Euterpe n°34 - "Desiderio di evasione, vagabondaggio ed erranza: suggestioni, simbolismi e messaggi"

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RIVISTA DI POESIA E CRITICA LETTERARIA “EUTERPE” APERIODICO TEMATICO DI LETTERATURA ONLINE NATO NEL 2011 ISSN: 2280-8108 N°34 * FEBBRAIO 2022 * – WWW.ASSOCIAZIONEEUTERPE.COM

Il mito di Ulisse nella poesia del Novecento: Pascoli, Kavafis, Saba88 di FRANCESCA INNOCENZI89 Il mitico eroe greco Ulisse è uno degli indiscussi protagonisti della letteratura in ogni tempo. Omero nell’Odissea ce lo presenta come intelligente e astuto – in contrapposizione alla forza bruta dei personaggi dell’Iliade -, curioso e assetato di scoperta, ma anche desideroso di fare ritorno nella sua patria, Itaca, di cui è re. Nella celebre rilettura medievale del canto XXVI dell’Inferno, Dante esalta la sete di conoscenza dell’eroe, collocato nel girone dei consiglieri fraudolenti. È lo stesso Ulisse a raccontare come sia riuscito a persuadere i suoi compagni di viaggio a seguirlo oltre le Colonne d’Ercole, immaginate sullo Stretto di Gibilterra, dove anticamente terminava il mondo conosciuto; un «folle volo» destinato a concludersi con il naufragio e la morte, ma in grado di racchiudere una indelebile ricchezza di significato attraverso l’ammonimento «fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza». Molti scrittori contemporanei hanno attualizzato la figura di Ulisse in quanto simbolo della condizione umana. In questa sede prenderò in considerazione tre testi poetici riferibili alla prima metà del Novecento: L’ultimo viaggio di Giovanni Pascoli (1905), Itaca di Konstantinos Kavafis (1911), Ulisse di Umberto Saba (1945-46). L’analisi dei componimenti evidenzierà i diversi modi di declinare l’archetipo, che rimane intatto nella sua universalità. Giovanni Pascoli inserisce una prima volta la figura dell’eroe greco nel poemetto Il ritorno, incluso in Odi e inni; qui Ulisse, tornato a Itaca, è preda di un totale spaesamento, trovandosi incapace di riconoscere la sua terra, la sua casa, i suoi cari. L’ultimo viaggio (da Poemi conviviali) ci presenta una sorta di Odissea in ventiquattro canti come quella omerica: giunto alla fine della vita, il re di Itaca decide di intraprendere l’ennesima impresa per mare; non si tratta stavolta di un viaggio verso l’ignoto, ma di un itinerario a ritroso in cerca di luoghi e figure del passato, in un’indagine sul senso dell’esistenza. [….]

E la corrente tacita e soave più sempre avanti sospingea la nave. E il vecchio vide che le due Sirene, e ciglia alzate su le due pupille, avanti sé miravano, nel sole isse, od in lui, nella sua nave nera. E su la calma immobile del mare, alta e sicura egli inalzò la voce. «Son io! Son io, che torno per sapere! Ché molto io vidi, come voi vedete me. Sì; ma tutto ch’io guardai nel mondo, i riguardò; mi domandò: Chi sono?».

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sulla rivista «Il Mangiaparole», n. 8, 2019, pp. 11-13. FRANCESCA INNOCENZI (Jesi, AN, 1980) si è laureata in lettere classiche ed è dottore di ricerca in cultura di età tardoantica. Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012), Non chiedere parola (2019), Canto del vuoto cavo (2021); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia grecoromana (2011); il romanzo Sole di stagione (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole». Ha ideato e dirige il Premio letterario “Paesaggio interiore”. 88 89

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