull’abisso, su una Roma dilaniata da una quotidianità cupa e apparentemente senz’anima.

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Quello di Nicola Lagioia è un lavoro imponente e polifonico (anche se la voce più “nera” della città fa inevitabilmente un rumore assordante), costruito nei dettagli e profondamente radicato nella realtà delle dichiarazioni rilasciate dai soggetti coinvolti. Il caso di cronaca è attraversato senza mai perdere di vista l’umanità (spesso nascosta) di ciascuno dei protagonisti. Un viaggio per le strade ferite di una città oscura e sanguinante che si trasforma in indagine preziosa sulla natura umana, sul libero arbitrio, sulla solitudine dilagante. Un lavoro che ha il pregio di fissare lo sguardo proprio dove il senso comune inviterebbe a voltarsi dall’altra parte, nell’intento di umanizzare tutto (anche i carnefici) e di non farci in alcun modo sentire al sicuro, costringendoci a riflettere con onestà profonda su chi siamo e su quello che potevamo (o possiamo) diventare. Un po’ come la stessa città di Roma, al tempo stesso vittima innocente e carnefice spietato e capace di inghiottire e soffocare tutto. Non solo cronaca quindi; anche coraggiosa letteratura. C’è una pesante atmosfera di morte che aleggia su questa Città dei vivi… Come ebbi modo di citare in quei giorni: “Piangi meno tristemente per un morto, ché ora riposa, ma la vita dello stolto è peggiore della morte”, dice Siracide. Il messaggio profondo di questo libro è appunto “non essere stolti”. Un grido salvifico a non sentirsi intoccabili dalla tragedia, a ripensare il nostro stesso modo di stare al mondo, a cercare di distruggere ogni sorta di solitudine affrontando le ombre che inevitabilmente ci portiamo dentro tutti. Un invito ad accettare di scendere quotidianamente nel “labirinto” per sconfiggere, di continuo e mai per sempre, il nostro personalissimo “Minotauro”.

Un libro che sa farsi sguardo serio, indagine minuziosa, osservazione preziosa, ma che ha soprattutto il pregio raro di far parlare anche i silenzi, le voci che mancano, le parole che non trovano la forza o il coraggio di uscire. Un’esperienza tragica, priva di qualsivoglia certezza di resurrezione… Ma oltre ogni apparenza, la speranza c’è e ha il sapore vagamente amaro di un liquore alla carruba, offerto e degustato nell’intimità di una casa, che sa con genuinità non chiudersi all’incontro. Soprattutto con chi, con profondo rispetto, non ha mai smesso di cercare.