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DENISE GRASSELLI – “Evasione e introspezione nel Notturno indianodi Tabucchi” FILOMENA GAGLIARDI – “La dialettica fra errare e ritrovarsi come essenza di tutte le storie:

Evasione e introspezione nel Notturno indianodi Tabucchi di DENISE GRASSELLI137

Questo libro, oltre che un’insonnia, è un viaggio. L’insonnia appartiene a chi ha scritto il libro, il viaggio a chi lo fece.

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Antonio Tabucchi, uno dei più importanti scrittori del Novecento, docente universitario, critico letterario, grande studioso e traduttore di Pessoa, oltre alla sua attività di intellettuale è stato un grande viaggiatore, esploratore di culture e tradizioni di tutto il mondo come testimoniano i numerosi saggi editi dalla Feltrinelli in Viaggi ed altri viaggi. All’interno del volume è presente L’Inde. Que sais-je?dove lo scrittore riflette sulla sua conoscenza dell’India e la stesura del romanzo Notturno indiano col quale ha vinto il prestigioso premio Prix Médicis nel 1987.

Come afferma lo scrittore, il protagonista del romanzo è volutamente “ignorante”: ha in tasca una guida essenziale dell’India ma è profondamente ingenuo, intriso di quella «inconsapevolezza innocente» che lo rende un esploratore non soltanto geografico ma anche e soprattutto esistenziale. Tuttavia le domande che pone il viaggiatore ai vari interlocutori e le situazioni in cui spesso si trova non sono casuali: fanno emergere l’altro lato dell’India, quello del mistero, dell’introspezione che rimanda all’antico motto “gnothi sauton” dei templi greci. Il viaggiatore del romanzo si configura, quindi, come un esploratore dell’“io”, la cui identità è in continua discussione. L’India di Tabucchi appare all’uomo occidentale come qualcosa di enigmatico, di completamente diverso rispetto alla realtà cui siamo abituati: essa incute paura in quanto «universo senza centro», un «ibrido» in cui bene e male non sono chiaramente distinti ma coesistono come due polarità in continua tensione, come lo scrittore afferma in Tante idee dell’India. Fu questo il sentimento che secondo Tabucchi animò i primi coloni portoghesi che cercarono di sostituire la cultura indiana con la più rassicurante visione del mondo occidentale. Non a caso l’India venne visitata anche dallo scrittore portoghese Fernando Pessoa che nel 1914 scrisse: «l’Oriente è tutto quanto noi non abbiamo, tutto quanto noi non siamo».

Partendo da questa idea di “altrove” il protagonista del Notturno indianoinizia a esplorare Bombay partendo dal “Quartiere delle gabbie”, il quartiere più povero e malfamato della città dal quale il tassista cercava invano di distoglierlo. Il viaggiatore vuole partire proprio da lì, dal lato “ombra” ma il quartiere ai suoi occhi risulterà essere «molto peggio di come me lo ero immaginato». Lo scopo del viaggio consiste nella ricerca di Xavier, un suo amico

137 DENISE GRASSELLI (San Severino Marche, MC, 1990) si è laureata in Filologia Moderna. Insegna lingua e letteratura italiana e storia presso la scuola secondaria. I suoi studi sono rivolti principalmente alle forme dell’italiano contemporaneo, tra cui il linguaggio giovanile e alla critica letteraria del Novecento. Ha vinto il secondo premio per la sezione critica letteraria nel Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” nel 2018 e il secondo premio nel Concorso Nazionale “Mario Pannunzio” nel 2019 per la sezione tesi di laurea. Ha pubblicato articoli in riviste letterarie e in volume. Collabora all’inserto “Robinson” per «La Repubblica».

portoghese di cui aveva perso completamente le tracce e sul quale dispone solo di vaghi indizi. La ricerca si connota fin da subito come più complessa rispetto alle aspettative iniziali del lettore: «in India si perde molta gente, è un paese fatto apposta per questo», rivela all’inizio del romanzo uno dei suoi personaggi in modo allusivo.

Il viaggiatore si muove spesso in ambienti chiusi: ospedali, camere d’albergo, palazzi antichi; le descrizioni degli ambienti e dei personaggi del romanzo non sono “nitide” ma o sono vaghe o si concentrano su dettagli insignificanti, come ad esempio il poster con la pubblicità della Coca Cola all’interno della stanza d’albergo, conferendo un aspetto onirico al viaggio, accompagnate da locuzioni del tipo “parve, mi sembrava, ebbi l’impressione, secondo i miei calcoli” ecc. che acuiscono il senso di straniamento, di mistero, per cui la narrazione è basata sulle sensazioni del protagonista piuttosto che su elementi oggettivi. In questo senso si può dire che la tecnica narrativa impiegata da Tabucchi, per la scelta di operare attraverso un narratore interno che si esprime in prima persona senza fornire mai dati oggettivi e definitivi sia l’esatto opposto di quella utilizzata dagli scrittori naturalisti francesi che, invece, utilizzavano nei loro romanzi narratori esterni che narravano i fatti in maniera imparziale come se utilizzassero una cinepresa. Tale focalizzazione si accorda bene con la scelta di narrare soprattutto spazi chiusi caratterizzati da luci soffuse e ombre che sono in stretta connessione con l’archetipo del “notturno”; lo stesso Xavier, l’uomo ricercato dal protagonista, si auto-descrive come un “uccello notturno”, una creatura della notte. Non a caso uno dei soprannomi di Xavier è proprio “nightingale”, usignolo, parola formata dal sostantivo “night”, ossia notte. Inoltre, all’interno del romanzo è presente anche la descrizione di un sogno dove il protagonista si ritrova a parlare a tu per tu con il condottiero Albuquerque che gli parla del tema della vanità delle cose mostrandogli un topo morto.

Nel romanzo il viaggiatore intrattiene un discorso con un gianista che si prepara a morire affermando che il nostro corpo non è altro che una “valigia” per la nostra anima, il colloquio si conclude con un enigmatico “buon viaggio”. Un altro incontro particolare è quello con un bambino che ha in braccio un essere che all’inizio viene scambiato per una scimmietta ma che poi si rivela un giovane deforme che gli legge il karma. Nel dialogo la riflessione verte sul rapporto tra realtà ed apparenza, tra verità e illusione, vita e morte è tipico della cultura indiana come riportato nei testi Veda e Purana a cui si ispirò il tedesco Arthur Schopenhauer quando parla della realtà come illusione e del “velo di Maya”, concetto filosofico che viene citato nel romanzo di Tabucchi per bocca di un ragazzino indiano su un autobus diretto verso un santuario. È interessante il dialogo che si instaura tra il viaggiatore e l’indiano:

«Ah sì», dissi io, «chi sono?» Il ragazzo parlò di nuovo al fratello e costui gli rispose brevemente. «Questo non importa», mi riferì il ragazzo, è solo maya». «E che cos’è maya?» «è l’apparenza del mondo», rispose il ragazzo, «ma è solo illusione, quello che conta è l’atma ». […] «E l’atma che cos’è?» Il ragazzo sorrise della mia ignoranza. «The soul», disse, «l’anima individuale».

Il dialogo si conclude quando l’indovino predice al viaggiatore che la sua anima non è con lui ma che si trova in un altro luogo pieno di luci, in una barca; infine il viaggiatore continua nel suo viaggio senza sosta e in un albergo di lusso conosce un’avvenente fotografa. La ragazza gli mostra due fotografie da lei scattate: nella prima si vede l’ingrandimento di un