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LORENZO SPURIO – “Maledettismo e nomadismo in Raymond Carver. Un avvicinamento al geniale scrittore americano attraverso la lettura di padre Antonio Spadaro”

Maledettismo e nomadismo in Raymond Carver. Un avvicinamento al geniale scrittore americano attraverso la lettura di padre Antonio Spadaro di LORENZO SPURIO125

Nel racconto “Jerry, Molly e Sam” l’americano Raymond Carver (Clatskanie, Oregon, 1938 – Port Angeles, Washington, 1988), sull’onda della sua canonica forza ispiratrice che deriva dal reale e soprattutto dall’ordinario dell’uomo contemporaneo, con un atteggiamento quasi freddo e disinteressato narra la vicenda del protagonista Al, impegnato a sbarazzarsi del suo cane. Qualcosa del genere non deve scioccare, come pure un simile atteggiamento non dovrebbe intervenire tra i lettori suscettibili di un altro racconto, “Con tanta di quell’acqua a due passi da casa”, dove il ritrovamento di un cadavere di una donna in riva al lago, è poca cosa e i personaggi (tranne la moglie del protagonista) – sodali in un’indifferenza e una cupezza di spirito diffusa – non fanno altro che pensare a pescare. Sono solo alcuni esempi, pur vaghi e decontestualizzati, dei grumi d’incredulità e spietatezza che l’autore americano ci regala, snocciolando situazioni borderline e soprattutto atteggiamenti atipici, surreali, a tratti anche immorali di alcuni personaggi.

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Qualcosa di analogo accade nella prima produzione breve dello scrittore anglosassone Ian McEwan; molti dei racconti di Primi amori, ultimi riti del 1975 condividono uno scenario claustrofobico con atteggiamenti umani spiazzanti, ai limiti del ridicolo, che chiamava in causa una riflessione concreta. Realisticamente, nella seconda parte del racconto “Vuoi star zitta, per favore?” di Carver – senz’altro uno tra i più noti – si legge: «Tra i fumi dell’alcol, si chiese se c’erano altri uomini in grado di esaminare un avvenimento isolato della loro vita e cogliere in esso i minuscoli segnali della catastrofe che da quel momento in poi aveva cambiato il corso della loro vita»126 .

In entrambi gli autori, che narrano perlopiù di vicende comuni di uomini medi, soprattutto della provincia, spesso sfortunati o vulnerabili, disinteressati a primeggiare, combattere

125 LORENZO SPURIO (Jesi, AN, 1985) è poeta, scrittore e critico letterario. Per la poesia ha pubblicato Neoplasie civili(2014), La testa tra lemani(2016), Le acque depresse(2016), Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca (2016; 2020), Pareidolia (2018) e Il restauro delle linee (2021). Sue poesie sono state tradotte e pubblicate in spagnolo, portoghese, catalano, polacco, rumeno, albanese, greco e arabo. Ha pubblicato vari saggi, in volume e rivista, articoli e monografie su autori della letteratura italiana e straniera. Grande studioso di poesia, traduttore dallo spagnolo di opere poetiche e di racconti brevi di autori quali César Vallejo, Alejandro Casona, Miguel Hernández e Federico García Lorca del quale è considerato grande studioso con una fitta attività critica ed eventi, recital e conferenze sul territorio nazionale. Presidente e membro di giuria in vari concorsi letterari nazionali, è direttore della rivista di poesia e critica letteraria «Euterpe» che quest’anno ha celebrato i dieci anni d’attività. 126 RAYMOND CARVER, Limonata e altri racconti, I Libri del Sole 24 Ore, Milano, 2011, p. 28.

per un’idea o a farsi notare in senso positivo, lo snodo definitivo delle vicende narrate non è tanto rappresentato dagli esiti spesso amari, quando non tragici e ineluttabili, che portano in scena violenza, deviazione, sottomissione, delirio, sperdimento e cattiveria gratuita, ma proprio attorno a fatti apparentemente casuali, privi di un segno distintivo, ma che vengono caricati di un significato netto e imprescindibile che detterà in maniera irreversibile la vicenda. Sono quei pivotal moments, momenti cruciali o nevralgici, che consentono di descrivere un “prima” e un “dopo” e a partire dal quale nulla sarà come prima. Ricorrendo ancora una volta all’autore di Aldershot come non ricordare il momento dell’avaria della mongolfiera in L’amore fatale, opera del 1997 dalla quale venne tratto anche un film?

Ritorniamo, però, a Raymond Carver, padre del racconto breve americano, indiscusso talento letterario del Secolo scorso. Il recente libro di padre Antonio Spadaro – un vecchio saggio scritto anni fa, nella giovinezza e poi rispolverato, ampliato e rivisto e in queste settimane finalmente pubblicato – ci restituisce con attenzione – con nutriti estratti delle sue opere letterarie – un attento identikit di uno degli scrittori più controversi e per questo più amati di sempre. Quanto al suo sistema di scrittura, Spadaro osserva che «I suoi racconti spesso nascono solamente da una frase ascoltata per caso o da situazioni colte fotograficamente all’interno della vita ordinaria. Tanto rapida era l’ispirazione, tanto immediata la prima stesura del testo a presa diretta sulla realtà» (31) aggiungendo, inoltre, che «[l]a conclusione dei racconti non è mai lasciata alla naturale evoluzione dei fatti. C’è sempre un particolare del tutto secondario o del tutto nuovo che nelle ultime righe conduce il racconto alla fine a un livello di compiutezza che assume i tratti della sorpresa e dell’inatteso» (48).

Creature di caldo sangue e nervi. La scrittura di Raymond Carver(Ares, Milano, 2020)127 è un agile volume di approfondimento tanto sull’uomo e sullo scrittore Carver e si sviluppa in tre sezioni: un capitolo introduttivo teso a seguire i fili del non facile tracciato esistenziale dell’autore, gli studi, i numerosi lavori, le condizioni d’indigenza, la dipendenza all’alcool, gli affetti sino alla sua occupazione quale docente e la concretizzazione – tardiva – della sua figura di intellettuale.

Seguono due capitoli, uno dedicato alla sua opera poetica e l’altro alla componente – ben più nota e cospicua di Carver – del genere prosastico. Spadaro sottolinea quella capacità tutta carveriana di saper costruire storie – più o meno avvincenti – traendo intrecci dalla semplicità del mondo reale: «Vivere significa guardarsi attorno, per trovare lì la fonte dell’ispirazione» (8), ha sostenuto nella Premessa, vale a dire – molte volte – il sapersi estraniaredal contesto per osservare da distante quel che accade, vivere le storie degli altri128, imprimere in quegli accadimenti un significato, intravederne delle conseguenze o delle possibili derivazioni. Lo scrittore statunitense si dimostra – come sostiene Spadaro –particolarmente «capace di cogliere l’essenziale nelle cose, guardate con acutezza e precisione» (9). Se, per richiamare McEwan, le storie nascevano attorno a una rottura, un momento catartico, una vera e propria epifania – tanto nel bene che nel male – in Carver si dipanano tra apparenti ovvietà, aspetti consuetudinari della vita di tutti, ambiti condivisibili dell’ordinario ed è proprio lì che l’autore – nei dettagli, nelle particolarità a cui spesso non

127 Tutte le citazioni del saggio sono tratte dall’opera oggetto di questo approfondimento di cui si forniscono i riferimenti bibliografici: ANTONIO SPADARO, Creature di caldo sangue e nervi. La scrittura di Raymond Carver, Ares, Milano, 2020. 128 Su questa peculiare capacità di «trovarsi improvvisamente a vivere esperienze altrui […] di calarsi nei panni di qualcun altro» (51), esemplificativo risulta essere il celebre racconto Cattedraledove, nel complicato tentativo di spiegare a un cieco com’è fatto un tempio cristiano, quest’ultimo è in grado di disegnarlo – pur privo delle facoltà sensoriali – mentre il personaggio, desolatamente, si scopre incapace e interdetto (forse insensibile, impreparato, inadatto, inetto, o paralizzato?) d’interpretazione, rivelare, verbalizzare la conoscenza sensibile: «Robert non sa descrivere le cose che conosce. […] È il cielo che insegna a “vedere”» (88).

diamo peso – con arguzia e grande competenza scrittoria è in grado di elaborare intrecci conturbanti e decisivi, rimanendo nel dominio di una supposta normalità.

Va pur detto che in molti racconti di Carver ci troviamo dinanzi a una situazione in cui «La tragedia assume i tratti della quotidianità e del piccolo gesto: per questo, nonostante tutto, paradossalmente i suoi sono “racconti morali”» (37). Spadaro ha osservato, inoltre, che «Carver sembra quasi spostarsi dalla parte del malvagio, non per giustificarlo, ma per calare il bisturi ancora più a fondo e cogliere l’abisso dell’assenza di fede, speranza e amore» (38).

Spadaro nell’esposizione di alcune disattenzioni sociali e aberrazioni dei personaggi carveriani non punta il dito, né – chiaramente – fraternizza, ma fa risaltare la possibilità di un Bene, che se non è evidente ai più, con probabilità potrebbe coesistere in una necessità di riparazione e redenzione129. Favorendo questa «interpretazione morale» (68) che, invece, credo sia inapplicabile al caso del McEwan degli esordi, Spadaro – che è un religioso – in riferimento a Carver intravede una possibile esperienza di «conversione del cuore [che] diventa fonte di riconciliazione e di comunione» a partire dall’assunto solidale ed evangelico che «le parole creano un clima di ascolto e di accoglienza» (69).

Particolarmente suasive e vere le parole dello scrittore polacco Czesław Miłosz citate da Spadaro in conclusione alla Premessa, tratte dall’opera Ars Poetica: «Nell’essenza stessa della poesia c’è qualcosa d’indecente:/ si tira fuori una cosa che neanche sapevamo di aver dentro,/ e allora strabuzziamo gli occhi, come sefosse saltata fuori una tigre/ che rimane ferma al sole, sferzando la coda» (13-14). Citazione dove nella parola “poesia” dobbiamo necessariamente leggere, per quanto attiene a Carver, l’intera opera letteraria, di qualsiasi genere. La potenzialità di uno scrittore parco e realistico quale Carver è, ben lontano da superfetazioni di qualsiasi genere, sta proprio nella preziosa attività introspettiva, perlustrativa e di estrazioneche adopera nei confronti del reale: il vissuto e gli accadimenti dei suoi simili.

La giornalista Elisabetta Rasy in un articolo di qualche anno fa uscito su «Il Sole 24 ore»130 nel quale dava notizia della recente pubblicazione in Italia di una biografia di settecento pagine a opera di Carol Sklenicka131, seguendo un temperamento particolarmente nutrito nel nostro Paese aveva concentrato la sua trattazione della figura di Carver attorno ad alcuni notori “ismi” che possiamo rammentare per meglio inquadrare la sua figura: il maledettismo e il nomadismo della sua condotta, l’alcolismo al quale era dedito e soprattutto il molto richiamato minimalismoin campo letterario, aspetti che hanno contraddistinto i pilastri di quella “mitografia” carveriana che ancor oggi si conserva. L’idea di maledetto, di anima in pena, disoccupato, dedito all’alcool e di sfortunato, che si associa anche ad alcuni personaggi violenti da lui creati, che vivono in condizioni degradate, si mantenne anche dopo quando, inseritosi in ambito accademico e lasciata alle spalle la vita dissoluta, il poeta era ormai fuori da quel fosco cliché. Pure non mancarono leggende metropolitane che nel tempo ne hanno tramandato verità fastidiose mistificando i fatti: Carver non morì alcolizzato come qualcuno sostenne – nei primi anni ’80 aveva conosciuto Tess Gallagher della quale si era innamorato e che mai lo avrebbe abbandonato – ma per un tumore ai polmoni che nel 1988 mise fine alla sua breve esistenza (aveva cinquanta anni).

In merito al minimalismovanno portate delle considerazioni aggiuntive (io stesso in un breve intervento critico di qualche anno fa lo richiamai legandolo strettamente alla sua

129 «La redenzione conduce in un terreno di reale e profonda comunicazione, capace di spezzare l’incomunicabilità fredda suggerita dai primi racconti» (95). 130 ELISABETTA RASY, “Carver e il fuoco dello scrittore”, «Sole 24 Ore», 31 Luglio 2011. 131 CAROL SKLENICKA, Raymond Carver. Una vita da scrittore, traduzione di Marco Bertoli, Nutrimenti, Roma, 2011.

figura132) che Spadaro nella sua trattazione ben pone in rilievo, anche grazie a un nutrito apparato di note bibliografiche e di approfondimento.

Prima fra tutte ci informa della grande perizia della stesura dei suoi testi sottoposti a continue letture, rivisitazioni e vere e proprie operazioni di riduzione atte a raggiungere una condizione di pura essenzialità. Nello stesso articolo della Rasy viene anche evidenziato che la natura della gran parte dei testi carveriani che oggi conosciamo, leggiamo, studiamo, etc. non rappresenta la forma finale che lo stesso autore aveva in qualche modo licenziato per la pubblicazione dal momento che l’editor Gordon Lish intervenne pesantemente sui testi da ridurli e scarnificarli per come oggi li conosciamo133. Atteggiamento, questo, che lo stesso Carver – la cui esperienza biografica, come ricorda Spadaro, fu «bruciante e nello stesso tempo ordinaria» (21) – non sembrò apprezzare ma che, per ragioni di carattere editoriale e dunque di possibili vendite, finì per accettare. Ecco, allora, che quando si parla di questo minimalismo formale di Carver bisogna ricordare anche questo, vale a dire che le opere – ci riferiamo prevalentemente alla narrativa – vennero sottoposte a un intervento di pulitura e scarnificazione che le rese come oggi le conosciamo134. Per ritornare alla questione del minimalismo, ricorro a un importante estratto del testo di Spadaro: «Molti […] considerano Carver come il padre del «minimalismo», cioè del modo di pensare l’arte dello scrivere in termini di essenzialità espressiva, di intrecci che si sviluppano in piccole scene di vita quotidiana e di contesti d’ambiente che rigettano i grandi spazi aperti del romanzo americano classico, preferendo gli intrecci domestici, gli shopping center e altri luoghi simili. […] Carver stesso si è sempre opposto a vedersi attribuire il ruolo di «padre» di questo

132 LORENZO SPURIO, “Il minimalismo letterario di Raymond Carver”, «Blog Letteratura e Cultura», 19/01/2013, link: https://blogletteratura.com/2013/01/19/il-minimalismo-letterario-di-raymond-carver-di-lorenzo-spurio/ (Sito consultato il 28/11/2020). 133 Tess Gallagher, sebbene dopo la morte del marito Carver, riuscì a pubblicare in volume la versione originale della gran parte dei racconti come lo scrittore li aveva prodotti e licenziati per la stampa prima che l’intervento di Lish non li riducesse all’osso. In Italia l’editore Einaudi alcuni anni fa nel volume Principianti(dal quale cito a continuazione) ha voluto seguire proprio questa strada, per render merito alla genialità di Carver e recuperare gli originali senza emendamenti e interventi operate da terzi. Nella utilissima “Nota ai testi” che è stata pubblicata nella parte finale, le attente note riportate ci aiutano a far luce sull’intervento invasivo apportato dall’editor sulla gran parte dei suoi lavori. Ne riportiamo alcuni esempi. Il racconto “Perché non ballate” il cui titolo in originale era “Why Don’t You Dance?” dattiloscritto da Carver aveva una lunghezza di 8 pagine; l’operazione di revisione di Lish provvede a tagliare il 9% del contenuto; il racconto “Che fine hanno fatto tutti?” il cui titolo in originale era “Where Is Everyone?” era composto in origine da 15 pagine; l’operazione di revisione di Lish porta a una riduzione del 78% del racconto. In alcune pubblicazioni di questo racconto si notano, inoltre, pesanti modifiche anche nella punteggiatura; il racconto “Gazebo” (medesimo titolo in lingua originale) constava di 13 pagine; Lish ne taglierà il 44% del testo; il racconto “Se così ti piace” il cui titolo originale era “If It Please You” constava di 26 pagine; Lish ne taglia ben il 63% del testo. Questo accade, con percentuali diverse ma sempre molto significative, per la gran parte di racconti con modifiche anche nell’ordine di alcuni paragrafi, della punteggiatura e finanche del titolo. Nella nota critica di Riccardo Duranti dove si ragiona su questa operazione editoriale e di riduzione all’osso operata da Lish sui racconti di Carver, così ha rivelato: «Carver era ancora psicologicamente molto fragile e fu convinto, da varie rassicurazioni e da qualche piccola concessione di Lish, ad abbassare la testa e ad accettare che i suoi racconti venissero pubblicati in una forma che lui riteneva mutilata. […] La mia teoria è che Lish, finissimo stratega editoriale, avesse intravisto nei racconti di Carver le qualità necessarie per lanciare l’operazione Minimalismo sul mercato letterario, usandolo a mo’ di ariete dopo averlo manipolato e reso più simile all’idea di fiction che aveva in mente. […] La mossa fu senza dubbio abile e in effetti preparò la strada per l’affermazione della nuova moda minimalista che però, a distanza di tempo, mi pare non abbia lasciato impronte indelebili né sulla letteratura americana né su quella mondiale» (277-278). In varie lettere di Carver indirizzate a Lish è patente questo suo dramma nel vedersi di volta in volta ridurre l’opera, semplificarla, adattarla a piacimento delle vesti editoriali. Ne riporto alcuni estratti significativi. Nella lettera datata 8 luglio 1980, 8 del mattino, Carver scrive a Lish (intestando la lettera «Carissimo Gordon») «[S]e il libro esce e io non riuscirò a esserne fiero e soddisfatto come voglio, se avrò l’impressione di aver superato certi limiti, di essermi allontanato troppo da una certa linea, be’, allora non potrò stare bene con me stesso e forse addirittura non riuscirò più a scrivere; ecco fino a che punto è seria la cosa: ho la sensazione che se non riuscirò a sentirmi perfettamente a mio agio in questa faccenda, sarò finito» (282); nella lettera datata 11 agosto 1982 si legge: «Gordon, giuro su Dio e tanto vale che te lo dica subito, non posso subire l’amputazione e il trapianto che in un modo o nell’altro servirebbero a farli entrare nella scatola, di modo che il coperchio chiuda bene. […] Il mio cuore non può accettare alternative. […] Non posso scrivere questi racconti con la sensazione di essere inibito – se mi sento inibito, non li scriverò per niente» (288). 134 Anche nel volume di Spadaro si fa riferimento a questo: «A questo svolgimento s’intreccia saldamente la questione dell’assoluta «autenticità» dei suoi racconti, messa in dubbio di recente a causa della scoperta dei «pesanti» interventi del suo editor Gordon Lish».

filone espressivo. […] Tess Gallagher preferisce dire che egli era non un «minimalista», ma un «purista» e anzi che il «mondo interiore» era, al contrario, «massimalista». Altri lo definiscono un «precisionista». E quest’ultima pare la definizione più pertinente» (41-42).

Spadaro, nel corso della sua trattazione, più volte richiama una considerazione non di poco conto ovvero che «nonostante la sua fama sia legata più alla prosa, Carver nasce e muore poeta» (29) difatti le sue prime pubblicazioni in volume – se si eccettua qualche racconto apparso su rivista – furono Near Klamath(1968) e Winter Insomnia (1970)135. E la concezione che Carver ha della poesia non è qualcosa di elevato e di estraneo dall’uomo. Essa, al contrario, è portatrice di un messaggio reale e, in quanto tale, parla dell’umano e all’umano delle questioni che più lo riguardano e lo coinvolgono. È una poesia di vita e di morte, di quelle che ebbe a definire le «grandi questioni» e di tutto quello che attiene la vita pratica e reale di trovarsi nel mondo. Nel celebre epitaffio sulla sua tomba – scritto da lui stesso – figurano riflessioni sullo stato delle cose, mostra un atteggiamento di perlustrazione, avvinto da una riflessione continua, seria e meditata attorno agli enigmi dell’esistenza che tutti attanagliano: «E hai ottenuto quello che / volevi da questa vita, nonostante tutto? / Sì./E cos’è che volevi? / Potermi dire amato, sentirmi / amato sulla terra». Carver da maledetto e inquieto si scopre a noi lettori profondamente intimo e dolce, nei suoi interrogativi – a cui dà una risposta pacificata e convinta – è contenuto un invito a tutti affinché si rifletta sul senso del nostro andare, perché si concretizzi la direzione che ci si è prefissi ma soprattutto – in quell’imprecisato e nostalgico nonostante tutto – fa intravedere l’esigenza di sviluppo di un atteggiamento resiliente, capace di rimboccarsi le maniche dinanzi alle sventure personali e collettive, per combattere in difesa dei propri sogni e diritti. Secondo Spadaro «Le sue piccole paure sono riflesso della sua estrema fragilità, di una radicale paura della morte che evoca tenerezza e fa comprendere il radicale bisogno di “sentirsi amati sulla terra”» (122).

Ad arricchire la trattazione saggistica di Spadaro è, in appendice, un ricco repertorio di foto in bianco e nero che testimoniano, con opportuna narrazione a corredo, il suo viaggio Oltreoceano per giungere all’Ocean View Cemetery di Port Angeles, nello stato di Washington, che bacia il Salish Sea che lo divide dalle coste canadesi, to pay a tributesulla tomba dello scrittore americano (viaggio fatto nel 2010).

135 Lui stesso aveva avuto a rivelare: «I miei racconti sono meglio conosciuti, ma, per quello che mi riguarda, io amo la poesia» (97).